E da quando calvaca i parquet del college basket che Jason Kapono si porta appresso letichetta di [b]specialista[/b].
Unetichetta che lui ha sempre trovato scomoda, perché lo fa passare per un mero mestierante, un uomo che deve alzarsi dal pino per pochi minuti di gara e aprire la scatola con le sue bombe.
Già nel 2003, pochi giorni la notte del draft che lo vide capitare ai [b]Cleveland Cavaliers[/b], che alla prima assoluta avevano scelto LeBron James per cui bisognosi di un tiratore per i suoi scarichi, se ne uscì con una dichiarazione provocatoria che faceva strasparire tutta la sua frustrazione per quella scomoda nomea di cui sopra:
[i]se anziché essere americano e chiamarmi Kapono ero serbo e mi chiamavo Kaponovic, sarei stato scelto in lotteria.[/i] Lasciando intendere che il suo gioco non era solo tiro e tiro, ma era fatto anche di altro, che la scuola europea dellultima generazione insegna.
Non proprio il miglior biglietto da visita con cui presentarsi nella lega più gerarchica del mondo ed infatti con tutta la pressione del mondo addosso, il povero Jason durò un solo anno alla corte di James, chiudendo con 3,5 punti di media in 10 minuti scarsi di utilizzo con il 47% da 3 punti e solo il 40% dal campo totale (ovvero solo tiro).
Fatto sta, che Cleveland lo spedì al draft di espansione, nel gulag dei neonati [b]Bobcats[/b], con cui Kapono mise su cifre di rispetto, 8,5 punti di media in meno di 19 minuti uscendo dal pino ed equilibrando le percentuali dal campo e dalla lunga sul 41% (mancavano gli scarichi di James eh?).
Cifre che nella stagione successiva gli consentirono di buttarsi nel mercato dei free agent, flirtando con i [b]Lakers[/b], per tornare a casa vista la sua militanza della locale [b]UCLA[/b] e i suoi natali a [b]Lakewood[/b], 23 km a sud di Los Angeles una ridente cittadina di 80.000 abitanti circa, per fare lo Steve Kerr di turno per Phil Jackson al fianco di Kobe, salvo poi firmare per i [b]Miami Heat[/b] di Pat Riley che aveva bisogno di uno specialista senza troppe pretese di responsabilità per allargare il campo a Shaq e Wade.
Ma nel suo primo anno a Miami il tiratore californiano vide poco il campo, tirando male dai tre punti e palesando i già sospetti limiti atletici per gli standard difensivi di coach Riley, che tra le altre cose aveva altre gatte da pelare tra le dimissioni/licenziamento di Van Gundy, e la chimica di squadra non proprio esaltante tra tutte le stelle a roster.
La scorsa estate dopo aver visto trionfare Miami da bordocampo in borghese, venne confermato da Riley per riempire uno degli ultimi posti del roster con la previsione di giocare unaltra stagione ai margini.
Ma vuoi per infortuni, vuoi per scelte tattiche, vuoi per panchinamenti punitivi dei big, in particolare Posey e Walker, dopo un primo mese di regular season da 10° uomo della ristretta rotazione a 9 uomini di Riley, dalla pesante sconfitta a San Antonio di fine novembre, il nostro, che tra le altre cose ama il Sushi ed ascolta la Dave Matthews Band (+1 per Jason), viene catapulato in quintetto, rispondendo alla grande con alcune prestazioni balistiche, che nel periodo buio di Miami senza Shaq e quasi allo sfascio, hanno permesso [b]doppievù[/b] importanti, evidenziando nel corso delle partite non solo le due indubbie capacità di perforare la retina, ma anche progressi difensivi impensabili, ed una disciplina tattica impressionante, retaggio dei suoi trascorsi a UCLA, che lasciò come 2° nella storia dellateneo per percentuale dalla lunga e come 1° per tiri da 3 punti messi a segno scavalcando [b]Tracy Murray[/b].
E da una maggior fiducia nei suoi mezzi, è passato dallessere un mero tiratore piazzato sul lato debole, a diventare un attaccante a tutto tondo.
Le sue uscite dai blocchi, di pure letture, creando spazio con il difensore per trovare lo spazio necessario a caricare il suo già veloce e preciso tiro hanno indotto Riley e Rothstein a disegnare per Kapono alcuni giochi offensivi, trovando sostentamento nella sua produzione offensiva, non più di qualità ma anche di quantità.
E nel corso dellanno, per non tornare ad essere uno specialista, ha lavorato duramente sul ball handing, sul suo passaggio, sul suo fisico per aggiungere, o come preferisce dire lui [b]affinare[/b], armi al suo arsenale.
Ovviamente non spezzerà mai una difesa con un crossover stordente, non schiaccerà mai in faccia a Dikembe Mutombo e non farà acrobazie aeree come il suo compagno di squadra Wade, con cui lintesa è quasi telepatica, ma nel suo repertorio offensivo ora sono comprese anche partenze a canestro, per palleggi arresto e tiro velocissimi o mezze penetrazioni concluse in controtempo con tiri morbidi dai 4 metri, proprio come faceva vedere al college.
Tra le altre cose sta legittimando il suo status NBA anche nella fase difensiva, sulla carta lanello debole del suo essere un bianco tiratore di ottimi fondamentali.
Non è uno stopper, ma ha ampiamente dimostrato di saper sbucciarsi i gomiti e di impegnarsi nella propria metà campo, prerogorativa necessaria per stare in campo con Riley se non ti chiami Wade o Shaq.
Ed il meritato trofeo vinto [b]nella gara dei 3 punti[/b] all[b]All Star Game di Las Vegas[/b] ha dato visibilità a questo giocatore, che dopo aver strabiliato per il suo contributo inaspettato alla causa si sta assestando su ottimi livelli nei campioni del mondo di Miami, issandosi a 3° realizzatore della squadra alle spalle di Wade e Shaq e davanti a Haslem ed (ex) All Star come Payton, Williams, Walker e Mourning.
M quello che doveva essere un focus solo per Kapono per ovvi motivi diventa anche un pretesto per parlare della scelta di [b]Wade[/b] di provare a tornare funzionante per i playoff, dopo lo sfortunato infortunio di Houston alla spalla sinistra, uscita fuori sede e bisognosa di intervento chirurgico.
Intervento che verrà fatto, ma appena la stagione sarà conclusa dato che Miami sta ingranando la marcia con 3 vittorie consecutive, uno Shaq che ha quarti interi di dominanza assoluta e non più solo pochi minuti ogni tanto, e i vari ingranaggi (vedi Walker, Williams e Posey) che stanno facendo ripartire il motore, e raggiungere i play off dovrebbe essere una semplice formalità.
Se per taluni questa decisione è intesa come lorgoglio di un campione che vuol difendere il titolo di [b]MVP delle Finals[/b] ed aiutare i compagni a difendere il titolo per altri il coraggio ha le sembianze dellincoscienza di mettere a rischio il proseguo della carriera per un obbiettivo (il titolo) che molto probabilmente non verrà bissato.
Chi vivrà vedrà.