E’ difficile fare un articolo che dovrebbe descrivere i progressi dei due italiani attualmente in NBA, quando di progressi non se ne vedono.
E’ anche difficile provare a capire le cause di questi mancati progressi.
E se in un caso possiamo appellarci alla difficoltà che ha un rookie ad entrare nelle grazie, e nella mentalità, di un coach particolare come Don Nelson, dall’altra non ci sono apparenti motivi per giustificare una stagione da sophomore decisamente sotto le aspettative per Andrea Bargnani, dall’alto della sua prima scelta assoluta nel draft 2006.
Apparenti.
Perchè se si guardano solo le cifre, non si riescono a capire le reali [B]difficoltà del Mago[/B] di questo inizio di stagione. La media punti è crollata, siamo passati [B]dagli 11,6 della prima stagione[/B], con tutte le difficoltà avute all’inizio, [B]ai 9,2 di questa stagione[/B], quando cisi aspettava che l’impatto offensivo fosse decisamente più importante. E anche i [B]minuti[/B] sono decisamente diminuiti, scendendo [B]dai 25 della passata stagione[/B], che tiene anche
conto del primo mese in cui ha giocato molti pochi minuti, [B]ai 22 di questa[/B], media viziata da picchi di minutaggio sia verso l’alto sia verso il basso.
E proprio quest’ultima chiave di lettura inizia a dare un’idea delle difficoltà di Andrea. Il fatto di avere una [B]forbice troppo ampia di minutaggio[/B] tra partite in cui gioca più di 30 minuti e partite in cui ne gioca meno di 15 è indice di quanto il coaching staff non creda completamente in lui. E probabilmente non ha nemmeno ben chiaro che cosa chiedergli quando va in campo.
Bargnani da quando è in NBA è sempre stato un giocatore [B]vittima delle proprie percentuali dal campo[/B]. Ha un talento offensivo di primissima qualità, un range di tiro decisamente ampio e un rilascio della palla velocissimo per un 7 piedi. E quando riesce a essere su percentuali decenti, è un’arma decisamente letale in attacco. Ma come lui stesso disse dopo qualche partita nella lega, sono semplicemente tiri. A volte entrano, a volte escono. Lapalissiano, certo, ma assolutamente reale. E se fino all’anno scorso nelle serate in cui il tiro non entrava, al mago non si chiedeva più di tanto e lo si metteva a sedere in panca, questa stagione, con un anno di esperienza nella lega alle spalle, gli si chiede, giustamente, di essere in grado di [B]incidere con altre piccole cose[/B]. Ad esempio nei rimbalzi, aspetto del gioco che il Mago ha da sempre un po’ trascurato ma che quest’anno, con il progetto dei Raptors di spostarlo stabilmente in centro con Bosh da 4, diventa fondamentale approfondire.
Fin qui il discorso non fa una piega. Hai in squadra due lunghi che amano giocare fronte a canestro, e devi cercare di snaturarne uno per [B]creare un centro, magari atipico[/B], ma che ti permetta di avere entrambi in campo per poter sfruttare offensivamente l’arsenale che hai a disposizione. E ovviamente il prescelto per modificare le proprie caratteristiche è un sophomore che ancora deve indirizzare completamente il proprio gioco, di 22 anni e dalle grosse potenzialità.
Nulla da eccepire pare.
E invece qualcosa ci sarebbe. Perchè non si può partire con questo progetto senza esserne tecnicamente convinti. Prova ne è il fatto che dopo alcune partite, dove peraltro il mago non aveva nemmeno mal figurato, coach Mitchell ha cambiato idea riproponendo Bargnani come sesto uomo. Salvo poi ritornare sui propri passi dopo qualche partita e tornare all’assetto iniziale.
E questo è [B]l’appunto tecnico[/B] al trattamento riservato al giocatore nostrano dal coach dei Dyno’s. Poi ci sarebbe quello [B]psicologico[/B], forse ancora più importante. E’ corretto, anzi, correttissimo, chiedere al tuo centro che vada più convinto a rimbalzo e che alzi la propria intensità difensiva nelle giornate in cui offensivamente le polveri sono bagnate, perchè anche in queste giornate l’apporto alla squadra deve essere tangibile. Però quando questo accade, non si può non tenerne conto lasciando briciole di spazio al proprio giocatore. Perchè ci son state partite in cui effettivamente Andrea offensivamente ha avuto percentuali pessime, però ha saputo compensare con un buon apporto sotto le plance e un’ottima difesa, proprio come gli chiedeva Mitchell, che però pare non esserne interessato interamente, [B]punendo con il pino il giocatore nonostante l’applicazione messa in campo[/B].
Così facendo è chiaro che anche un giocatore che ha colpito la propria dirigenza per la freddezza dimostrata nonostante l’età, ne risente psicologicamente, non vedendo nè un chiaro progetto tecnico, nè avendo una solida percezione di cosa effettivamente voglia da lui il proprio staff.
La conseguenza di questo sono partite da 20 punti e 30 minuti in campo seguite da partite con 9 minuti e 2 punti. E anche alcune partite in cui è parso [B]molle e sfiduciato[/B], partite che chi scrive non ritiene giustificate dalle condizioni al contorno descritte sopra. Perchè è in momenti come questi che Andrea [B]dovrebbe essere più cattivo e più convinto[/B], dovendo dimostrare al suo coach quanta voglia abbia di riprendersi gli spazi che gli competono.
In sostanza, un anno perso per la crescita tecnica di Andrea, che però potrebbe imparare molto dal punto di vista caratteriale, [B]forgiandosi nelle difficoltà di questa stagione travagliata[/B].
Chi invece pare aver ben chiaro cosa gli viene chiesto dal proprio coach è [B]Belinelli[/B]. E al momento, per la sfortuna degli appassionati italiani, è di [B]supportare la propria squadra sventolando asciugamani dal fondo della panchina[/B].
In realtà il coach gli avrebbe anche chiesto, o meglio consigliato, di fare un'[B]esperienza in NBDL[/B], la lega di sviluppo, ma [B]Marco[/B], dimostrandosi molto sicuro di sè e convinto dei propri mezzi, ha declinato l’offerta dichiarando che [B]preferisce fare panchina in NBA ma allenarsi con la prima squadra[/B].
E anche qui, coach Nelson lo ha puntualmente accontentato, mantenendolo nel roster, e andando a prendere proprio dalla NBDL CJ Watson, che ha da subito scavalcato il Beli nelle rotazioni di squadra.
Qui sta la differenza sostanziale tra l’approccio di Bargnani e quello di Belinelli. In una situazione del genere probabilmente il Mago si sarebbe abbattuto, mentre Marco ha continuato a lavorare in allenamento cercando di farsi trovare pronto ogni qual volta i Warriors avessero bisogno di lui, come spesso dichiarato dallo stesso Belinelli nelle poche interviste che ha rilasciato.
E si è effettivamente fatto trovare pronto anche nell’ultima occasione in cui Don Nelson ha avuto bisogno di lui, per una missione un po’ particolare però. Lo ha mandato in campo per [B]un minuto e mezzo[/B] con l’intento di fare fallo sistematico su Josh Boone, pessimo tiratore di liberi. E Marco ha saputo compiere la missione nel migliore dei modi, [B]commettendo 4 falli[/B] nel tempo in cui è stato in campo.
Frustrante probabilmente per chi l’anno scorso era la stella della squadra, ma probabilmente un coach come Nelson vuole provare a testare quanto Marco è disposto a fare per la squadra, e non mi stupirei se prossimamente anche ai nei cieli di Oakland oltre a quelli di Toronto brillasse una stella tricolore.