C’è una squadra ad Est che molto probabilmente raggiungerà i playoff, presumibilmente con in quinto o sesto record di conference. Una squadra che pareva una delle meglio costruite ad Est, grazie ad uno stampo filo-europeo, datale dal GM e dal Vicepresident, uno di chiare origini italiane, Colangelo, e l’altro direttamente importato dal Belpaese, Gherardini.
I Toronto Raptors, di loro stiamo parlando, sotto la gestione Colangelo-Gherardini, hanno raggiunto sempre i playoff con un record superiore al 50%, passando da uno scadente 32,9% di vittorie dalla stagione 2005-2006 al 57,3% della scorsa stagione. Record che è valso il premio di Coach Of The Year a Sam Mitchell.
Bisognerebbe quindi lodare questa franchigia, che ha avuto ua rapida ascesa nelle gerarchie della COnference, con delle scelte oculate di gestione e una mano ferma dalla panchina che si è fatta trovare pronta a guidare la squadra.
Invece no.
Perchè tutto quanto scritto è vero, e anche parecchio sorprendente guardando la prima stagione. Ma le lacune a mio avviso ci sono state, e anche parecchie ed abbastanza evidenti.
A cominciare, e duole dirlo da italiano, dalla prima scelta al Draft. I Raptors sono assolutamente andati sul talento migliore e su un lungo. Cosa abbastanza naturale negli ultimi anni, ma non hanno probabilmente tenuto conto che Bargnani, la prima scelta, gioca nella stessa posizione del loro uomo franchigia, e con caratteristiche tutto sommato simili: a tutti e due piace partire dal gomito fronte a canestro, tutti e due hanno sviluppato un buon tiro da fuori (Andrea ovviamente con molto più range), e tutti e due sono difensori rivedibili (onestamente dei due Andrea pare quello più avanti in questo fondamentale, ma pecca ancora nella lettura degli aiuti).
C’è da dire che probabilmente al momento della scelta il piano tattico era diverso nella mente di Colangelo, e probabilmente ci si orientava a far giocare il Mago da 3 e Bosh da 4, rinunciando contestualmente a Mo Peterson, non rifirmato, e a Villanueva, rookie che aveva molto ben figurato nella stagione perdente dei Dyno’s, per prendere TJ Ford, un play che avrebbe potuto armare le due bocche da fuoco dell’attacco canadese.
Il Mago però ha dimostrato che da tre non ci può giocare. Sia per la poca propensione a difendere su ali molto più rapide ed atletiche di lui, sia perchè in attacco verrebbe a mancare quello che sarebbe stato uno dei vantaggi maggiori dell’avere un sette piedi che tira da tre con la sua fluidità: quella di aprire le difese portandosi fuori uno dei lunghi avversari.
C’è da dire che il difetto la scorsa stagione è stato in qualche modo coperto dall’utilizzo del Mago da sesto uomo, cambiando Bosh, o giocandogli accanto da secondo lungo in quintetti più offensivi. L’esperimento però è durato solo fino a un certo punto, ed il Mago è stato provato da numero 5, con Bosh che ha mantenuto la sua posizione.
Esperimento che abbiamo visto anche nella prima parte di stagione, con Andrea stabilmente in quintetto da centro, e Bosh in ala. A metà stagione, però, Mitchell lo ha dovuto abbandonare per provare a riprendere un ritmo più consono alle aspettative della dirigenza.
Alla luce di questi problemi, quindi, ci si chiede se Toronto con la prima scelta non avrebbe fatto meglio a scegliere un Brandon Roy o un Rudy Gay, che avrebbero garantito loro di avere un esterno molto solido e con parecchi punti nelle mani.
L’altra discutibile scelta è stata TJ Ford, che purtroppo è stato anche frenato da un fisico che ha nella schiena un pericoloso punto debole, che non sembra il play adatto a giostrare il gioco di una franchigia che è stata costruita per essere più simile al basket di estrazione Fiba che a quello NBA. E TJ, per natura, è più portato a sviluppare giochi di origine NBA, come giochi a due con la stella conclamata, o tripudi di isolation.
Oddio, a dire il vero il Ford visto precedentemente a Milwaukee non sembrava questo tipo di giocatore, anzi, era molto bravo a mettere in ritmo tutti i suoi giocatori, anche qui probabilmente con una predizione particolare per Michael Redd, ma con un realizzatore così in squadra, il play è ovviamente tenuto a metterlo in ritmo.
Eppure, a Toronto, Ford reincarna alla perfezione il playmaker egoista che divide il palcoscenico solo con il suo conterraneo Bosh (tutti e due arrivano dal Texas).
E non è un caso che gli sprazzi di gioco migliore i Raptors li abbiano quando in campo è presente il play di riserva, Josè Calderon, che gestisce molto meglio i ritmi dell’attacco.
Ma se Ford ha cambiato totalmente il suo stile di gioco, potrebbe non essere esclusivamente colpa sua. E qui mi ricollego a quello che secondo me è il principale problema di Toronto: il Coach.
Può essere infatti che sia Mitchell a chiedere a TJ di coinvolgere molto il suo giocatore franchigia, e Ford provare a eseguire quanto richiesto da lui. Solo che facendolo snatura il suo gioco, e esegue male, rallentando troppo il gioco e monopolizzando il pallone, quanto richiesto dal coach.
Ma questi ovviamente sono solo punti di vista, non essendo sfortunatamente all’interno dello spogliatoio dei dinosauri a sentire quello che Mitchell chiede ai suoi.
Però se volete qualche esempio più tangibile dell’inadeguatezza del Coach of The Year in carico a sviluppare la franchigia canadese, provo a darvelo.
Già detto della scarsa capacità a fare crescere la prima scelta assoluta nel sistema di gioco dei Raptors, e potendo dividere le responsabilità con chi quella scelta l’ha effettuata, rimane il fatto che a marzo inoltrato, Mitchell non ha trovato le rotazioni definitive.
[B]Play[/B]
Siamo partiti con TJ Ford, che con la sua personalissima gestione del gioco, ha condotto la squadra ad un record sotto il 5o% di vittorie. Poi, con il suo infortunio, il pallino è stato dato a Calderon, che ha dimostrato di gestire la squadra decisamente meglio portandola abbondantemente sopra il 5o% e garantendo un’ottima ratio tra assist e palle perse con percentuali dal campo di tutto rispetto.
Al rientro di Ford dall’infortunio, Calderon è stato mantenuto in quintetto, con TJ dalla panchina, cosa che però ha dato parecchi problemi al gioco dei Raptors, e che ha portato proprio Calderon a consigliare a Mithcell di invertire i ruoli e portando di nuovo Josè ad uscire dalla panca. Facendo così, Ford ha riguadagnato in fiducia, si è trovato a giocare in campo con il quintetto titolare diminuendo il numero di iniziative personali, dovendo dividere i possessi con giocatori più “consistenti” di quelli della panchina, e Toronto è ritornata a vincere dopo un periodo un po’ buio.
[B]La domanda è: Possibile che una scelta del genere debba essere fatta solo dopo un suggerimento di un giocatore al secondo anno NBA?[/B] Da un COY ci si aspetta che sappia anticipare i problemi e le decisioni.
[B]Andrea o Rasho ? [/B]
Andrea è partito in quintetto da centro ad inizio anno, fornendo prestazioni abbastanza altalenanti, ma partendo piuttosto bene nel ruolo. I risultati di squadra però non sono arrivati e Andrea è stato spostato in panchina, facendo partire Nesterovic da titolare, per garantire un quintetto più equilibrato in difesa, dove si pagava troppo la presenza contemporanea di Bosh e il Mago. La scelta ci stà tutta, niente da dire, ma il ruolo da sesto uomo di Andrea non è stato ritagliato bene. Ci sono partite in cui Andrea viene fatto giocare 30 minuti, altre in cui ne gioca meno di 10.
[B]Possibile che in due anni il coach non abbia saputo trovare un’alchimia giusta tra i minutaggi dei lunghi?[/B] Una prima scelta assoluta deve essere sviluppata, soprattutto una come Andrea che offensivamente può dare tantissimo. Gestirlo così vuol dire non sapere sfruttare il potenziale che la franchigia mette a disposizione.
[B]Moon[/B]
Jamario ha conquistato presto il quintetto a suon di prestazioni. Ha saputo sfruttare ogni singola occasione per mostrare a tutti la sua grande utilità, sia in fase difensiva, sia come atletismo e energia. Rimane però un problema. In certi momenti della partita, con Moon in attacco giochi in 4 e mezzo, e avere un giocatore che gli avversari possono sistematicamente sfidare al tiro è un handicap non da poco. In sostanza, Moon gioca troppo e non è sfruttato al meglio. La sua dimensione potrebbe essere quella che ha avuto nella gara contro New Orleans (persa, ma contro una squadra obiettivamente più forte), ovvero entrando dalla panchina a dare energia e coprire difensivamente il Mago che può permettersi più iniziative. E quello che credo, anche qui, è che [B]Mitchell sfrutti male il suo potenziale[/B], dilatandolo troppo all’interno della gara.
[B]Minutaggi[/B]
In generale, ci sono minutaggi troppo altalenanti nelle rotazioni dei Raptors, e non sempre dovuti alla situazione falli o alla condizione di forma dei giocatori. Non dando un’identità chiara al team, magari anche a discapito di qualche vittoria in caso di serata no di alcuni giocatori, non si ottiene da loro un rendimento ottimale, perchè da una partita all’altra non sanno che cosa il coach si aspetta da loro. Fatta eccezione probabilmente per Bosh e per Parker, che sono i due punti fermi della franchigia.
Per i motivi elencati sopra, chi vi scrive non ritiene Toronto allo stato attuale, una franchigia in grado di aspirare a crescere fino a diventare una Contender. Non perchè il roster non possa esserne all’altezza, specialmente in futuro con un paio di innesti mirati a incrementare la qualità di un sistema molto europeo rispetto al normale, ma perchè alla guida del pullman c’è un autista che appena vede una deviazione non sa da che parte andare.
Il nodo è questo. Se si trova un coach capace di sviluppare la squadra, il futuro potrebbe essere roseo. In caso contrario ci si troverà ad arrivare a un onesto 50% di vittorie, e un’uscita al primo turno dei playoff contro la Orlando o la Clevenad di turno, come mi aspetto succeda ad aprile inoltrato.