Era dai tempi di Allen Iverson in finale con i 76ers che non si vedeva un uomo sotto il metro e novanta dominare una serie in lungo e in largo.
Chris Paul lo ha fatto, tra l’altro alla sua prima apparizione nella post season. E, se possibile, lo ha fatto anche meglio del buon AllenI. Perchè il n°3 dei sixers dominava le serie entrando a piacimento nelle aree avversarie, caricando i lunghi di falli, e segnando canestri impossibili. In una parola sola: Realizzatore.
Paul, invece, oltre che essere un ottimo realizzatore e aver segnato anche lui canestri impossibili, ha dominato una serie contro i Dallas Mavericks di Jason Kidd portandosi a spasso tutta la difesa, segnando, facendo segnare i suoi compagni, rubando palloni a Kidd e facendo diventare matti i suoi diretti marcatori, come ieri quando ha causato l’espulsione di Stackhouse. In sostanza, un vero e proprio leader a tutto tondo.
Proprio la partita di questa notte, che ha sancito il passaggio del turno dei calabroni, è stata lo specchio di quello che stanno facendo gli Hornets in questa loro straordinaria stagione.
Era difficile pronosticare infatti una regular season da 56 vittorie e il secondo posto finale ad Ovest, con tutte le complessità che la conference si porta dietro. E ancora più difficile era pronosticare un secco 4 a 1 a favore degli Hornets, che tutto sommato nella post season si sono trovati al primo turno una delle squadre più ostiche da trovare, con Dallas che forte del nuovo assetto con un play come Kidd, e di una panchina decisamente sopra la media, era un po’ lo spauracchio di tutte le squadre dell’Ovest. E non in pochi avevano pronosticato una vittoria di Dallas nella serie, sicuri di un calo di New Orleans e facendo leva sulla loro mancanza di esperienza ai Playoff.
Le prime 4 partite invece sono state di stampo completamente differente, con New Orleans che fin dalla prima partita ha messo sotto scacco Dallas, con un immenso Paul e un ottimo West, che fornisce sempre il suo apporto in termini di punti e rimbalzi, e una gara 2 francamente ingiocabile da un certo punto in avanti per manifesta superiorità dei calabroni che chiudono con un +24 e Paul che dopo 2 gare si permette il lusso di avere 33,5 punti e 13,5 assist di media all’esordio ai playoff. E anche la prima partita giocata a Dallas e vinta dai Mavs, ha mostrato come le vittorie dei texani non fossero così agevoli come quelle degli Hornets, che tutto sommato non hanno giocato una brutta gara3. La pivotal game è stata gara4, con New Orleans corsara a Dallas con una partita giocata ad altissimi livelli vinta di 13 punti e che ha visto nuovamente Dallas in difficoltà a capire il gioco della squadra di Scott e parzialmente svogliata.
Per gara5 stanotte si tornava a New Orleans, con la squadra di casa che non aveva intenzione di sprecare il match point e non far rientrare Dallas nella serie.
E così è stato. Gli Hornets hanno preso subito la testa della gara nel primo quarto, scavando un solco importante nel secondo quarto, e mantenendo praticamente sempre il vantaggio in doppia cifra. Mattatore della serata, nemmeno a dirlo, Chris Paul, autore alla fine della prima tripla doppia della sua carriera ai playoff, chiudendo con 25 punti, 11 rimbalzi e 15 assist.
A dire il vero, Dallas ci era anche riuscita ad arrivare a contatto con New Orleans sul finale della gara, addirittura arrivando a -3 a 8 secondi dalla fine e con il tiro di Chris Paul che si infrangeva sul ferro. Il rimbalzo offensivo catturato però dagli Hornets e sul successivo fallo speso su Peja Stojakovic per fermare il cronometro che realizzava entrambi i liberi, metteva la pietra sopra la fossa dei Mavs, che andavano sul 94-99 che è il risultato finale.
Chris Paul può quindi festeggiare con i propri compagni il passaggio del primo turno e l’ottimo esordio in una serie di postseason, che chiude con 24,8 punti, 4,3 rimbalzi e 11,3 assist ad allacciata di scarpe, con un sorprendente +31 di efficienza complessiva. Per essere un 23enne al terzo anno nella lega, una dimostrazione di grandezza difficile da trovare prima.
Adesso però gli Hornets sono attesi da una serie ancora più dura, contro quella San Antonio che ieri in gara5 ha chiuso la pratica Suns e che ha nuovamente dimostrato come ad aprile Popovich e soci trovino energie inaspettate ai più. New Orleans avrà il vantaggio campo dalla sua, ma si può star certi che gli Spurs saranno ossi ben più duri della Dallas allo sbando incontrata al primo turno.
[B]Dallas[/B]
Già.. Dallas. Bisogna spendere qualche parola su di loro e sulla loro stagione. E non è per nulla semplice.
Diciamo innanzitutto che questa squadra è figlia di quella arrivata in finale NBA nel 2006 e sconfitta dagli Heat dopo essere stata in vantaggio nella serie.
Figlia degenere però, che invece che imparare dai propri errori e correggerli, si è chiusa in sè stessa e si è persa nella sua fragilità, venuta fuori in modo dirompente nei playoff dello scorso anno, quando sono stati eliminati al primo turno dai Golden State Warriors di coach Nelson, che è entrato sottopelle a Avery Johnson e ha spolpato la poca anima che era rimasta a Dirk e compagnia. L’onda lunga dell’eliminazione dell’anno scorso, arrivata dopo una regular season sensazionale, si è fatta sentire fin dall’inizio di questa stagione, e il settimo seed nel ranking di aprile e il rischio concreto di non qualificarsi per i playoff doveva suonare ben più che come un semplice campanello d’allarme sulla disastrosa situazione psicologica del team.
Appena scesa in campo nei playoff contro una squadra sì inesperta ma solida come gli Hornets, infatti, i Mavs si sono sciolti al sole e sono emersi tutti i limiti del team.
Che a questo punto sembrano davvero molti. A partire dalla scelta operata a febbraio da Mark Cuban di riportare in texas Jason Kidd, che si è rivelata un errore sia dal punto di vista formale che pratico.
Formale perchè nel giro di due settimane i Mavs hanno dovuto studiare la trade e cambiarla all’ultimo. Questo grazie sia alla genialità di Stackhouse che ha spiattellato ai 4 venti che il suo trasferimento a New Jersey era solo fittizio e che era già pronto a rientrare a Dallas passati i 20 giorni imposti dalle leggi sulle trade, sia alla decisione di Devean George di rifiutare il trasferimento ai Nets.
Pratico perchè la trade ha generato un effetto domino tutto sommato nemmeno così difficilmente preventivabile. In primis, coach Johnson non era dell’idea di prendere Kidd, perchè sapeva perfettamente, come poi è effettivamente successo, che un play ragionatore come lui avrebbe rallentato il gioco dei Mavs, abituati a correre molto e soprattutto ad avere 2 play che si alternavano, come Harris e Terry, che facevano girare molto il pallone e trovando spesso Dirk e Howard in situazioni dinamiche. Con Kidd, i due si sono trovati ad avere un giocatore molto abile nel gioco in post, ma che ha negli ultimi anni l’abitudine a concentrare molto la palla su di sè. Inoltre, con Jason, si è dovuta ricostruire una gerarchia interna già di per sè molto delicata, e a farne le spese sono stati, oltre a Josh Howard, forse la delusione più forte di questi playoff, anche Terry e Stackhouse, che sono parsi fuori ritmo in larga parte della serie.
Queste due “sottili” controindicazioni sono state alla fine pagate con un atteggiamento da parte del coach che è parso decisamente passivo in tutte e 5 le gare.
Gare in cui Avery non solo come l’anno scorso non ha messo in campo gli adeguamenti necessari a frenare il gioco degli Hornets, ma pare non essere nemmeno preoccupato nè delle continue scoppole prese da Paul e West, nè di mettere in condizioni Jason Kidd di poter rendere al meglio all’interno del team. In pratica una sorta di sciopero bianco del coach che ha subito passivamente tutto quanto succedeva intorno.
La fragilità mentale di Dallas e il disagio di Kidd all’interno della serie si sono mostrati anche in alcuni momenti di tensione verificatisi all’interno di gara3, gara4 e gara5. Dapprima con Dampier che stende Paul con un fallo stupido, poi con Kidd che afferra il collo di Pargo in entrata e rischia di staccargli il collo, poi con Stackhouse che si fa espellere in gara 5 per un doppio tecnico dopo aver inspiegabilmente tirato un pugno al pallone nelle mani di Paul. Stackhouse non è nuovo ad atti di nervosismo del genere, e ci si ricordi di come avesse fatto un fallaccio su Shaq sotto canestro durante le Finals 2006, però un nuovo atto di nervosismo è sintomo di quanto questa squadra stia vivendo insieme ai propri demoni, che paiono sempre più difficili da scacciare.
Il vulcanico Mark Cuban dovrà ora capire cosa vorrà fare con il suo giocattolo, ma pare sempre più probabile che sotto il sole caliente del Texas l’estate sarà parecchio calda e parecchie cose cambieranno, probabilmente proprio a partire dal coach.
Ora però gustiamoci il secondo turno dei playoff, sempre con la birra gelata pronta e le taniche di caffè per seguire tutte le partite in diretta.
Stay Tuned.