[i]And now…for you…Chicagooooooooooooooooooooooooooo Buuuuuuuuulllllllsssssssssssssssssss[/i]…anche quest’anno, sulle note di Syrius (Allan Parson Project) riparte la stagione cestistica dei Tori di Chicago. Una stagione da cui ci si attende molto, in termini di risultati, anche se la dirigenza, il management ed i giocatori sanno benissimo che il livello medio dell’Est sta pian piano risollevandosi e che non sarà facile farsi strada nei playoff.
Le novità sono poche rispetto allo scorso passato, com’è normale che sia per una squadra che è arrivata al secondo turno dei playoffs e se l’è giocata in buona sostanza alla pari con i Pistons, portandoli fino a gara6. Partito il vecchio PJ Brown la squadra di Skiles si affaccia a questo campionato con ambizioni di alto livello ma anche con qualche dubbio. Non è iniziata bene, ad esempio, la stagione di Tyrus Thomas, l’ex LSU infatti è incorso nelle ire di Scott Skiles (uno che da giocatore non s’è fatto tanti problemi a provare a fare a botte con il giovane Shaq, per dire..) che non ha apprezzato il suo scarso (sempre a dire del coach) lavoro sul jumper dalla media e lunga distanza. Secondo chi vi scrive questo, per Thomas, è un falso problema: atleticissimo ed ipervolante, il #24 più che ad un tiro decente dalla lunga sembra mancare proprio di maniglia e controllo della palla in genere (specialmente nello stretto) per diventare un’ala piccola in pianta stabile, appare, allo stato attuale delle cose, più probabile un’evoluzione in stile-Luol Deng o meglio ancora Shawn Marion (a cui è paragonato ormai da tutti): ossia un’ala senza un ruolo specifico definito, capace di fare balzi mostruosi e di volare sopra le teste degli avversari così come di prendersi un piazzato piedi per terra, ma non adatta a giostrare il gioco palla in mano. Certo quel che al momento frena Thomas è un’applicazione difensiva così così, ed una struttura fisica che lo penalizza soprattutto contro i 4 veri (che subisce enormemente).
Parlavamo di novità, l’unica novità sostanziale nel roster di Chicago è quella dell’arrivo di Joakim Noah, ala/centro da Florida che ha riscritto, insieme ai suoi compagni, i canoni del “dominio” a livello collegiale negli ultimi 2 anni. Il figlio di Yannick, potrebbe, a sorpresa ma non troppo, prendersi da subito un posto in quintetto, considerando che accanto all’intoccabile (per mille ragioni non tutte squisitamente tecniche) Ben Wallace, partito il veterano Brown, nè Thomas, come detto, nè Joe Smith, nè, pur apprezzandone doti e carattere, Andres Nocioni, convincono appieno. Così il rookie arrivato con l’ultima prima scelta dei Knicks finita ai Bulls nell’affare Curry, potrebbe partire nei primi 5, integrandosi con Wallace nel reparto lunghi (il gioco di Skiles prevede una sostanziale identità di compiti per il 4 ed il 5) pur non essendo quella [i]presenza[/i] in post basso che, a dire del GM John Paxon, è l’ultimo tassello per completare il [i]puzzle[/i] di questi Bulls. In ogni caso finalmente Skiles avrà un lungo giovane, alto ma con piedi velocissimi, in grado di rendere assieme a Wallace l’area dei tori un vero e proprio fortino. In attacco, a meno di clamorosi sviluppi (ci torneremo) ancora una volta le chiavi saranno in mano al trio Kirk Hinrich-Ben Gordon-Luol Deng. Hinrich ha sorpreso, lo scorso anno, per la capacità di diventare un play “vero” a fronte di una carriera collegiale e non solo perennemente in bilico tra i due ruoli. Di contro tra gli esterni è quello che più ha deluso durante la finale di conference contro i Pistons, massacrato, fisicamente e non solo, dagli esterni della squadra di Saunderss. Dai suoi miglioramenti (letture, tiro dalla media, coinvolgimento anche dei lunghi) passa tanto del futuro di questi Bulls.
[i]Gentle[/i]Ben Gordon invece ha confermato quanto di buono si è sempre detto su di lui: piccolo è piccolo, tanto da costringere i Bulls ad adeguamenti difensivi perenni, con Hinrich spesso sacrificato in difesa su una guardia più alta, grossa e pesante di lui per evitare che qualsiasi big guard NBA vada a prendersi un isolamento in post basso contro Gordon, ma come si dice, ha cuore e coglioni che fanno provincia. La guardia ex Connecticut (dove evidentemente insegnano bene il fondamentale del tiro) ha giocato dei playoffs favolosi, almeno nella metà campo offensiva, confermandosi punto di riferimento per l’attacco Bulls soprattutto quando c’è da inventarsi qualcosa a “giochi rotti”. Anche quì però non mancano i dubbi, anche lui, come il collega di reparto Hinrich ha mostrato contro i Pistons di soffrire le squadre che gli riservano una marcatura molto fisica (ed in questo i Pistons sono maestri), inoltre, come detto, non solo la sua presenza in campo costringe la difesa a contiuni adeguamenti (in un basket sempre più perennemente orientato ai lunghi che giocano esterni si può dire che il 90% delle guardie NBA può tirargli in testa) per quanto la sua applicazione non appare quella feroce che contraddistingueva, per dirne uno a caso, lo Skiles giocatore. Proprio però da Skiles arrivano i complimenti più importanti per Ben: [i]”Ben’s summer ranks right there with the greatest summer I’ve seen from a player”[/i]. Gordon è chiaro: [i]”I love to get better, that’s the reason I play. That’s the reason I started. It was never about maybe making a million dollars playing basketball. So I still have that same love for the game and that same drive. Until that goes, people will see me here every summer working hard and trying to get better.[/i].
Il terzo del lotto è Luol Deng ed è anche la maggior sorpresa di questi Bulls. L’inglese viene da una stagione terrificante per impatto e consistenza, una stagione dove si è imposto come uno dei migliori tiratori dalla media della lega (e si badi che al concorso sono iscritti tralaltro gente del calibro di Rip Hamilton o Dwayne Wade) una stagione che se confermata quest’anno, lo proporrà come una delle migliori ali piccole della lega. C’erano molti dubbi su Deng lo scorso anno, molti temevano che potesse soffrire della cosiddetta sindrome di Duke, ossia l’incapacità di confermare quanto di buono mostrato al college sotto la guida di Mike Krzyzewski (minuto di silenzio signori) al piano superiore. Deng invece dopo un inizio lento ha massimizzato quelli che i suoi critici ritenevano essere i suoi più grossi limiti: non ha un buon trattamento di palla, specialmente dal palleggio ed è un giocatore perennemente in bilico tra il ruolo di 3(che è suo per altezza e costituzione fisica) e di 4(istinti e tecnica). Deng, aiutato da un gioco che Skiles sembra avergli costruito su misura, gioca molto poco con la palla in mano, è perennemente in corsa a tagliare per il campo (preferibilmente in orizzontale sulla linea di fondo) e quando riceve può tirare dalla media(con un tiro che ormai è automatico, a confermare la teoria che il lavoro paga e che la storia dei predestinati è vera fino ad un certo punto) o andare verso il ferro, sfruttando la velocità, l’agilità e la capacità di chiudere una penetrazione.
Detto dei titolari Skiles ha una panchina forse non ricchissima di talento puro ma sicuramente in linea con la sua idea di squadra: sudore, lacrime e sangue. Quello che più si avvicina a quest’idea è senz’altro Andres Nocioni, l’ala argentina che ha di recente rinnovato il contratto con la franchigia dell’Illinois e che andrà a guadagnare 38 milioni di dollari nei prossimi 5 anni, è un giocatore fondamentale per questi Bulls molto aldilà delle cifre che mette a referto. In primis l’argentino è un giocatore che, come i titolari, non ha un ruolo definito: nè 3 nè 4 ma un pò di entrambi Nocioni è, potremmo dire, l’anima nera, dei Bulls, uno che non ha paura di andare a muso duro contro Sheed Wallace, uno che magari segna poco ma non ha paura di prendersi la tripla decisiva o di lottare alla morte a rimbalzo ed in difesa. Detto di Nocioni probabilmente in panchina i Bulls hanno il giocatore, che se tutto dovesse procedere bene, risolverebbe i problemi di stazza del backcourt per i prossimi 10 anni, parliamo dello svizzero Thabo Sefolosha, giocatore dal talento veramente poliedrico e soconfinato, in grado di mettere una tripla come di andare in palleggio fino in fondo o di smazzare assist al bacio. Lo scorso anno Skiles non ha avuto paura di fargli “assaggiare” il parquet anche in situazioni scabrose, e l’ex Biella non ha deluso il suo coach rispondendo sempre presente. Nononostante il talento offensivo sia veramente degno di rilievo quello che più ha impressionato lo scorso anno è stata la capacità di difendere su qualsiasi tipo di esterno che Sefolosha ha dimostrato, incollandosi anche a gente del calibro di Wade (ok, un Wade [i]leggermente[/i] condizionato dagli infortuni, ma pur sempre Wade) soffocandola con l’irreale combinazione di braccia chilometriche, la stazza (parliamo di un esterno di oltre 2 metri per un centinaio di kg di peso) ed agilità fuori dal comune. Certo, parliamo di un secondo anno che l’anno scorso ha giocato poco più di 10′ di media, ma il talento ed il fatto che un coach come Skiles si fidi di lui, lascia ben sperare. Oltre a Nocioni e Sefolosha in panca ci saranno Tyrus Thomas, che come detto viene da un’estate di lavoro che non ha proprio contentato il coach e che sarà chiamato a spartirsi minuti in un reparto non ricchissimo di talento ma sicuramente enorme dal punto di vista delle alternative, Joe Smith che, almeno all’inizio, prenderà le mansioni che erano di PJ Brown in attesa che Noah sia un giocatore affidabile, Chris Duhon, play guerriero ed Adrian Griffin cambio degli esterni dalle spiccate caratteristiche difensive. Accanto a loro due incognite: Viktor Khryapa reduce dal trionfo all’Europeo, ha dimostrato che impiegato continuativamente può dare molto, il problema è che con la nazionale russa l’ex CSKA ha giocato da ala forte e che nel ruolo i Bulls sono piuttosto coperti, ed Aaron Gray centrone vecchio stampo da Pittsburgh, uno che come atleticismo probabilmente è degno dell’attuale Mutombo, ma che conosce il gioco e che soprattutto, gioca spalle a canestro. Scelto quest’anno potrebbe, se riuscisse a trovar spazio,essere una sorpresa.
Sopra parlavamo (no, non siamo in due, sono io e le mie personalità multiple) di clamorosi sviluppi. Se non lo avete ancora intuito vi suggerisco il titolo di un articolo reperible in rete a firma di Brent Diggins: [i]Kobe And Deng: The Next Jordan And Pippen?[/i]. Aldilà dei voli pindarici della mente umana che solo sotto LSD dovrebbe essere autorizzata a metter Deng vicino a Pippen la candidatura di Kobe a Chicago sembra non esser solo un sogno. In primis lo stesso Bryant avrebbe indicato i Bulls come una soluzione a lui gradita qualora, come sembrava quest’estate e come potrebbe avenire da quì al prossimo anno, dovesse chiedere di essere ceduto. In secondo luogo l’affare sembra possibile proprio perchè i Bulls hanno un roster lungo e ricco di giovani che potrebbero aiutare i Lakers a ricostruire velocemente. Infine quale sfida potrebbe solleticare di più l’ego sterminato di Bryant se non quella di vincere lì dove non si vince più dal ritiro del più grande ogni tempo?
Chiariamo, al momento parliamo di fantamercato che nemmeno Mosca, ci sarebbero problemi enormi dal punto di vista salariale da sistemare, oltre al coraggio, sia da parte dei Lakers che da parte dei Bulls di far partire uno scambio così pesante. Tantopiù che i Lakers, pur di non perdere Bryant (e di non dover ricostruire) stanno provando a portare Marion (amicone del bistecca) in gialloviola. Di certo c’è che qualora i Lakers entrassero nell’ordine di idee di cedere Bryant i Bulls sarebbero in pole. Che poi vuol dir tutto e non vuol dir niente, come la vicenda KG dovrebbe insegnare.
Che prospettive hanno questi Bulls? Difficile dirlo. L’Est appare, passati gli anni bui, esser di nuovo competitivo e ricco di alternative: i nuovi Celtic del trio Allen-Garnett-Pierce, LeBron ed i suoi prodi, le sempre vive Miami (con Shaq e Wade in salute, pare) e Washington (che ritroverà Arenas e Butler), l’incognita dei Pacers e degli internazionali Raptors i Knicks ed il loro reparto psichiatrico e soprattutto i Pistons (e relative condizioni psicologiche) formano una pattuglia di squadra che, chi più chi meno, ha ambizioni di un posto al sole. In un panorama così variegato (e che potrebbe essere addirittura più incasinato se dovesse uscire una delle classiche sorprese stagionli, tipo Phila od Orlando) riusciranno i Bulls a confermarsi tra le prime quattro forze ad Est ed anzi a provare a migliorare ancora?