Nella NBA o si entra da pietra miliare di una squadra mediocre come è successo a Lebron James e Carmelo Anthony, oppure bisogna guadagnarsi ogni secondo di impiego, dimostrando di valere questa lega dentro e fuori dal campo.
Anche lo stesso Tracy McGrady a Toronto ha iniziato la carriera come specialista difensivo con qualche ventello sporadico, prima di diventare uno dei migliori attaccanti puri della lega e proprio a questo iter sembra ispirarsi la carriera di Danny Granger, stella emergente della NBA 2009.
Nei primi due anni di carriera Granger doveva uscire dalla panchina e incollarsi spesso allesterno più pericoloso degli avversari come LBJ o Kobe Bryant, salvo poi far valere il suo indiscusso talento offensivo solo con qualche buon bottino personale.
Ora è cambiato tutto. I Pacers non sono più quelli dellera di Jermaine ONeal o Ron Artest, sono una squadra giovane, intrigante, futuribile, ma allo stesso tempo ricca di incognite.
Lunica certezza è lapporto offensivo di un Danny in formato “MVP Candidate”. Ora è Marquis Daniels a doversi occupare degli esterni più pericolosi, sgravando così il giovane talento da New Mexico dallimpegno, per farlo rendere al massimo in attacco.
[b][i]E il nostro primo terminale offensivo[/i][/b] dice Carlisle – [i]non posso utilizzare le sue gambe per fargli creare attacco e difendere sul miglior uomo avversario e, siccome per noi è offensivamente fondamentale, il ruolo di stopper spetta a Marquis.”[/i]
Parole chiare ed inequivocabili che fanno di Granger (playmaking di Ford o meno) la pietra angolare per la ricostruzione della franchigia guidata da Larry Bird.
Le medie realizzative sono passate da 19.6 punti a 23,6 con un notevole 47% dal campo in ben 36 minuti di utilizzo, [b]migliorando in tutte le categorie statistiche, eccezion fatta per la voce rimbalzi.[/b]
Quello che più colpisce di questo ragazzo, però, è la [b]leadership[/b] che sta dimostrando verso i suoi nuovi compagni: nella partita di martedi contro Atlanta (34 per lui alla sirena con 13-18 dal campo) ha visto il vantaggio dei suoi assottigliarsi da 17 a 7 punti nel quarto periodo. La squadra stava perdendo la testa e durante un timeout ha chiesto a gran voce la parola, spronando i compagni a mostrare gli attributi, zittendo OBrien e dando la sferzata giusta ai suoi.
Ha messo in campo oltre che la sua tecnica, anche la sua leadership vocale, giocando per i compagni e infondendogli loro la sicurezza necessaria per andare a vincere la partita.
A conferma di ciò cè la statistica che lo vede come ottavo giocatore assoluto per rendimento nei quarti periodi con 6.5 punti di media e per il fatto che nei minuti in cui è in campo, la squadra segna quasi 14 punti in più, rispetto a quando lui non cè.
Per chiudere le curiosità statistiche possiamo vedere come il Roland Ratings di Danny (una versione riveduta e corretta del plus/minus che tiene conto delle performances del singolo giocatore, rapportate allapporto dei giocatori avversari e al momento della partita) sia uno dei migliori nella lega, cosa che conferma quanto sia indispensabile per questa squadra
[i]Quello che mi conferma il valore tecnico ed umano di Danny è la sua voglia di guidare i compagni e martedì (con Atlanta ndr.) ha avuto il picchio massimo, facendo uscire tutte le stigmate del capitano che ci sono in lui.[/i] continua OBrien.
Gli addetti ai lavori non vedono tutto questo ottimismo su Granger, che viene spesso valutato come un ottimo secondo violino per una franchigia vincente, ma non un franchise player. E chiaro che non può essere accostato ai vari James, Bryant o Paul, ma potrebbe tranquillamente essere una [i]second banana[/i] di una squadra da titolo, con grande influenza sui match.
Deve migliorare indubbiamente il trattamento di palla e qualche amnesia difensiva, forse dettata dal ruolo che ricopre in questo momento, ma non manca di attributi e di voglia di penetrare. Non è la canonica ala tiratrice che gioca solo in allontanamento alla Keith Van Horn, ma ha anche qualche colpo in penetrazione che gli può garantire una discreta quantità di liberi (69 in 11 partite).
[b]Indiana questanno va dove le cifre di Granger la porteranno[/b], al momento è sesto per quanto riguarda i punti proiettati sui 48 minuti (31.5), ma con tutte le attenzioni che riceve, perde anche 3,45 palloni a partita e questo corrobora lidea di un ball handling migliorabile e soprattutto di scelte spesso dettate da un attacco non roboante.
Definire Granger non ancora un franchise player non è quindi un’eresia, anche perché di quei giocatori ce ne sono una decina in tutta la lega, ma pare chiaro che in questa lega può fare la voce grossa in diversi aspetti del gioco e se manterrà questa sua poliedricità con stoppate (1.55), tiri da tre (già 29 centri) e palle rubate.
Considerati i soli 24 anni di età e unesplosione così repentina negli ultimi due anni, possiamo preventivare in questa e nella prossima stagione, un ulteriore passo in avanti nel suo gioco e solo dopo il lavoro specifico sui punti deboli potremo davvero inserirlo all’interno di una categoria dei grandi del gioco.