… ha fruttato 2 sconfitte consecutive contro i sorprendenti Bobcats di fine stagione, ma ha soddisfatto in pieno ogni tifoso Heat per cui si preannunciavano fino ad un paio di mesi fa tempi bui.
Due sconfitte che per altro non hanno condizionato in nessun modo il cammino di Miami, forte delle 4° piazza ad est ormai al sicuro con la remota occasione di mettere paura anche a Toronto per il 3° posto per un primo turno contro Washington orfana di Arenas.
Due sconfitte a cui hanno fatto seguito altrettante anche se non proprio agevoli vittorie contro gli stessi Wizards e i Pacers, con l’ex Marquette che oltre a riaquisire la forma ideale ha ripreso con il solito e beneaugurante vizietto di condizionare le partite nel 4° quarto con i suoi canestri, come da canovaccio per la squadra di coach Riley.
I suoi 27.9 punti a partita mancavano come il pane a questi Heat che hanno tenuto stretto in tutti i modi possibili il loro diritto a difendere il titolo conquistato lo scorso giugno, spostando il baricentro del loro attacco su “l’infinito” Shaq (alla faccia di chi lo dava per “finito” visto che non segna più 30 di media…) che non avrà più esplosività dei tempi belli, ma che forse oggi più che ieri condiziona le gare come nessun’altro giocatore al mondo con la sua sola presenza a cui nel corso di questo triennio sulla east coast ha aggiunto notevoli letture di situazioni e momenti in cui esplodere con giocate, minuti di dominanza e quant’altro fosse necessario per preservare al massimo le sue forze.
Non è lo Shaq bambinone visto ai Magic e non è nemmeno lo Shaq immarcabile visto ai Lakers, ma un giocatore che ad oggi ha visto scesi solamente i propri numeri, non l’impatto in campo, soprattutto nel momento in cui la stagione si decide.
A turno, per sopperire alla degenza di Wade si sono alternati come “spalla” (questo gioco di parole dovrebbe strappare qualche battuta ai più attenti…) i vari Posey, Walker, Haslem, J-Will e Zo, ovvero i componenti del cosiddetto e tanto criticato supporting cast che lo scorso anno ha spianato le porte al titolo per la squadra della Florida con umiltà e tanta qualità, ovvero le componenti fondamentali che mancavano ad inizio anno, quelle che però Riley ha sempre sostenuto che sarebbero riemerse nel momento clou che ha coinciso con l’infortunio di Wade ed il periodo d’oro di marzo, chiuso 11 vittorie (di cui 8 consecutive) e 3 sole sconfitte.
Sembra strano come un infortunio possa coincidere con il momento della svolta in positivo, soprattutto se la tua perdita è di queste dimensioni.
Saranno anche vecchi, logori, a pancia piena e tronfi, ma una dote che solo i campioni hanno e che molto spesso può fare la differenza è l’orgoglio e questi Heat ne hanno a bizzeffe, a partire dal suo coach, Riley, che ha seriamente ripreso in mano le redini della sua squadra, dopo che su sua ammissione, si era rammollito.
I motivi della ripresa sono semplici, ma è la semplicità il modo migliore per sopperire alle difficoltà:
– [b]La redistribuzione dei compiti.[/b]
Come sopra accennato, senza gli isolamenti centrali per liberare il campo all’ 1 vs 1 di Wade, la chiave tattica predominante della stagione, Riley ha ribilanciato il gioco sotto canestro, facendo partire da Shaq ogni possesso.
Giocatori che fino a quel momento erano stati ai margini, come Walker, o parevano persi tatticamente, come J-Will hanno alzato il loro livello emergendo come opzioni offensive imprevedibili, capaci di creare scompensi alle difese collassate su O’Neal a centro area.
– [b]Il gioco di squadra.[/b]
Uno dei dettami più importanti di Riley è stato una maggiore circolazione di palla, innescata dai raddoppi in post basso e dai giochi a due.
Rispetto ai primi mesi di regular season, dove in pratica il solo Wade segnava con costanza e continuità monopolizzando però quasi ogni possesso per un tiro o per un assistenza, la distribuzione dei tiri e delle responsabilità offensive è stata equa permettendo a tutti i propri momenti di gloria, persino ad uno specialista difensivo come Haslem, autore di un buzzer beater diseganto apposta per lui.
Nel mese di Marzo nessun Heat ha raggiunto quota 30 punti segnati o 10 assist smazzati…
– [b]la difesa.[/b]
Non sei una squadra da Riley, se il tuo successo prima che dall’attacco non matura con la difesa.
La qualità nella propria metà campo è aumentata con l’arrivo dell’ex “Next MJ EJ”, Eddie Jones, che assieme a James Posey e Udonis Haslem, coadiuvato dal sempre presente e commovente Mourning, forma il miglior pacchetto di difensori dell’intera NBA.
E sulla falsa riga del loro intenso lavoro anche gente come Kapono, Walker e J-Will con umiltà si è sbucciata le ginocchia e sporcato i gomiti dietro.
Una difesa che fino a dicembre concedeva 100 punti e andava sotto con troppa facilità contro quasi ogni attacco e che ora per un mese buono ha concesso solamente 88 punti di media e % dal campo basse, monopolizzando il conto dei rimbalzi e recuperando caterve di palloni.
– [b]il ritmo di gioco.[/b]
Da tutti questi cambiamenti è cambiata anche il ritmo di gioco, veloce e votato all’attacco durante l’interregno di Rothstein per sopperire alle lacune difensive.
Oggi Miami è una squadra che tiene il punteggio basso, che cerca di sfruttare al massimo ogni possesso in attacco e cerca attraverso una forte connotazione difensiva di abbassare le % avversarie e spazzare via i tabelloni.
– [b]gli allenamenti.[/b]
Il terrore principale di dover giocare per Riley per anni sono stati i secchi lasciati a bordocampo durante gli allenamenti, quelli in cui prima di lasciare il campo strisciando dovevi riempire di vomito per rendere felice il tuo coach.
Bene, dopo aver “maltrattato” i propri giocatori per almeno 20 anni con questi espedienti, data l’età da quasi pensionamento di gran parte del roster, Riley ha ridotto la durata e l’intensità dei propri allenamenti, dando modo ai suoi giocatori di riposare più a lungo che poi in campo è stato tradotto con un gioco meno farraginoso e più pimpante ma esigendo una ferrea preparazione atletica (casi illustri Walker e Posey tenuti fermi per 2 settimane per aver sforato la massa grassa corporea consentita) ed una lucida condizione fisica da ogni componente del roster.
Tirando le somme, una stagione da buttare, sotto ogni previsione, non è stata altro che un rodaggio più lungo del previsto e tra mille difficoltà e infortuni, Miami si ricandida, fresca e vigorosa più che mai all’ennesima post season da protagonista, forse l’ultima prima delle vera e propria rivoluzione…