La vittoria di Hernandez ai Mondiali non è stata solo quella della Spagna che per la prima volta si apprestava a salire sul podio del torneo iridato, ma di un intero movimento, il nostro basket, quello europeo che mai come oggi ha vissuto un momento così felice. Non siamo ai livelli del calcio, in cui le prime quattro posizioni sono state a panneggio di squadre europee, ma poco ci manca se tra le prime otto del mondo troviamo ben sei squadre del vecchio continente (Spagna, Grecia, Francia, Turchia, Lituania e Germania) tra cui le due finaliste.
In Giappone cè stato uno scontro tra due scuole di basket sostanzialmente diverse, luna speculare allaltra: quella spettacolare e sbruffona delle Americhe con Porto Rico, Brasile, Argentina e lo scoppiettante Dream Team sfidava la grinta ed il collettivo delle compagini europee che hanno avuto nettamente la meglio dimostrando che nel basket moderno la zona e lintelligenza tattica possono avere la meglio anche contro chi può disporre di 10 schiacciate e stoppate a gare.
Il basket doltreoceano è uscito sconfitto in maniera netta dai Mondiali. Porto Rico e Brasile non hanno neanche superato i propri gironi, lArgentina pur chiudendo ad un dignitoso quarto posto sembrano caduti in una parabola discendente pericolosa, mentre gli USA sono rimandati alle Olimpiadi di Pechino. Ma soprattutto la supremazia del basket, forse fra poco lo chiameremo baloncesto, europeo emerge confrontando le prestazioni dei singoli elementi. Tranne super Nowitzky e Diaw, le stelle NBA sono apparse in netta difficoltà, da Wade e James ridicolizzati rispettivamente dalla nazionale greca e da Belinelli a Ginobili, inguardabile nella semifinale con la Spagna e nella finalina per il bronzo, passando per Yao Ming, il gigante buono finito ko sotto i colpi del lillipuziano Rocca.
Anche la Spagna aveva tra le proprie fila diversi NBA, tra cui Pau Gasol, probabilmente lMVP del torneo, eppure è riuscita a battere (eufemismo) la Grecia anche senza il suo asso, grazie ai vari Navarro, Garbajosa, ecc. mentre dallaltra parte hanno ben figurato Papaloukas, Schortsianitis e Kakiouzis.
Dopo gli anni del vero Dream Team con Johnson e Jordan è forse venuto il momento per gli statunitensi di acquisire quell’umiltà che gli è sempre mancata. A cominciare dai rapporti con la Fiba ed il rispetto per gli avversari (dopo la sconfitta con la Grecia il mitico coach K ha continuato a non imparare il nome degli atleti ellenici).