John Amaechi è un uomo alto, muscoloso, dalla pelle ambrata, ha un dottorato in psicologia infantile, è inglese e giocatore professionista di pallacanestro.
Ed e’ gay.
Non dovrebbe importare o fare differenza, eppure la fa. E tanta pure.
Perché il suddetto giocatore per cinque anni ha giocato, fra l’altro in NBA. Non un campione, ma un buon gregario, qualche stagione molto bene, qualcun’altra meno bene.
E’ gay, ma prima di qualche settimana fa, nessuno lo sapeva. I suoi compagni, i dirigenti delle squadre, gli amici e gli allenatori, e meno di tutti la stampa e conseguentemente l’opinione pubblica.
Si perché oggi, non parliamo di basket giocato, ma neanche di sport professionistico in generale. Eppure, queste cose c’entrano tantissimo.
Il vaso di pandora, lo ha aperto il suddetto giocatore quando, smessa la canotta da professionista ha scritto un libro. “Man in the middle”, l’uomo nel mezzo.
Un libro autobiografico in cui Amaechi racconta la sua vita a partire dall’infanzia difficile, la passione per la pallacanestro, i suoi successi nel professionismo e le sue attività umanitarie.
E nel mezzo, appunto, la sua omosessualità. Tenuta ben nascosta nei suoi anni da pro.
Per paura?
Forse la parola e’ forte, ma il clamore suscitato e sopratutto le reazioni degli addetti e non ai lavori, sono state e sono tuttora, forti.
Essere gay in una squadra professionistica, in uno sport considerato da sempre da “machi” e quindi rimpinzato di atteggiamenti maschilistici non e’ cosa da poco. Soprattutto e’ abbastanza nuova.
Non è la primissima volta, visto il recente caso di outing di un altro professionista, stavolta nella NFL. Parliamo di football americano, regno immacolato di ogni maschio medio con la birra in una mano e la rivista con una soubrette svestita nell’altra.
[url=http://www.lastampa.it/sport/cmsSezioni/footballamericano/200603articoli/600girata.asp]Esera Tuaolo[/url] , stella dei Green Bay Packers, dopo anni di successi sportivi e recite davanti agli obiettivi dei reporter con baci mozzafiato a qualsiasi donna le capitasse a tiro (e ne capitano tante nel circuito, proprio tante…) si è dichiarato gay.
Anch’egli ha aspettato di appendere il casco al chiodo, prima dellannuncio. Racconta di serate coi compagni di squadra passate a bere o ad ingerire tranquillanti. Meglio darsi sbronzo che costretto a imbarazzanti performance. Una scusa “virile” per ogni situazione.
Amaechi non ha assunto questi atteggiamenti disperati. E vero che era anche meno sotto i riflettori, non essendo lui una stella in NBA. Ma non recitava una parte. Non si fingeva un super maschio.
Nel 2003 il suo rapporto con coach Sloan degli Utah Jazz arrivò alla frutta.
[i]Sai qual è il tuo problema?[/i] gli disse un giorno Sloan [i]Tu odi i bianchi, tu odi gli americani e pensi di essere più intelligente di tutte le altre persone”.[/i]
Non era quello il problema. E soprattutto, non era Amaechi ad avercelo.
Ma puoi essere anche l’ultimo della panchina, se dici una cosa del genere, diventi un caso. Almeno in teoria, visto che outing durante la carriera lo hanno fatto in pochi, ma soprattutto, non giocando in sport di squadra (Navratilova docet).
E’ la squadra il vero freno. Tanto che Tim Hardaway, lui si una ex-stella della lega, interpellato radiofonicamente sulla questione, si è lasciato andare ad una [url=http://www.youtube.com/watch?v=XFP9rCnXR54″ target=”blank]pesante invettiva [/url] contro gli omosessuali.
[i]”E’ una cosa sbagliata, io non ci giocherei insieme, non sarei tranquillo. Chiederei alla società di cederlo. Quando è troppo è troppo”. [/i]
Parole pesantissime che hanno indotto Stern, il capo di tutto il circo NBA, a non invitare Hardaway all’All Star Game.
“Non rispecchia il nostro pensiero” il laconico comunicato.
D’altronde, i giocatori NBA sono una categoria particolare. Cui gli atteggiamenti bizzarri allinterno della [i]locker room[/i], lo spogliatoio, si sprecano. E’ lo stesso Amaechi a raccontarceli nel suo libro.
[i]Chris Mills non faceva che sfoggiare e vantarsi delle sue scarpe in autentica pelle di coccodrillo. E facile vedere giocatori specchiarsi nudi per ore allo specchio, mettendo in mostra e confrontando il proprio membro. Per non parlare delle enormi quantità di acqua di colonia e gel per capelli usati prima di ogni incontro.
Chi è adesso, che ha comportamenti effeminati?[/i]
Cerano poi, persone più sensibili alla diversità (sia chiaro mai dichiarata) di Amaechi. Karl Malone ad esempio. E Jeff Van Gundy.
E Greg Ostertag, lomaccione gentile come viene definito, che un giorno, con sincerità chiese al giocatore britannico se fosse gay.
Amacachi deglutì e rispose: no.
Pentendosene.
Il problema è che non puoi essere gay se giochi duro. Non puoi esserlo se sei fra uomini e ti fai la doccia con loro. Perché se sei gay, automaticamente sei un maniaco sessuale stupratore in cerca di altri maschi. Sei sempre pronto a far cadere la saponetta.
E da duemila anni che è così. E buffo, prima era diverso.
La moralità cambia in duemila anni.
Ma in fondo ragioniamoci, pensiamo a il simbolo dei simboli, Magic Johnson e la sua malattia. Onore al suo coraggio e alla sua forza, ma in che modo si contrae il virus? Se fosse stato omosessuale, la reazione mediatica sarebbe stata la stessa? Sarebbe stato convocato a rappresentare il Dream Team a Barcellona? All’all star game del ’92?
Lo avrebbero chiamato i Lakers come allenatore? E l’NBC come commentatore?
Magic, ricordiamo, era (è!) un uomo felicemente sposato con figli. Già prima di quel triste giorno di novembre.
L’NBA e lo sport di squadra saprà abbattere anche questa barriera?
Il sottoscrito ne dubita.