Prosegue la penosa stagione della Benetton. Ovviamente nessuno lo ammette (impossibile comunque rifiutarsi di pensarlo), ma a Treviso non si vede l’ora che finisca: le speranze di play off e soprattutto di accesso all’Eurolega (in fondo basterebbe il nono posto…) sono infatti poche. Ben inteso, non è la classifica, mai come quest’anno indulgente con chi ha sbagliato molto, ma la Benetton stessa a condannarsi.
Mi trovo a ripetere considerazioni già fatte, ahimè, mesi or sono. Dopo anni di lotte contro budget più grassi, fatti di scommesse spesso vinte, era abbastanza plausibile ipotizzare che un’annata negativa prima o poi sarebbe arrivata. Ma si è francamente esagerato. E questo perché dietro ai risultati della squadra, mai così negativi da quindici stagioni a questa parte, c’è una società che, spiace dirlo, ha trasformato in un amen anni di splendide gestioni in uno ricordo sbiadito.
La squadra costruita in estate aveva la sua logica. Un pacchetto lunghi interessante, in cui spiccavano un elemento esperto e di talento (Austin) ed uno in via di esplosione col botto (Gigli). Un reparto piccoli ricco di personalità (Mordente e Soragna), un play con punti nelle mani (Chalmers che, sulla carta, viste le caratteristiche dei compagni di plotone, era quello che serviva) ed un cambio in regia (Atsur) con più fosforo. Infine, quello che, sia pur tra punti di domanda presenti già al momento dell’acquisto, avrebbe dovuto essere la stella: Dermarr Johnson. Un gruppo di talento (sulla carta), con diverse (e cosa c’era di diverso rispetto agli anni passati?) scommesse da vincere. Una premessa, questa, funzionale a supportare una mia personale opinione: gli errori più gravi non sono stati commessi in estate, ma successivamente (e il tassametro corre…).
In ogni modo, è vero: non una delle scommesse estive è stata vinta. Anzi, sono crollate perfino le certezze. Ora è facile dire che Austin sia un giocatore solo da statistiche (che nulla dicono, tra le tante altre cose negative, delle sue irritanti lacune difensive); che Chalmers sia la negazione del playmaker; che Gigli non valga un quarto del contratto che ha firmato; che Soragna sia un giocatore tanto onesto, quanto poco leader in spogliatoio; che l’ossessione del rinnovo abbia fatto perdere mordente a Mordente; che questo agglomerato di giocatori, mai stato squadra, sia stato palesemente sopravvalutato, e non solo per attributi (nulli), atteggiamento (pessimo) e intelligenza (cercasi neuroni disperatamente), ma perfino per il solo aspetto che sembrava certo: il talento. Meglio, lo si potrebbe perfino strillare! Perché corrisponde a verità. Questo gruppo, che ha saltuariamente dato l’impressione di essere sulla strada giusta, salvo poi tornare a franare rovinosamente, ha ormai perso ogni credibilità.
Ma l’aspetto più grave è un altro. È venuta a mancare quella società che negli anni scorsi, di fronte a periodi neri (non sono certo mancati!), aveva abilmente tappato le falle, sedato i malumori, riparato agli errori senza ricorrere al bulldozer, utilizzando a seconda dei momenti il bastone o la carota, riuscendo infine a formare un gruppo e ad ottenere il massimo da esso. Massimo che quest’anno non avrebbe mai significato un altro scudetto; nemmeno forse uno dei primi quattro posti. Ma per accedere ai play off, obiettivo che ora appare distante, non occorrevano certo magie…
Invece tutto è andato fin dall’inizio come peggio non poteva. Lo staff ha cercato ovviamente di rimediare. Ma nel modo peggiore. Evidentemente incapace di opporre all’isterico disfattismo della piazza quel collaudato, pacato, rassicurante, raziocinio che aveva dettato legge nella passata gestione, ha cambiato tutto e tutti in corsa; nella maniera più scriteriata possibile. Ero rimasto ad un’analisi di qualche mese fa. Da allora tanto è cambiato e nulla è cambiato: via De La Fuente, dentro Lucas, via Fantoni, via Maresca, via Lucas, che, a prescindere dal (modesto) valore oggettivo, era tutto fuorché il play di ordine per cui era stato spacciato. Nel mezzo, un turbinio di figuracce della squadra e contestazioni sempre più forti, culminate addirittura con una rissa dopo la partita con Milano tra Pops (pare sia stato lui ad alzare le mani) e i tifosi. Tifosi che, per non saper più con chi prendersela, hanno infine inscenato una guerra verbale fratricida durante la partita di coppa (persa, guarda un po’…): Rebels accaniti contro la squadra ed il resto del pubblico schierato contro la curva. Questa proprio mancava…
Dopo un incontro tra Atripaldi, Jacopini e i tifosi, pare sia tornata la pace. La delusione però rimane. Ora rimangono poche partite, che forse i Casuals affronteranno con ulteriori innesti: si parla di un esterno (Nicholas), si parla di un lungo comunitario, si parla… ma i trapianti non resuscitano i morti. La classifica, come detto, sembra voler dare un aiuto. Ma è questa Benetton a non saper aiutare se stessa.
E, dalle macerie di questa stagione, cosa si potrà mai costruire nel prossimo futuro?