Quest’estate ha dichiarato di aver trovato Dio, ora probabilmente è in cerca di se stesso.
Stiamo parlando di [B]Stephon Marbury, playmaker di una delle peggiori squadre di questo inizio campionato, i Knicks[/B].
Certo, Dio non è che lo fosse proprio andato a cercare lui. Diciamo che è stata la moglie a farglielo trovare, dopo che durante il dibattimento della causa intentata al suo coach e GM, Isiah Thomas, venne fuori che Marbury, chiamato a testimoniare a favore dei Knicks, ebbe una scappatella con una cheerleader sui sedili posteriori del suo SUV.
La moglie, che sulle prime si dimostrò molta sportività, affermando al marito che in effetti un errore tutti nella vita l’avrebbero potuto fare, ricredutasi sulla vicenda, scese in garage e diede fuoco a tutte le auto di Steph, che dopo aver capito chi fosse l’artefice del falò, si sentì dire dalla moglie, sostanzialmente [I]”O trovi Dio domani, o ti faccio causa e mi porto via tutti i tuoi soldi e i figli”[/I].
Il giorno dopo, la famosa affermazione in sala stampa di Steph che disse [I]”Ho trovato Dio”[/I].
In genere, quando la prestagione si presenta in questi termini, difficilmente ci si può aspettare che il prosieguo sia molto diverso, dato che come dice il detto, [B]il buongiorno si vede dal mattino.[/B]
E in effetti, la stagione di Marbury è andata più a sud di quanto non ci potesse immaginare.
Già detto, in un articolo precedente, che il duo Thomas-Marbury si rese protagonista, in novembre, della vicenda successa nell’aereo che portava la squadra in trasferta a Phoenix, quando Thomas comunicò al proprio Play che per lui i piani erano cambiati e si profilava l’uscita dal quintetto e Stephon, per tutta risposta, abbandonò la squadra tornando a New York, con annessa minaccia al General Manager e successiva reintegrazione in squadra, c’è da registrare quello che è stato probabilmente il momento più basso della carriera del Coney Island Finest, coincisa, purtroppo, con la scomparsa del padre.
Il [B]2 dicembre[/B] infatti, durante la partita dei Knicks contro Phoenix giocata al Madison Square Garden, seduto al suo solito posto sugli spalti, [B]Donald Marbury[/B], sesantottenne papà di Stephon, si è sentito male ed è stato trasportato immediatamente all’ospedale più vicino, dove è poi in seguito [B]spirato a causa di un attacco cardiaco[/B].
Il figlio, all’oscuro di tutto, concluse la partita e venne poi a sapere in seguito la disgrazia che era successa, prendendosi in seguito, come giusto che fosse, una pausa di qualche giorno prima di riprendere gli allenamenti, saltando così la partita, vinta, contro i Nets, e rientrando nella partita del 7 dicembre persa a Philadelphia per 101 a 90 dai 76ers con 13 minuti in campo.
Ma proprio il giorno successivo, nel back to back contro i 76ers, ci fu il [B]crocevia della difficile convivenza della star[/B] di Coney Island con i New York Knicks. Dopo 24 minuti di gioco, infatti, Marbury, che pur era partito in quintetto dichiarandosi pronto, [B]si autoescluse dalla partita[/B], non rientrando più nel secondo tempo.
A fine partita dichiarò che [B]in quel momento non si sentiva in grado di giocare in una lega professionistica[/B] di basket, dando quello che in un primo momento sembrò un addio alla squadra della sua città.
Il suo [B]rientro in campo avvenne solamente il 17 dicembre[/B], contro i Pacers, partendo dalla panchina. Ma [B]due giorni dopo[/B], contro Cleveland, Marbury [B]nuovamente non scese in campo, saltando anche le successive 4 partite[/B]. Il ritorno in campo avvenne quindi in casa il 2 gennaio contro i Kings, che batterono i Knicks per 107 a 97, con Stephon che giocò comunque 30 minuti e segnò 16 punti.
Il [B]ritorno in quintetto[/B] avvenne la partita successiva, [B]il 4 gennaio[/B], quando con 44 minuti giocati e 24 punti, mantenne la sua squadra in linea di galleggiamento fino alla fine, arrendendosi di 4 punti, 97 a 93, ai campioni in carica di San Antonio.
Per la prima vittoria, però, Marbury ha dovuto attendere la partita dell’8 in casa dei Chicago Bulls, dove con 2 triple negli ultimi minuti ha dato il la a quella che è stata la prima vittoria di New York dopo una striscia perdente di 9 partite, e la sua prima vittoria addirittura dal 30 di novembre.
In mezzo a questo calvario, oltre alla scomparsa del padre, ci sono stati i [B]boooh del pubblico[/B] che lo aveva accolto come un beniamino giusto 4 anni fa (e nessuno ovviamente si è sognato di celebrare l’avvenimento). Una pantomima, per la verità abbastanza squallida, organizzata dai Rockets, dove [B]un finto tifoso di NY, con la maglietta di Stephon[/B] e la corona della statua della libertà, si è reso protagonista di una scenetta che lo vedeva con in mano una torcia, passatagli dalla mascotte dei Rockets per fare un numero con un pallone. Dopo poco, riprendendo la torcia e oscurando il finto tifoso, la mascotte metteva [B]un cartello “idiot” nella mano del finto Marbury[/B]. Una scena sicuramente di dubbio gusto nei confronti di Marbury e dei tifosi di New York.
Come se non bastasse, ma qui Marbury ci ha messo molto del suo, la [B]denuncia che Steph ha fatto all’Associazione Giocatori, denunciando il comportamento dei Knicks[/B], colpevoli di aver multato Marbury per essersi reso irreperibile per 24 ore dalla società, e di avergli successivamente “congelato” lo stipendio per le partite saltate dopo il rientro dal lutto per la morte del padre.
Certo, le reazioni alla morte di un parente così stretto possono essere molteplici, ma [B]non si può non pensar male[/B] sul comportamento di Marbury dopo il suo rientro, soprattutto conoscendo la situazione di forte conflitto che esiste tra il giocatore e la società, inteso come Isiah Thomas che però, per somma sfortuna di Marbury (e di tutta la tifoseria Knicks) è General Manager e Coach allo stesso momento. E non si può quindi non immaginare che il Coney Island Finest non abbia in qualche modo strumentalizzato il suo lutto, prendendo le distanze dalla società, che per la verità gli aveva già fatto capire di [B]non puntare più su di lui come prima[/B].
Un anonimo giocatore di Houston ha dichiarato che in questo momento le [B]chiavi della squadra[/B] di New York sono [B]completamente in mano a Crawford[/B], definito, dallo stesso giocatore, [B]Isiah’s pet[/B], l’animaletto di compagnia di Thomas insomma. E che questa completa libertà d’azione ai Knicks Marbury non l’abbia mai avuta in realtà. E questo Stephon, giocatore che si è autodefinito [B]il play più forte del mondo[/B], deve averlo digerito poco, puntando i piedi e andando contro le decisioni del coach.
Il tempo nella sua città direi quindi che è [B]finito[/B], e che, anche nel caso in cui Thomas dovesse terminare la sua permanenza a Ny, per Marbury ormai non ci sarebbe più posto, preferendo ripartire da quei (pochi) giocatori giovani e interessanti che si hanno. Il problema è che Marbury chiama per la prossima stagione, che è l’ultima del suo contratto, circa 22 Milioni di euro. E qui il dubbio dei Knicks può essere legittimo.
Lo si cerca di scambiare per una squadra che abbia merce pregiata e che possa pareggiare il contratto?
Ma chi si liberebbe di giocatori che chiamano un totale di 22 Milioni per una stella in degrado che ha un carattere così difficile.
Scambiarlo con qualche squadra che ha un cap libero e che voglia giocatori in scadenza per il prossimo anno ?
E chi con un salary cap con spazio può decidere di accollarsi uno stipendio del genere.. nemmeno un pazzo.
Concordare con Marbury un buy out e tagliarlo per mandarlo a giocare in un altra squadra ?
Il problema è che il buy out sarebbe quasi il 100% del contratto, dati i difficili rapporti con il giocatore.
Pagargli lo stipendio anche per il prossimo anno e lasciarlo scadere tenendolo tra panchina e DNP ?
Non risolverebbe il problema di avere una scheggia impazzita nello spogliatoio.
Chi vi scrive propenderebbe per l’ipotesi buy out, in modo da dare un taglio netto con i Knicks perdenti di questi ultimi anni. Ma purtroppo, o per fortuna, chi vi scrive non ha a che fare con il management di New York. Non resta quindi che seguire la prossima puntata di questa vicenda e aspettare una fine che sia, per una volta, positiva per la storica franchigia.