L’annata dei Chicago Bulls non è stata la tipica di una squadra in ricostruzione, ripartita dalle ceneri di quella grande formazione capace di 2 triplette (91-93 e 96-98) guidata da Jordan in campo e Jackson dalla panchina, ma anche da “Briciola” Kraus dietro la scrivania.
Non lo è da un paio di stagioni. La guida sicura di Coach Skiles, l’esplosione di giovani di talento come Deng, Gordon e Hinrich, stanno riportando in fretta i Bulls nelle zone alte della Eastern Conference. Cosa manca allora a Chicago per salire l’ultimo gradino, quello che li condurrebbe alle NBA Finals?
Per tutto l’inverno, almeno prima della dead-line di Febbraio, s’è parlato insistentemente di due scambi possibili, che nelle intenzioni del GM Paxon avrebbero fatto fare alla squadra questo definitivo salto di qualità. La voce principale parlava dell’arrivo nella Windy-City di Kevin Garnett, “chicagoano” di adozione, avendoci giocato a livello di high school. Il suo contratto con Minnesota prevede un’uscita la prossima estate, e McHale non vuole perdere il suo miglior giocatore e (ex)uomo franchigia in cambio di…niente! L’affare era fattibile, per i T’wolves, se nonchè Paxon e Skiles non se la sono sentita di smembrare l’attuale roster per far posto al “Bigliettone”. Più abbordabile sembrava l’approdo in rosso-nero di Pau Gasol (poi chi lo diceva a Skiles che questo, come ben sa, non difende?), minori richieste da Memphis, ma sempre comprendenti almeno 2 dei punti fermi dei Bulls, tra i quali appunto Deng e Gordon. Anche qui, la franchigia dell’Illinois ha resistito alla tentazione e non ha rivoluzionato la squadra che comunque, tra alti e bassi, ha vissuto una stagione elettrizzante, conclusasi con dei playoffs molto buoni, ulteriore esperienza nel bagaglio della formazione che ha a roster in questo momento 14 giocatori con 4 anni di carriera NBA o meno (contando anche i nuovi rookies).
Il merito di Paxon è stato negli ultimi anni quello di scegliere bene, se non benissimo al draft, e di pescare free agent mirati, adatti al gioco molto “collegiale” di Coach Skiles.
Wallace e Brown hanno portato muscoli, rimbalzi e esperienza sotto canestro, in attesa della definitiva maturazione di qualche giovane, tra tutti Tyrus Thomas, abbagliante talento atletico, NBA Player in divenire. Su di lui, certamente, deve ruotare gran parte del discorso legato al futuro, nel reparto lunghi, di Chicago. Molti hanno storto il naso, e tutt’ora lo fanno, parlando di Big Ben e tutto quel che lo riguarda, lontano dai Pistons. Non gioca gli ultimi quarti (non proprio vero, basta rivedersi le gare di playoffs), non riceve palla dai compagni – succedeva forse a Detroit e nelle altre precedenti fermate NBA? – forse semplicemente non è Shaq, ma nemmeno Duncan, in attacco, deve accontentarsi di qualche scarico sulle penetrazioni (molte) delle guardie e di raccogliere qualche punticino a rimbalzo offensivo. In difesa chiaramente è “The Goalkeeper”, il portiere! Tutto quello che possono rischiare gli esterni dei Bulls è strettamente legato alla presenza dietro dell’uomo da Virgina Union, in attesa sempre che Thomas “educhi” i propri salti, paurosi, ma non sempre sfruttati nel contesto di una buona difesa.
Il gioco di Skiles, dicevamo. A molti ricorda il playbook di qualche grande college (Indiana?) e sicuramente dei riferimenti ci sono. Il tiro da 3 punti è di vitale importanza come ormai – sigh – per qualsiasi squadra NBA, e non solo, ma è il così detto “in-between game”, il gioco in mezzo tra l’arco e l’area pitturata, a caratterizzare le “manovre” dei giovani Bulls.
Tanta motion, un po’ di flex offense, molti blocchi, gioco senza palla, utilizzo molto più marcato del lato debole. Alcuni dei movimenti caratteristici si riferiscono ad azioni che prevedono blocchi dei lunghi anche lontano da canestro (gomiti dell’area) sfruttati con movimenti “curl” dagli esterni. In più, a confermare questa tendenza di gioco, credo che Chicago abbia la più alta percentuale di giocatori in grado di mettere un arresto-e-tiro dai 4-5 metri di tutta la NBA!
Un altro “fondamentale” per il quale non si riscontrano grosse carenze dalle parti dello United Center è quello che raramente provoca statistiche da scrivere sul foglio, ma ti fa vincere, dal torneo 3vs3 al campetto fino ad un anello NBA o una medaglia olimpica: il cuore! Questi Bulls ne hanno da vendere, come il loro allenatore, buttarsi sul campo per recuperare o solo toccare un pallone è cosa di tutti i giorni, e la difesa, la determinazione in generale, sono ingredienti fondamentali nella ricetta di Scott Skiles. E’ così la squadra che lui sogna, e che sta dirigendo a mio avviso con allarmante (per chi deve dare il premietto alla fine dell’anno) intelligenza e capacità, tanto appunto da far pensare che anche qui soggiorna uno dei (pochi) potenziali vincitori del titolo di “Coach of the year”.
La cosa fondamentale è sicuramente una: aver dato come coaching staff e ancor prima come dirigenza della franchigia una linea ben precisa da seguire, per tutti quelli che lavorano nell’organizzazione Bulls, giocatori e non solo. Quante squadre NBA ci sono – per il semplice fatto di esistere e giocare nella Lega – ma ci chiediamo quotidianamente:”Cosa stanno facendo?”. A volte, veramente, non si capisce! Chicago, evidentemente ha un piano, un programma. Poi il campo a volte cambia le carte in tavola, il destino – è bello che sia così – e la fortuna girano la storia, da una parte o dall’altra, ma il lavoro (quello che in palestra predica Skiles) deve rimanere quello di programmare e nel limite del possibile, concretizzare. Concretizzare gli scambi, le scelte, così come le idee disegnate su una lavagna in spogliatoio. E Chicago lo sta facendo, come detto, al contrario di altre franchige perennemente in ricostruzione (Atlanta, Milwaukee, ecc. ecc. ecc. i nomi li sappiamo tutti).
Dove può portare tutto questo? Al momento ai playoffs, difficilmente oltre un’ottimo traguardo come sarebbe una finale di conference.
E’ allora il momento di scambiare? Non sembra…Siamo tornati a parlare, “rumoreggiare” come è bello fare nell’off-season, dei soliti nomi, Garnett, appunto, e Gasol. Ma per il momento…nada! Intanto dal draft è arrivato Noah, altro lungo molto mobile, mani educate, istruito al gioco in quel di Florida dall’allievo preferito di Pitino, Coach Donovan. Abituato a pressare tutto campo, anche stazionando in punta, e sicuramente uno dei più pronti, da subito, a calcare un parquet NBA. Alla 9^ chiamata il futuro potrebbe raccontarci di un “furto con scasso” da parte di Paxon&C.