Fare un pezzo sugli Hornets questa stagione parrebbe fin troppo facile.
Basterebbe abbandonarsi ad uno sproloquio di elogi di ogni singolo elemento della squadra, da Chris Paul, a Byron Scott, fino ad arrivare ai massaggiatori, agli addetti stampa e ai lavapiatti. Come potrebbe essere altrimenti? Stiamo parlando di una squadra che dal trasferimento ad Ovest non ha mai avuto un record positivo, che ora si trova nei vertici alti della Western Conference, con un record molto vicino al 70%, che è stata prima ad Ovest per una settimana, che in trasferta vince con una costanza paurosa, seconda soltanto a Boston, che ha umiliato i campioni in carica sia in casa loro che davanti al pubblico amico, che può annoverare quello che attualmente è considerato il miglior playmaker della NBA e uno dei candidati per l’MVP di stagione regolare, che ha portato tre rappresentanti alla partita delle stelle (West e Paul come giocatori, Scott come allenatore).
E la chiudo qui, ma potrei andare avanti ancora. Per esempio è anche prima per scontri diretti contro le avversarie della propria division, la più competitiva della NBA.
Lo so avevo detto che l’avrei chiusa lì. Ma bisognerebbe dire che hanno sweeppato i Suns in stagione regolare, e che hanno un record positivo anche con Lakers e Mavericks. Ok ok, la smetto.
Dicevo, parlando di una squadra del genere il registro da utilizzare non può che essere che uno soltanto.
Giusto?
Sbagliato!
Sbagliato, per il semplice motivo che chi sta scrivendo prima che un tifoso della NBA in generale, è un tifoso proprio dei calabroni. E un tifoso non è mai soddisfatto pienamente della propria squadra.
Diciamocelo, con un record del 100% probabilmente comincerei a lamentarmi delle divise o delle cheerleader.
Proprio per questo, invece che parlarvi di quanto siano bravi e belli, vi parlerò di cosa ancora non funzioni in questa macchina che ad uno sguardo poco attento potrebbe sembrare perfetta, per le proprie potenzialità.
Partiamo con il parlare della panchina, il problema più evidente di questa squadra. Perchè ad un quintetto dalla qualità media spaventosa (3 All Star su cinque, con Chandler che questa stagione l’ha sfiorato) non è affiancata una panchina dalla stessa qualità.
Pargo ormai è il sesto uomo designato, e gli va riconosciuto che sta facendo un lavoro egregio, per quelle che sono le sue caratteristiche, ben definite, cioè la capacità di scaldarsi in un nanosecondo e fare raffiche di punti in pochi minuti. Ma anche la possibilità che non ne metta una nemmeno per sbaglio. E capita più spesso l’eventualità numero due della numero uno.
Ryan Bowen e Melvin Ely sono oggettivamente due giocatori mediocri, che ogni hanno fanno la valigia per qualche franchigia disposta a concedergli 5 minuti di garbage, a meno di infortuni assortiti di tutto il quintetto titolare.
Mentre a New Orleans, dove è molto sviluppato lo spirito crocerossino che porta la società a concedere un pasto caldo ai più sfortunati, i due di cui sopra fanno parte attiva della rotazione da inizio stagione. E se hai il record di Miami puoi anche sorvolare sulla questione, tanti sono i problemi di cui preoccuparti, ma con un record che sfiora il 70% di vittorie qualche domanda bisogna porsela.
Vanno però fatte due osservazioni sulla questione panchina.
La prima è che qualche movimento per renderla più robusta è stato fatto. Vedi lo scambio con Houston che ha portato in Louisiana Mike James e soprattutto Bonzi Wells, in cambio di Bobby Jackson, mediamente deludente nel suo anno e mezzo a New Orleans, a detta dello stesso giocatore e di coach Byron Scott.
Lo scambio da un punto di vista prettamente tecnico è stato più che vantaggioso, per il semplice fatto che il fatturato di Bobby ora lo stanno producendo lo stesso Mike James (nel pochissimo spazio che per ora gli viene concesso) e Pargo, trovatosi caricato di più responsabilità, con la partenza dell’ex Sacramento. Capirete quindi come fondamentalmente ci sia stato regalato un giocatore del calibro di Bonzi Wells, uno che dalla panchina, grazie alla sua esperienza e alla sua stazza, può fare la differenza.
Il problema semmai è che resti sano, visto che ha già saltato diverse partite, ma va detto che lo stesso problema si proponeva con Bobby Jackson.
Recentissima anche l’acquisizione di Segugio-Andersen, tornato all’ovile dopo aver scontato la squalifica per essere stato trovato positivo alla cocaina.
Giocatore che in NBA ricordano più per la sequenza più irritante e noiosa a cui si abbia mai assistito ad una gara delle schiacciate che per le sue prestazioni in stagione regolare.
Acquisto di scarsa rilevanza, ma seppur non abbia ancora assaggiato il parquet non è detto che in futuro non possa dare un apporto di 5-10 minuti di pura ignoranza, come è in grado di fare.
La seconda osservazione che va fatta sulla presunta scarsa competitività della panchina è che teoricamente i sostituti di due giocatori come Bowen e Ely in panchina ci sarebbero anche. Sto parlando ovviamente di Julian Wright e “Paris” Hilton Armstrong. Giocatori sulla cui inesperienza si potrebbero scrivere trattati interi (del resto stiamo parlando di un rookie e di un secondo anno), ma lo si potrebbe fare anche sulle loro potenzialità e sulle loro capacità attuali.
Armstrong è il secondo anno in fila che alterna DNP a partite da non più di 10 minuti, salvo i rari casi in cui Chandler deve prendersi partite di riposo (e speriamo rimangano tali, cioè rari).
Il problema è che il giocatore c’è. Lo ha già dimostrato, anche in preseason, quando proponeva prove degne di un Amare Stoudemire qualsiasi. Il suo problema semmai è la tenuta mentale, specialmente in difesa, particolare che gli costa il garbage da quasi due stagioni.
La questione Julian Wright invece sembra lasciar intravedere qualche sprazzo in più di ottimismo. Perchè dopo quattro mesi passati a saggiare le infinite potenzialità delle nervature lignee della panca, si è lanciato famelico sul piccolo infortunio patito da West la settimana scorsa. Pur offrendo il quintetto al buon Bowen, Scott ha dovuto concedere qualche minuto anche a Wright, minuti che ha capitalizzato come meglio non si poteva sperare. Ha fornito alcune prove eccellenti, tra cui un ventello nella partita, vinta, contro i Nets. Di lui, per chi ancora non lo conosceva, hanno colpito la straordinaria energia e la difesa asfissiante, particolari che ne hanno già fatto uno dei beniamini del mai troppo affezionato pubblico dei Calabroni.
Anche ora che West è tornato (per farsi male di nuovo la scorsa notte contro i Lakers) Julian ha mantenuto i suoi 20 minuti da riserva, e nel mese di marzo sta producendo 11 punti e 5 rimbalzi ad uscita. Niente male per uno che nei mesi precedenti in doppia cifra di punti ci era andato solo una volta.
Questa considerazione su Armstrong e Wright ci porta ad un altro problema, se così lo si può chiamare, degli Hornets. Problema che so già farà storcere parecchi nasi.
Ma per quanto assurdo è reale. Sto parlando di Byron Scott. Ebbene sì, l’allenatore dell’Ovest all’All Star Game, l’allenatore che sta portando completamente contro proponstico, una squadra come gli Hornets ai vertici della Western Conference, uno dei maggiori candidati al trofeo di Coach of the Year.
Proprio lui.
Non fraintendetemi, non voglio disconoscere il grande lavoro che ha fatto in questi anni, quando la squadra pur non qualificandosi ai playoff dimostrava di disporre di cojones in abbondanza, ma definirlo un coach perfetto solo in virtù del record attuale sarebbe fare una valutazione errata, anzichenò.
Il suo più grande merito, ma anche il suo più grande limite, è stato quello di riconoscere in Chris Paul doti di leader che in un ventenne trovi una volta ogni 50 anni di NBA. Azzeccandoci, peraltro, perchè questi Hornets più che la squadra di Scott, sono la squadra di Chris Paul. E in questo senso non c’è nulla di più esemplificativo che vedere i calabroni all’opera. Completamente dipendenti dal numero 3, senza un gioco ben definito, se non affidarsi al pick&roll tra Paul e Chandler (che deve almeno metà dei suoi punti proprio agli assist del playmaker) o sempre e comunque al genio del piccoletto, capace di mettere in ritmo pure i morti.
Ne sa qualcosa Stojakovic che non ha mai tirato da tre con percentuali tanto alte.
Dimostrazione che si vive e si muore con gli assist di Paul è il fatto che tra le vittorie e le sconfitte la sua produzione punti rimane molto simile, mentre nelle L distribuisce più di 3 assist in meno.
Questo però se da un punto di vista è da considerarsi come merito di Scott, quello di aver capito che la scelta giusta era dare la squadra in mano al suo fenomenale playmaker, da un altro dimostra come tatticamente rimanga un coach con numerosissimi limiti. E’ storia nota la sua presunta inettitudine in questioni tattiche, fin dai tempi dei Nets quando si diceva che l’artefice delle vittorie della squadra finalista NBA fosse Eddie Jordan, il suo secondo, piuttosto che lui.
L’altro motivo per cui mi sento di muovere alcuni capi d’accusa a Scott è quello che poi ci ha ricollegato al discorso panchina. Cioè l’utilizzo dei due giovani della squadra.
E’ un dato di fatto che in questi anni Scott non ha dimostrato una particolare simpatia verso i giocatori inesperti. Il caso Paul non va preso in considerazione, visto che stiamo parlando di persone umane e non extraterrestri. Armstrong e Wright sono solo gli ultimi in ordine di tempo ad aver dovuto patire panchinamenti improvvisi. La lista di nomi è formata da giocatori come JR Smith (con il quale peraltro litigava un giorno sì e l’altro pure, ma va detto che relazionarsi con il vuoto pneumatico di JR non dev’essere stato facile), Kirk Snyder, Cedric Simmons (anche se lui poveretto al momento è già tanto che riesca a giocare, vista la miriade di infortuni a cui è continuamente sottoposto) e Brandon Bass. Proprio quest’ultimo nome dovrebbe far pensare, visto che è passato dai DNP a New Orleans al 9+6 a Dallas.
Il problema è che se parlassimo di una panchina profonda la questione non si porrebbe nemmeno. Ma se i giocatori a cui Wright e Armstrong devono fare spazio sono Bowen ed Ely, la critica è d’obbligo.
Insomma, dopo questo lungo sproloquio mi odierete, perchè sono riuscito a lamentarmi della sorpresa della stagione.
Non potrebbe esserci appassionato più felice del sottoscritto, per i risultati attuali, ma è insito nel tifoso medio il gene dell’insoddisfazione, che porta a vedere il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno. E quello che ho scritto sopra è certo una visione esagerata della situazione, ma non errata. Potrebbe sembrare il delirio di un pazzo, ma in realtà sono questioni ben presenti e dibattute a più riprese.
Questo non toglie la stagione straordinaria che tutti stanno facendo, l’augurio è che, aldilà di tutte queste facezie, aprile per una volta tanto sia il più lungo possibile, per questi sorprendenti Hornets.
[i]Pubblicato per conto di Paolo Sinelli[/i]