La verità, oltre a essere il soprannome del capitano Paul Pierce, è anche quella…”cosa” che tifosi dei Celtics e non cercano in questa stagione 2007-2008.
La verità sul lavoro di Danny Ainge: da molti ritenuto un genio, da altrettanti un incompetente, da qualche anno ribalta il roster biancoverde a proprio piacimento, prima per dar sempre più spazio alle proprie scelte del draft, a qualche free-agent di scarso valore, poi per inserire accanto a Pierce una coppia di autentici all-star come Allen e Garnett.
Nessuno se l’aspettava, nemmeno i più ottimisti, ma Danny (con l’amichevole aiuto del GM dei T’Wolves McHale, nel caso di KG) è riuscito dove hanno fallito tanti altri, sponda Lakers per primi. Strappare Garnett al lento e desolante declino di un finale di carriera da togliersi il cappello, per fedeltà a una maglia, ma sicuramente non proporzionato, in quanto a possibilità di successo, alla grandezza dell’ex-21.
Ray Allen da anni è il miglior tiratore – e non solo – in circolazione nella Lega: deportato a Seattle, dopo le prime stagioni a Milwaukee, non ha più dato notizia di se, se rapportato ai risultati di squadra, mentre con un quarantello qua, una tripla per vincere una gara là, si è sempre mantenuto sul radar di tutti i GM americani. Perchè nessuno ha creduto in lui? E ancora: perchè vere e ufficiali proposte per avere Pierce non sono arrivate sul tavolo di Ainge?
La verità, questa vogliamo, questa dobbiamo ricercare…La risposta ai precedenti quesiti è semplice: per molti/tutti la verità è già scritta, e parla inesorabilmente di giocatori perdenti! Mai etichetta è stata più brutale, più “pesante” da sopportare, da portarsi appiccicata alla fronte. Nessuno vuole un perdente al quale garantire svariati – tra l’altro – milioni di dollari. Allora li ha voluti tutti Ainge? Rivers? La proprietà? Pierce (magari per non sentirsi solo nel non sempre ristretto club di cui sopra)?
Doc Rivers ha avuto un esaltante esordio come coach in quel di Orlando. Squadra scarsina, giocatori non dotati tecnicamente ma col cuore grande come la Florida (Armstrong vi dice nulla?). La nomea di coach gradito ai giocatori (meglio se afro-americani), in poche parole già sulla rampa di lancio verso una brillante carriera da allenatore. La chiamata di Boston, il dovere di riportare ai fasti di un tempo la franchigià al momento – ebbene sì – ancora più vincente dello sport professionistico americano.
Ha faticato Rivers, in quello che deve essergli sembrato spesso, troppo spesso, un lavoro da allenatore di college, se non di high scholl, se non addirittura da insegnante che trovi ai camp estivi. Prendere giocatori come Green, Perkins, Jefferson, e insegnargli tutto, ma proprio tutto, dalla A alla Z di come si sta in campo, non solo di come si vive l’avventura NBA (cosa che devono imparare tutti, anche i laureati dopo 4 anni di college).
La squadra difficilmente ha mostrato un’idea di gioco, non ha mai avuto in questi anni un’impronta precisa di quel che poteva essere la filosofia del proprio coach: si corre? Si gioca a metà campo? Si difende a zona? Si pressa? Si dà la palla a Pierce e si sta tutti a guardare? S’è visto tutto questo e non solo, s’è visto a fasi alterne, è sembrato quasi casuale il cambiamento da un atteggiamento tecnico/tattico all’altro, più dettato dagli umori degli interpreti sul parquet che da precise indicazioni del coaching staff.
L’etichetta è stata stampata, inviata all’indirizzo giusto e appiccicata: anche Rivers è un perdente!
Ora, tiriamo le somme: un biondino antipatico ai più come grande manovratore dietro la scrivania, un trio di perdenti patentati a gestire la palla e un allenatore qualunque a scaldare la panchina del “nuovo” Garden.
E’ tutta qui la verità? Se è così, non vedo il motivo di seguire assiduamente i Celtics in questa stagione, di sperare che sia la volta buona che le buonanime di Sky (e Sport Italia, perchè no?!?) ci mostrino qualche partita in più di Pierce&C., di farsi chilometri perchè già in pre-stagione non possiamo mancare l’appuntamento del PalaLottomatica contro i Raptors.
O forse, come cantavano gli Extreme (anche loro di Boston…casualità?) esistono “Three sides to every story”…la mia, la tua e…la verità! Ma guarda un po’…
Allora diciamola questa verità: questa squadra è stata costruita da un buon GM, uno che fa il suo lavoro senza essere un fenomeno, che garantisce continuità tecnica rifirmando il proprio allenatore contro chiunque, la stampa e l’opinione pubblica in primis, che ha un progetto serio per ricostruire, che ha nel cuore le sorti di questa franchigia. E ora è arrivato il momento di vincere! Ha assemblato un roster niente male, se pensiamo che dietro al super-trio sono arrivati un tiratore come House, un lottatore e difensore come Posey, gente di esperienza per rinforzare la panchina come Pollard, senza dimenticare i giovani: Rondo, Tony Allen, Glen Davis, Leon Powe. Prima di tutti questi, chiaramente e l’abbiamo detto, il trio delle meraviglie, un concentrato di talento, abilità, esperienza che nessuna squadra NBA ha! Forse Detroit con i suoi fantasmi, sicuramente S.Antonio per il concetto di squadra inculcato dal coach e dalla dirigenza alle stelle Duncan, Parker e Ginobili. Ma così…NESSUNO!
E’ la stagione della verità, nemmeno la finale di conference sarebbe un risultato accettabile: c’è solo l’anello nel futuro dei Celtics, ed è tempo di lottare per riaverlo (sarebbe il 17°, scusate), non c’è modo, in questa imminente viglilia di training camp europeo, di nascondersi dietro a qualsivoglia dito.