E sempre difficile, quanto fastidioso per certi versi, fare dei paragoni. Lo è ancora di più quando si deve scomodare una squadra, il Dream Team, che è entrata a far parte dellimmaginario collettivo, di appassionati e non, come la miglior squadra di sempre, di qualsiasi sport.
Non a caso, forse più per le scottature prese in ambito internazionale che per reale modestia, la nazionale americana ha deciso da qualche hanno a questa parte di farsi chiamare Team USA, ma mai come nellultimo torneo Panamericano, la squadra di coach K si è avvicinata, almeno numericamente, alla squadra che fu di Bird, Magic e Jordan.
Un dominio che non appare solo nei numeri, in ogni caso impressionanti (oltre 116 punti realizzati per sera, ben 39.5 la media scarto), ma soprattutto dalla rinnovata supremazia sul campo.
E vero che il torneo delle Americhe non rappresentava di per se un banco di prova impegnativo per Kobe e compagni, visto che lavversaria più accreditata, lArgentina, si è presentata senza le sue punte di diamante (Ginobili, Scola, Oberto, Herrmann e Sanchez) e che laltra pretendente alla finale, il Brasile, non ha ancora quella solidità mentale e tecnica che serve per superare gli ostacoli maggiori. Il problema principale dunque, per Team USA, era quello di verificare la convivenza tecnica ma soprattutto caratteriale, tra Carmelo Anthony, LeBron James e Kobe Bryant, questultimo, allesordio con la maglia della nazionale statunitense, giocatore tanto forte quanto ingombrante.
Dopo il primo periodo d’ assestamento, normale quando nel branco entra a far parte un altro maschio dominante, Bryant, che di situazioni simili ne ha già vissute, questa volta ha avuto lintelligenza (e la furbizia) di fare un passo indietro, lasciando il proscenio al più giovane compagno LeBron, autore tra laltro di un torneo da vero marziano, mettendo in mostra una grande sicurezza nel tiro da fuori, che però dovrà essere confermata quando le difese saranno di un altro livello.
Quello che fu il figlio di Jelly Bean, si è messo al servizio della squadra, prendendo e annullando lesterno avversario più pericoloso, accendendosi in attacco solo nei momenti giusti, quelli dove bisognava fare la differenza. Stesso atteggiamento adottato da un altro veterano, quel Jason Kidd, che vanta un invidiabile record di 43-0 con addosso la maglia a stelle e strisce.
E forse, la prima grossa differenza tra questa squadra e quelle infauste, protagoniste in negativo negli ultimi anni, è stata proprio la qualità del back court, che oltre ad un Bryant in più nel motore (che già da solo fa la differenza), ha completamente rivoluzionato il pacchetto dei playmaker, facendo salire vertiginosamente il tasso di esperienza e talento. E scontato dirlo, ma la coppia Chris Paul, Kirk Hinrich è lontana anni luce dal terzetto composto da Kidd, Billups e Deron Williams, con questultimo che sembra destinato a superare nelle gerarchie il più esperto collega dei Detroit Pistons.
Fondamentale anche la presenza di tiratori naturali come Redd e Miller, puntuali nel punire le difese, che inevitabilmente hanno dovuto concedere qualcosa per arginare la potenza penetrativa degli esterni americani.
Solita costante lapporto di Melo Anthony. Il giocatore di Denver, che ha dichiarato di divertirsi un sacco nel basket FIBA, è stato utilizzato per lo più nel ruolo di ala forte, mettendo in mostra, se mai ve ne fosse bisogno, un arsenale offensivo che forse non ha eguali nemmeno tra i suoi colleghi NBA.
La mancanza di una vera ala forte di ruolo però, potrebbe essere lunica pecca di una squadra allapparenza imbattibile. Infatti, dei tre lunghi presenti a roster, Dwight Howard, Tyson Chandler e Amare Stoudemire, solo questultimo ha le qualità e la competenza tecnica per giocare più lontano da canestro, fatto questo, che ne impedisce lutilizzo congiunto per troppi minuti. Una coperta che, a lungo andare, potrebbe diventare ulteriormente più corta quando la strada di Team USA si incrocerà con squadre di un certo livello, provviste di lunghi importanti, come possono essere Spagna, Grecia, Argentina (al completo) e lo stesso Brasile nel momento in cui Nenè non fosse perennemente infortunato.
A proposito delle altre squadre, missione compiuta per unArgentina come detto rimaneggiata, che centra la qualificazione alle Olimpiadi, grazie allMVP della manifestazione Luis Scola (19.5 punti, 7.5 rimbalzi di media con il 55% dal campo), sostenuto da un ispirato Pablo Prigioni (miglior assist man del torneo) e da un solido Delfino, un fattore anche a rimbalzo.
Solo 4° il Brasile che, nonostante un Barbosa da oltre 21 punti per gara (miglior realizzatore del torneo, ma ha bucato pesantemente la partita con gli USA e in parte quella contro Portorico), ha pagato e non poco lassenza di Anderson Varejao, assenza in parte surrogata da un ottimo Tiago Splitter.
Si conferma 3° forza continentale Portorico, travolta in finale da Team USA, ma vittoriosa nella finalina contro il Brasile, grazie allapporto dei suoi due giocatori di più talento, Larry Ayuso e Carlos Arroyo, autore di un 30+10 assist proprio nella partita contro i verde oro.