Sembravano una squadra in crisi a gennaio. In meno di 20 giorni, tra il 9 e il 27 gennaio, il record dei Celtics è stato 5 vittorie e 5 sconfitte. E tutti a parlare di una squadra che stava attraversando una crisi di rigetto delle proprie stelle, partita forte ma destinata a calare.
Poi altre 3 sconfitte consecutive, subito dopo la pausa dell’All Star Game, ha ringalluzzito i detrattori della squadra del Massachuttets, alimentando le lorotesi su quanto la squadra fosse decisamente vulnerabile se a mancare è la stella più decisiva della squadra, Kevin Garnett.
Ed è probabilmente vero, perchè la crisi, anche di gioco nelle partite vinte da Boston tra Gennaio e Febbraio, sono arrivate quando il bigliettone era assente a causa di un guaio addominale, o quantomeno al rientro e non ancora al top della condizione.
Ma già solo provando ad analizzare il momento grigio della stagione dei verdi, si può notare come Boston abbia sconfitto nell’ordine Detroit, Dallas e San Antonio.
Indice di come la squadra, seppur in non ottime condizioni, possa vincere contro chiunque, anche nonostante l’assenza di Kevin Garnett, come nelle vittorie contro Dallas e San Antonio, quando come lungo titolare in campo ci è sceso Brian Scalabrine.
Ma non appena The Revolution è tornato in condizione, sono tornate le vittorie. 10 di fila per la precisione, arrivate anche per merito di un calendario non troppo difficile, se si escludono le vittorie in casa contro Detroit e Cleveland.
La serie si è interrotta per mano di una ottima prestazione di Utah, e in particolare di un Deron Williams autore di una prestazione da 32 punti e 8 assist.
I Celtics però hanno ripreso da dove si erano interrotti con altre 3 vittorie, le ultime 2 nel viaggio ad Ovest, sconfiggendo per la seconda volta in stagione San Antonio (evento che non capitava da troppi anni) e fermando la lunghissima serie di vittorie di Houston a 22. E questo senza una delle 3 stelle della squadra, Ray Allen, fermato a causa di un problema a un tallone.
Ma allora qual è la vera Boston ?
Quella che dopo la pausa dell’All Star Game si fa battere da Phoenix e lasciare a 77 punti dalla squadra dell’Arizona, nota piuttosto che per le capacità difensive per il gioco d’attacco, o la squadra vista a San Antonio e capace di rimontare da -22 e vincere al fotofinish ?
Di solito la verità stà nel mezzo, ma in questo caso credo faccia più testo l’ultima partita.
E questo per alcuni semplici motivi:
1. E’ l’ultima in ordine di tempo, e più si va avanti con la stagione regolare e ci si avvicina ai Playoff, più le squadre che si vedono tendono ad assomigliare alla realtà delle potenzialità che possono esprimere.
2. La sconfitta di Phoenix è effettivamente arrivata in un momento in cui Garnett non era al top. E per questa squadra, un KG che può fare la differenza su entrambi il lati del campo contro avversari del calibro di Duncan, può fare tutta la differenza del mondo
3. Rispetto alla sconfitta con Phoenix, Boston ha aggiustato e rimpolpato il roster con l’acquisizione di 2 Free Agent di enorme spessore e in grado di essere determinanti. PJ Brown e Sam Cassel.
Cerchiamo allora di analizzare la partita di San Antonio per determinare cosa potranno fare i Celtics nella post season.
In una sola partita infatti si sono viste le 2 facce di una stessa medaglia. Dapprima una squadra con poca lucidità in attacco, e un Garnett che pareva non in serata, tenuta a galla ad un certo punto proprio da uno dei nuovi innesti, Sam Cassell, che con una serie di canestri, fuori contesto tecnico, ha riavvicinato Boston ai neroargento. Poi, nella seconda parte del match, è venuta fuori quella che probabilmente è la vera e propria arma totale di Boston, la Difesa. Con la D maiuscola.
Thibodeau ha fatto un lavoro eccezionale in una sola stagione, sicuramente aiutata dall’avere un leader che fò proprio della fase difensiva una delle sue armi migliori. E quando il tuo leader difende come un ossesso su ogni possesso, anche le altre stelle e quello che viene chiamato Supporting Cast (che stà crescendo sempre più), alzano il proprio livello di concentrazione e chiudono ogni buco. E allora capita di vedere un Pierce che tiene splendidamente su Parker in alcune azioni, un Eddie House, conosciuto più per le sue doti balistiche che per le qualità di stopper, che limita nientemeno che Manu Ginobili, Posey in splentide rotazioni difensive, come succedeva ai tempi del titolo di Miami, e un immenso KG che tiene Tim Duncan a soli 10 punti e 8 tiri dal campo.
E in attacco, ognuno prende le proprie responsabilità.
Già detto di Sam I Am, che al momento è quello meno in sintonia con l’attacco dei Celtics, a causa dei pochi allenamenti che ha avuto a disposizione per affiatarsi con i suoi nuovi compagni, ma che grazie al suo talento può produrre break di punti molto importanti, Pierce continua ad avere i suoi isolamenti, KG ad orchestrare il gioco da play occulto dalla posizione di post basso, Ray Allen, assente nella partita contro i texani, ad avere metri di spazio per punire dall’arco con i suoi tiri ad alta percentuale, chi probabilmente stupisce maggiormente è Rajon Rondo. Rajon, arrivato con la nomea di grande difensore, superbo atleta, ma decisamente altalenante al tiro, stà mettendo a frutto un’estate fatta di allenamenti specifici per migliorare le sue percentuali, e dimostra di non essere più il giocatore da battezzare automaticamente sui raddoppi. E contro San Antonio, la sua prestazione da 9 su 18 al tiro ha contribuito non poco a portare i verdi alla vittoria finale.
L’arrivo di Cassel e di PJ Brown, inoltre, oltre ad innalzare il livello della panchina, indicato da tutti ad inizio anno come vero tallone d’achille della squadra, ha pungolato sia Rondo, sia Perkins e tutti gli altri lunghi, desiderosi di dimostrare che tecnicamente si può assolutamente contare sul loro apporto.
Ecco quindi arrivare nelle ultime gare, prestazioni più che convincenti sia da un Rajon sempre più protagonista e concreto, sia da un Perkins da quasi doppia doppia di media nell’ultimo mese, sia da un Leon Powe che quando chiamato in causa ha contruibuito in modo più che dignitoso, fino ad arrivare nella partita di ieri contro Houston a segnare 21 punti, suo career high.
Eppure nonostante tutte questi aspetti positivi, chi vi scrive ha leggermente cambiato parere nei confronti di questa squadra.
Inizialmente la forza con cui schiantavano ogni avversari faceva immaginare che in una serie a 7 partite, nessun’altra franchigia sarebbe riuscita a portare a casa 4 vittorie contro di loro. Questa sensazione sta ora un po’ vacillando.
Intendiamoci, Boston rimane una signora squadra. Probabilmente è ancora la mia favorita per la vittoria finale, ma anche nelle ultime vittorie, si è potuto intuire che per battere altre corazzate come San Antonio, Detroit, Los Angeles dopo l’arrivo di Gasol, o i Mavs di Dirk e Jason Kidd, hanno bisogno di essere vicini al top, e di vincere ognuna delle 4 partite necessarie a portare a casa la serie. E un qualunque calo di concentrazione o di prestazioni, ne può compromettere il cammino.
Questo però non fa altro che aumentare l’attesa per il momento clou della stagione, ad aprile, quando i Celtics torneranno finalmente ai Playoff con la possibilità di essere protagonisti dopo tanti anni, a dimostrare che per vincere l’anello, dovranno fare tutti i conti con loro.