A Detroit era annunciata una bollente estate per la dirigenza e i tifosi dei Pistons. Come nelle più recenti tradizioni di fine stagione, assegnato il tanto agognato anello, nel Michigan ritornava il solito tormentone: rivoluzione o non rivoluzione?
Questanno le parole di Joe Dumars allindomani della sconfitta contro Boston, sembravano lasciare pochi dubbi al riguardo. Lo smantellamento di un gruppo rodato, che aveva portato ad un titolo e ad una finale NBA persa solo dopo 7 gare, giocate ad altissimo livello, sembrava davvero imminente.
Nello sport, così come nella vita del resto, non si può vivere di ricordi e questo il vecchio Joe lo sa benissimo. Per la prima volta negli ultimi tre anni, la dirigenza dei Pistons si dichiarava disponibile a trattare anche i giocatori del nucleo storico.
Per motivi tecnici e non, [b]Chauncey Billups e Rasheed Wallace[/b] sembravano già diretti verso altri lidi.
L’ottima stagione del rookie delle meraviglie Rodney Stuckey aveva convinto la dirigenza a sacrificare il pari ruolo Billups per arrivare ad un top player, quel famoso go to guy che è sempre mancato alla squadra in questi ultimi anni. Per arrivare ad un giocatore di questo calibro, sicuramente uno da top ten della lega, però non poteva essere messo sul piatto della bilancia, il solo Mr. Big Shot.
Sheed al suo ultimo anno di contratto, che chiama quasi 13,7 milioni di dollari, diventava così il secondo candidato più serio a cambiare maglia.
Un operazione 2×1, che comunque avrebbe lasciato non pochi dubbi e perplessità.
Tra rumors e fanta basket, sono stati diversi i giocatori accostati alla maglia di Detroit nei primi mesi estivi. Da Carmelo Anthony, passando per il compagno di squadra Allen Iverson, per finire a Tracy McGrady.
Nessuno dei sopraccitati si è mosso dalle rispettive franchigie.
Dumars era stato chiaro, non avrebbe alzato la cornetta del telefono per ricevere offerte indecenti. Evidentemente nessuno ha chiamato i Pistons, perchè la stagione sta per iniziare e a Detroit si rivedono le solite vecchie facce.
Cambio programma e la grande novità della stagione diventa l’arrivo di un nuovo coach. Infatti dopo tre eliminazioni in finale di conference, viene dato il benservito a [b]Flip Saunders[/b], un allenatore che difficilmente riuscirà a ripulire la sua fama da perdente, dopo lesperienza in Michigan.
Mai amato e probabilmente neanche mai rispettato dai bad boys, Saunders lascia il posto di head coach ad una matricola della panchina e vecchia conoscenza della squadra: [b]Michael Curry.[/b]
L’ex ala dei Pistons ha la stima del proprietario Bill Davidson e ha un carattere ed una leadership, che mancava invece allex coach di Minnesota.
Rivoluzione rimandata quindi al prossimo anno, quando ovvero scadrà il contratto di Wallace, come sempre croce e delizia della squadra.
A questo punto, Detroit doveva cercare i giusti giocatori che facessero da complemento allo starting five, ma con il passare del tempo i vari James Jones, Mickael Pietrus, C.J. Miles, Corey Maggette e Matt Barnes hanno tutti firmato per altre squadre.
Addirittura si era fatto pure il nome dell’ex Carlos Delfino, dopo la bocciatura di appena un anno fa, segno che la dirigenza stava navigando ormai al buio.
Nel frattempo, Jarvis Hayes veniva firmato dai New Jersey Nets, lasciando vuoto il posto di back up di [b]Tayshaun Prince[/b], giocatore che praticamente non si ferma da cinque anni e che è reduce pure dalle fatiche olimpiche.
Non tutti rimpiangeranno Jarvis, relegato in fondo alla panchina durante tutti i PO, ma l’ex Wizard rappresenta l’ennesimo fallimento di Saunders. Dopo una discreta regular season, il giocatore ha perso minuti in campo e considerazione da parte del coach. Un errore fatale allo stesso Flip, che non ha avuto nessuna risposta da un giocatore ormai demotivato e scarico, quando il titolare Prince è sceso di rendimento in maniera netta e preoccupante.
Viene invece riconfermato l’argentino Walter Herrmann, che due anni fa tra le file dei Bobcats aveva concluso il campionato in maniera eccellente.
Si riparte dalle certezze del nucleo storico, dall’energia di Jason Maxiell, dalla freschezza dei sophomores Rodney Stuckey e Arron Afflalo, e da autentiche scommesse: Kwame Brown, Amir Johnson e Walter Sharpe,
Brown dopo la piccola parentesi in maglia Memphis è chiamato ad una svolta nella sua carriera da professionista. I Wizard di Michael Jordan, allora presidente della franchigia, lo scelsero con la prima assoluta nell’ormai lontanto draft 2001, ma nella sua carriera si è distinto più per la sua scarsa etica lavorativa che per le sue gesta sportive.
Johnson è già alla sua quarta stagione in NBA, ha un talento cristallino ma non è ancora riuscito ad esprimersi al meglio, colpa anche di Saunders che l’ha tenuto in naftalina per troppo tempo senza alcun valido motivo. Dal ragazzo di Los Angeles la dirigenza si aspetta che entri stabilmente in rotazione e che dia continuità ai miglioramenti delle stagioni passate.
Infine a Sharpe, rookie scelto al numero 32, lo staff tecnico chiede di dare un seguito a quanto di buono ha fatto vedere durante i work out sostenuti prima della grande notte del draft.
Narcolettico, il giovane sembra aver fatto innamorare di sé il General Manager Dumars, che in questi anni ha sempre visto bene in sede di draft, con leccezione che conferma la regola di Darko Milicic, un nome che ancora riecheggia nellambiente Pistons.
Le ultime tre eliminazioni consecutive in finale di conference contro Miami, Cleveland e Boston non possono essere considerate un buon risultato sportivo, la squadra ha in mente solo un obiettivo: lanello.
Ai nastri di partenza Detroit parte ancora una volta con gli sfavori del pronostico.
La speranza è che il nuovo allenatore Michael Curry riesca ad emulare, nella gestione delle tante teste matte in spogliatoio, un grande della panchina come Larry Brown.
Certezze ce ne sono poche, ma lo staff tecnico è consapevole di avere tra le mani dei giovani promettenti, desiderosi di entrare nellelite del basket a stelle e strisce.
Un nome su tutti: [b]Rodney Stuckey[/b].