[I]« Una persona che viaggia attraverso il nostro paese si ferma in un villaggio, e qui non ha bisogno di chiedere cibo o acqua. Appena arrivata la gente le offre il cibo, la intrattiene. Questo è solo un lato di Ubuntu ma Ubuntu ha anche altri aspetti. Ubuntu non significa che le persone non debbano dedicarsi a sé stesse. La questione piuttosto è: Vuoi farlo per aiutare la comunità che ti circonda a migliorare? »[/I] – Nelson Mandela.
[B]Ubuntu[/B], ovvero il credo dei Celtics in questa annata trionfale, che ha portato i verdi di [B]Boston al diciassettesimo titolo NBA[/B]. La filosofia è stata specchio di una squadra e di un allenatore il cui obiettivo era quello di [B]cementare il gruppo[/B] e portare tutti a remare dalla stessa parte. Amalgamare uno spogliatoio che, a giudicare dal roster, era quanto di più diverso ci potesse essere, con [B]3 all star[/B] di altissimo livello, e altri 12 giocatori che, si diceva, in altre squadre non avrebbero mai potuto avere la stessa importanza che invece avevano ai Celtics.
In molti infatti a inizio anno giudicavano Rondo e Perkins inadatti al ruolo di titolari, oppure erano convinti che i vari Powe, Big Baby o Scalabrine, da altre parti non avrebbero mai fatto la squadra.
Invece, la [B]voglia[/B] di Allen, Pierce e Garnett di arrivare all’anello, ha fatto sì che tutti e tre abbracciassero la filosofia africana portata da coach Rivers, e lasciando da parte i loro ego, si mettessero al [B]completo servizio della squadra[/B], migliorando enormemente tutti i loro compagni, che si sono fatti trovare pronti a ricevere le investiture di responsabilità lasciate loro dal trio delle stelle.
E pensare che [B]solo un anno fa a quest’ora, i Celtics erano una squadra da lotteria[/B], con una stella ormai depressa dai tanti anni bui della squadra, e qualche giovane promessa in procinto di esplodere ma poco altro. Poi, la [B]magata di Ainge[/B], anzi, le magate di Ainge, hanno fatto diventare questo team una delle maggiori contendenti alla vittoria del titolo.
Ovviamente le mosse migliori sono state le acquisizioni di Garnett e Allen in cambio di alcuni giovani, ma assolutamente [B]fondamentali[/B], anche se meno roboanti, sono state l’introduzione di [B]Posey[/B] nel roster, fondamentale per la difesa sugli esterni per i biacoverdi, e il contratto dato a [B]Thibodeau[/B] come assistente, LA DIFESA di Boston (rigorosamente tutto in maiuscolo).
Una volta creata l’ossatura, [B]è stata data in mano la squadra a Doc Rivers[/B]. Allenatore non molto preparato, dicevano alcuni, che non sà leggere bene le partite, dicevano altri, e che non sapeva costruire un attacco strutturato per far rendere al meglio le tre stelle, scriveva il sottoscritto alcuni mesi fa.
Insomma, un [B]allenatore buono per creare uno spogliatoio unito, ma forse non abbastanza per vincere un titolo[/B].
Però a volte si sottovaluta [B]la forza del gruppo[/B], e proprio la capacità di Rivers di creare un gruppo coeso è stata la scintilla che ha fatto scattare i meccanismi che sono necessari a far nascere una grande squadra. E’ stato proprio Rivers infatti a introdurre la filosofia dell’Ubuntu, e a far vedere i combattimenti di [B]Mohammed Ali[/B] ai suoi giocatori, creando in loro lo stimolo giusto per superare ogni avversità.
E anche se i Celtics già dalla Regular Season hanno dovuto fare i conti con qualche problemino, come [B]l’infortunio di Garnett[/B] agli addominali, o la [B]serie nera di gennaio[/B] in cui hanno inanellato una serie di 5 sconfitte su 10 incontri, o ancora a febbraio, con le [B]3 sconfitte consecutive post All Star Game[/B], è stato durante i Playoff che i Celtics hanno dovuto affrontare i problemi maggiori, già dal primo turno, quando [B]contro Atlanta sono stati costretti a giocarsi tutto in gara7[/B], vinta poi agevolmente.
Si disse che fu una sorpresa, sì, ma che non ce ne sarebbero state altre, perchè [B]una squadra così forte avrebbe subito imparato la lezione[/B], e si sarebbe rimessa subito a macinare gli avversari senza prenderli sotto gamba.
Invece, al secondo turno, la [B]stessa sitazione si è ripetuta con i Cavaliers[/B] di Lebron James, con i [B]Celtics[/B] nuovamente [B]incapaci di vincere una gara lontani dalle mura amiche[/B]. Stavolta però con una gara7 molto più combattuta, e vinta di sole 5 lunghezze da parte di Boston, con un testa a testa emozionante tra Lebron James e Paul Pierce, autori rispettivamente di 45 e 41 punti.
Con 2 serie inaspettatamente arrivate a Gara7, anche i più convinti sostenitori di Boston, che pronosticavano vita facile per i biancoverdi fino alle finali ad Est, iniziavano a nutrire [B]dubbi sulla reale concretezza della squadra[/B] del Massachussets, che pareva essere incapace di gestire le partite in trasferta e non pronta per il grande passo. Ray Allen, uno dei tre Big, dopo una Regular Season sottotono, pareva ai playoff essersi trasformato in un tiratore sugli scarichi, non attaccando mai il canestro.
Peccato che da tre il canestro non lo vedesse nemmeno col binocolo.
E non che nella serie successiva [B]Allen[/B] sembrasse il giocatore che tutti si aspettavano. Con Detroit infatti, a parte gara2 in cui la siua buona prestazione è stata la più classica delle loosing effort, [B]ha iniziato a dare segnali di risveglio da gara5[/B], iniziando finalmente ad attaccare il canestro.
Per un Allen che pareva in letargo, però, si sono pian piano risvegliati i Celtics, proprio contro gli avversari sulla carta più temibile. La [B]svolta[/B] della postseason per loro è arrivata con la prima [B]sconfitta subita in casa, in Gara2[/B], che ha messo gli uomini di Rivers con le spalle al muro e con la [B]necessità di vincere in trasferta[/B]. Cosa che si è puntualmente verificata in Gara3 e nella decisiva Gara6.
Della finale ovviamente si è già abbondantemente parlato, sia del completo risveglio di Ray Allen, sia della [B]straordinaria prova di Paul Pierce[/B], che dopo essersi infortunato in Gara2, è rientrato e non ha più sbagliato nulla, in particolare in difesa, dove ha messo la museruola a Kobe Bryant. [B]La Difesa[/B] (sempre rigorosamente con la D maiuscola) di Boston è quello che [B]ha fatto tutta la differenza del mondo in finale[/B], con Los Angeles che non riusciva a contenere Pierce, Allen, e a tratti Posey, Rondo e anche Perkins.
E nemmeno le [B]sventure[/B] capitate ai biancoverdi, sottoforma di [B]infortuni al già citato Pierce, a Rondo[/B], costretto in pratica a guardare dalla panchina Sam “I Am” Cassel e Eddie House bucare la difesa angelina, uno con tiri pazzi, l’altro con la precisione da oltre l’arco, [B]e a Perkins[/B], infortunatosi prima a un ginocchio e poi alla spalla, hanno impedito a Boston di arrivare all’obiettivo finale di vincere l’anello.
Anello che tutti hanno meritato, partendo da Garnett, Pierce e Allen, ma anche [B]PJ Brown, finalmente arrivato alla vittoria finale[/B] dopo aver deciso di rientrare, ed essere determinante, a stagione in corso in quel di Boston.
Adesso [B]il difficile sarà ripetersi[/B], perchè trovare le motivazioni di questa stagione sarà difficile.
Ma se Rivers riuscirà a continuare a promuovere tra i suoi la filosofia dell’Ubuntu, nulla pare precluso. Anche se ci sarà da mantenere il roster attuale e puntellare un po’ il team, partendo dalla trentesima scelta al draft, che dovrà dare un po’ di profondità alla panchina.