I playground nascono e si sviluppano nelle zone più povere delle grosse metropoli statunitensi, inizialmente sono una valvola di sfogo per i giovani afro americani che non hanno altra possibilità se non quella di rimanere ghettizzati nelle aree a loro riservate.
Racconta [b]George Gervin[/b] che a Detroit, dove è cresciuto, per i ragazzi poveri cera solo il basket, lo stesso ricorda [b]Doctor J[/b] e [b]Connie Hawkins[/b] narra come lui ed altri cominciarono a partire per andare a sfidare i più forti dei playground delle altre città.
La popolarità di questi ragazzi crebbe velocemente, iniziarono ad avere un vero e proprio pubblico, ansioso di ammirare mosse particolari o giocate spettacolari.
Dallinizio degli anni 70 inizia la contaminazione, cominciano ad arrivare in NBA giocatori cresciuti sui playground che portano nella lega movimenti mai visti fino ad allora. Racconta Rick Telhander, autore di Heaven is a playground che molti giocatori ebbero un clamoroso successo proprio perché facevano cose che nessuno aveva mai visto prima, dando uno stile quasi jazz alla lega. Con lavvento delle Summer leagues la contaminazione fu completa: giocatori NBA andavano a giocare gratis al [b]Rucker Tournament[/b] di New York o al [b]Baker[/b] di Philadelphia solo per confrontarsi con i giocatori locali; la gente era letteralmente appesa agli alberi per assistere a queste esibizioni.
Cera anche chi aveva una doppia identità come [b]Earl Monroe[/b], noto come [i]The Pearl[/i] nella NBA e [i]Black Jesus[/i] nei playground: arrivava, la folla si apriva in due come il Mar Rosso, segnava 60 punti e spariva nel nulla così come era arrivato.
I discendenti di quelle persone che per prime usavano il basket come sfogo oggi dominano la pallacanestro che conosciamo, a qualsiasi livello; ma se possiamo vedere Stephon Marbury o Allen Iverson lanciare no-look assassini ai compagni, lo dobbiamo anche alle prime superstar quelle vere – dei playground newyorchesi.
I playground più famosi si trovano a New York, tra quelli da ricordare sicuramente ci sono:
– [b]Soul in the Hole[/b] (Anima nel buco), il quale si trova sotto il livello della strada vicino a Brooklyn e nel quale è meglio non avventurarsi, ma che ha sfornato campioni come [b]Fly Williams e Booger Smith[/b];
– [b]St. Johns Recreation Center[/b],anchesso situato a Brooklyn ed è stato trampolino di lancio per alcuni campioni quali [b]Connie Hawkins, Fly Williams, i fratelli King e World Free[/b];
– [b]Lost Battalion Center[/b], situato nel Queens, qui esplosero [b]Kenny Smith e Kenny Anderson[/b];
– [b]Holcombe Rucker Park[/b] che si trova ad Harlem e nel quale vi fu il primo Rucker Tournament della storia nel quale parteciparono [b]Earl Manigault, Pee Wee Kirkland e Connie Hawkins[/b]. La particolarità del Rucker Park è che si poteva assistere a grandi sfide tra le stelle del basket NBA con quelle del playground, infatti si videro emozionanti partite quali Joe Hammond vs Doctor J e Earl Manigault vs Wilt Chamberlain a cui The Goat schiacciò in testa!
– A memoria di the Goat, la Capra, conserviamo il [b]Goat Park[/b], playground tra Harlem e Manhattan fondato per dar vita a un torneo differente da quello del Rucker Park, ormai controllato dalla mafia e dalle scommesse.
– [b]The Cage[/b], la gabbia, una semplice recinzione distingue due mondi differenti: dentro ci si scanna per una palla vagante, fuori i manager vestiti di tutto punto passano con sguardo a volte indifferente, a volte interessato. In ogni caso cè sempre qualcuno che si ferma a guardare 10 persone lottare su un campo verde e rosso di 20 metri al massimo. Qui ai lati la linea del tiro da tre punti scompare. Il gioco duro è una conseguenza naturale, viene sconsigliato il tiro da fuori e incitata lentrata. Paradossale, vista lubicazione in una delle zone più soft della città.
Ed ecco invece una panoramica dei più famosi protagonisti dei playground newyorchesi:
[b]James “Speedy” Williams[/b]: mito dei playground di Brooklyn e Harlem (NY) anni ’90, il suo pezzo forte è il palleggio tra le gambe….dell’avversario; mai andato nell’NBA;
[b]Albert King[/b]: anche lui cresciuto sui playground di Brooklyn anni ’80, già leggenda a 13 anni; palleggio, arresto e tiro, non spettacolarissimo ma efficace. Andò nell’NBA ma in un mondo così estraneo dal suo non diventò mai la stella che avrebbe potuto essere;
[b]Joe “The Destroyer” Hammond[/b]: considerato secondo solo a Manigault, mito dei playground di Harlem anni’70; in metà gara segnò 50 punti di cui 42 contro l’allora ventenne Julius Erving, come The Goat perso in questioni di droga;
[b]Herman “Helicopter” Kwowings[/b]: altro mito dei playground newyorchesi anni ’70; è lui che secondo la leggenda metropolitana, in più di un’occasione avrebbe provocato infrazione di 3 secondi restando sospeso in aria mentre l’avversario attendeva che scendesse per poter tirare evitando la stoppata;
[b]James “Fly” Williams[/b]: Brooklyn anni ’70, una delle più grandi leggende, abbinava la capacità di volare a una creatività incredibile; classico giocatore da playground non adatto al gioco strutturato di una squadra;
[b]Nick “Tricky” McNickle[/b]: uno dei migliori playmaker newyorchesi, alto appena 1,75 volava, ma quello che lo caratterizzava era il fatto di essere….bianco. Si racconta di un torneo in cui eseguì in rapida successione durante il riscaldamento una schiacciata Tom Hawk, una rovesciata con giro di 180° a due mani e una schiacciata raccogliendo la palla dal tabellone, giro di 360° e affondata.
[b]Joe “Jesus” Washington[/b]: Brooklyn anni ’70; si dice che saltava tanto in alto da far in modo che gli avversari potessero leggere sotto la suola delle scarpe la taglia o abbastanza da elevare tutto il busto sopra l’anello;
Ma la leggenda incontrastata è senza dubbio [b]Earl “The Goat” Manigault[/b], 182 cm di energia e talento allo stato puro; nato nel 1944, a Charleston, South Carolina ottavo di una figliata nata sotto cattiva stella e abbandonata dai genitori.
Dopo un anno in orfanotrofio, il piccolo è affidato alla signora Mary Manigault, da cui adotta nome e residenza: New York City.
Solo, in una città enorme, a 12 anni Earl comincia a fare conoscenza con il basket, quello vero, e purtroppo per lui anche con le sigarette e la pericolosa White Lady.
La candela della sua vita comincia così ad ardere dai due lati: da una parte diventa un campione, segna 40 punti a partita alla Lincoln High e al Rucker park evoluisce sulla testa di un suo quasi coetaneo, [b]Lew Alcindor[/b], che avrebbe in seguito spopolato nellNba sotto il nome di [b]Kareem Abdul Jabbar[/b]; dallaltro il fumo, lalcool e la droga lo porteranno alla morte per arresto cardiaco nel 1998 in un ospedale di Harlem, lo stesso quartiere che lo aveva ha visto crescere, arrivare a sfiorare il cielo con un dito per poi precipitare a terra come una stella cadente. A tredici anni schiacciava due palloni da volley contemporaneamente…. sconfiggeva la forza di gravità andando a raccogliere le monete sul bordo alto del tabellone; il 4 luglio 1966 schiacciò salendo tra due avversari (Connie Hawkins e Lew Alcindor!) e guadagnando ulteriori trenta centimetri con un colpo di reni mentre era in fase ascendente; in un’altra occasione the Goat in campo aperto da solo attende il difensore che gli si para davanti in cerca di uno sfondamento….il contatto avviene all’altezza del gomito sinistro dell’area…Earl salta abbondantemente sopra i 4 metri e affonda una schiacciata incredibile.
[b]Helcombe Rucker[/b], scopritore di talenti, provò a mandarlo in una scuola migliore dove avrebbe potuto studiare meglio (la Johnson C. Smith University) nella quale giocherà anche a basket sotto coach McCollough, un pessimo allenatore che sarà in parte la sua rovina.
Nel Natale del 66 Earl torna ad Harlem per un break festivo e dopo una partita al Rucker Park il ragazzo inizia la sua autodistruzione scoprendo la polvere bianca the great white lady, leroina.
Da quel momento The Goat non sarà mai più quello che vedevano volare sui playground newyorkesi ma solo un tossicomane. In questi anni lascia la moglie Yvonne a cui lascia anche il loro figlio Darrin, e viene arrestato e rinchiuso più volte in prigione con laccusa di spaccio e di furto.
La sua carriera era ormai finita, anche se nel 71 viene chiamato per un try-out dagli Utah Stars dellABA, ma Earl, ormai bruciato dalla droga, non saltava più come prima e non era in grado di giocare ad alti livelli. Ad un certo punto si accorge che quella vita non fa per lui e cerca di tornare alla vecchia esistenza, infatti inizialmente diventa custode di un campetto che poi prenderà il suo nome, poi inizia il suo torneo per allontanare i ragazzi dalla droga (il famoso [i]THE GOAT TOURNAMENT WALK AWAY FROM DRUGS[/i]).
Lo ricordiamo come il Re anche perché durante una partita per la scuola schiaccia salendo sopra i 4 metri e perché ha brevettato la [i]DOUBLE DUNK[/i] la quale consiste nello schiacciare con una mano e rischiacciare dopo aver recuperato la palla dalla prima schiacciatatutto ovviamente in aria!! Come poi dimenticare la schiacciata a 720° che prevede ben due giravolte in aria su sé stesso!
Rovinato dalla droga, è morto nel maggio ’98, ma il re continua a vivere nel mito… [i] Il Re Buono, Lunico che poteva andare in giro per Harem senza un penny in tasca ed avere ciò che voleva, Il Re di Harlem, La Capra, The Goat[/i], il giocatore più del mondo in ambito cestistico, meglio di Michael Jordan o di Kareem Abdul Jabbar, il vero e unico Alieno Luomo che voleva sedersi sul ferro e non ce la fece per pochi centimetri
Tutti questi giocatori accomunati da un destino in comune: re in città, scacciati come lebbrosi dai pro.
New York è crudele, ti illude e poi ti strangola tra la miseria dei suoi quartieri poveri.
Lew Alcindor, o, se volete, Kareem Abdul Jabbar, ha superato questa maledizione allontanandosi dalla città il prima possibile: studiando ad Ucla, dalla parte opposta degli States.
Se gli domandate, ancora adesso, quale sia il miglior giocatore che abbia mai visto, egli non vi dirà Michael Jordan o Magic Johnson, ma Earl Manigault; lo stesso che gli decollò sulla testa, quella sera al Rucker Park.