Un evento scontato è dire poco. Anzi, è una di quelle cose che, prima o poi, lo sai, dovranno succedere.
Lentrata di Phil Jackson nella Hall of Fame del basket è uno di questi avvenimenti. Ovvio, scontato e potremmo usare altri cento sinonimi. Ma fa sempre impressione pensare che, chi ha scritto una delle pagine più importanti nel libro della storia del basket, abbia ancora la possibilità di scriverne ancora. E non importa se la penna di Jackson abbia poco inchiostro (questi Lakers ne hanno davvero poco) ma, a vederlo in faccia, sembra che a lui la voglia di continuare a scrivere non manchi proprio. Con i Lakers oggi e, chissà con chi, in futuro.
Lelezione avvenuta il 7 settembre scorso ha coronato una carriera importante. Una storia fatta di successi e personaggi incredibili. Ma non solo.
La carriera di Jackson, giocatore prima e di allenatore poi, è stata contraddistinta dallo stile.
Saranno state le origini, la mentalità, leducazione ricevuta, o un po tutte queste cose messe assieme, a fare di Jackson quello che è stato e che continua ad essere.
Il giocatore, ragazzone con la barba con la maglia numero 18 dei Knicks, aveva nel solo colore dei capelli, la parvenza di un ragazzo. Neppure il fisico era quello di un ragazzo normale. Era maturo si vedeva, non la stella di una squadra, non il leader dei punti segnati. Era di più, molto di più. Non un predestinato, ma solo le circostanze negative e i bivi della vita, quelli che se sbagli è troppo tardi, gli avrebbero negato la carriera che ha avuto come allenatore e avrebbero fatto di lui un solo buon giocatore anni settanta.
Perché da giocatore nei Knicks negli anni settanta divenne subito giocatore-assistente allenatore nei Nets primi anni ottanta, non certo una cosa da tutti i giorni. La strada da coach gli si era aperta davanti. Coach in CBA negli Albany Patroons, divenne al termine di questa esperienza assistente allenatore di Doug Collins nei Chicago Bulls, prima di diventare capo allenatore sostituendo proprio Collins. Il resto lo sappiamo tutti.
Sarà stato linfortunio alla schiena, che lo colpì nella stagione 1969/1970 del primo titolo dei Knicks, ad averlo fatto maturare più in fretta? Saranno state le vittorie ed i successi che lo hanno fatto molto più giovane di quello che in realtà è con i suoi 62 anni? E’ sicuro che Jackson sembra vivere, nella sua terza età, una seconda giovinezza.
Con il suo bastone si è presentato alla conferenza stampa, dritto e rigido come sempre. Con la sua sedia ortopedica gira da anni lAmerica nelle arene NBA, ormai un segno che contraddistingue la panchina della sua squadra.
Dallalto della sua sedia ha visto correre tutti i tipi di giocatori, dalle stelle assolute ai giocatori solo di passaggio in NBA. Ha costruito due dinastie, una lunga sei anni, laltra tre, con le maglie dei Chicago Bulls e dei Los Angeles Lakers. E stato il punto di riferimento delle sue squadre nonostante lego che alcuni dei suoi giocatori avevano sui compagni e tifosi. E stato il padre putativo in campo per molti dei suoi giocatori, la figura del padre che non si vuole lasciare o, al contrario, che si vuole raggiungere dopo tanto tempo, quando si è lontani. Come successo nel caso di Pippen ai Bulls (si ricorda di dissapori tra lui e Jackson in una partita la cui azione decisiva fu affidata alle mani di Toni Kukoc) o di Kobe Bryant (nel famoso libro di Phil Jackson, Kobe non venne proprio definito il giocatore migliore da allenare): entrambi continuarono o lo fanno tuttora a giocare nella loro squadra, solo per la presenza del loro coach. Anche il caso di Horace Grant, che tagliato fuori dai Bulls di Jackson (probabilmente proprio dal suo coach) e andato free agent agli Orlando Magic nel 1994, raggiunse il suo allenatore nella sua ultima stagione da professionista ai Lakers.
Pensare a Jackson, ragazzo forgiato dallattività religiosa dei suoi genitori, ed abituato alla calma del Montana, che si ritrova in una città come New York a giocare, tra guai fisici e pressioni dei media e del pubblico, rende lidea della sua personalità e del suo genio ad allenare. Pochi giocatori infatti con le sue medie (6.7 punti and 4.3 rimbalzi in carriera) hanno avuto la sua carriera come capo allenatore.
Ma del resto, lo abbiamo già detto, Phil Jackson era molto di più che un semplice giocatore.
Ovvio e scontato è stato elogiare un grande del basket. Ma del resto ce lo impone la storia.
Tutto bello sì, per le critiche… beh non è questo il luogo adatto. Siamo nella Hall of Fame, no?