Che si trattasse di un anno di transizione era chiaro sin da inizio stagione: il lancio di [b]Amir Johnson[/b] in quintetto, la scelta di un coach completamente privo di esperienza in panchina come [b]Michael Curry[/b], messo alla guida di un gruppo mai morbido con gli allenatori, come la storia di [b]Flip Saunders[/b] conferma, ma soprattutto la cessione di [b]Chauncey Billups[/b] a Denver in cambio di [b]Allen Iverson[/b] erano chiari segnali che gli orizzonti temporali dei Detroit Pistons così come li conosciamo erano brevi, anzi brevissimi. A cosa si è arrivati? Al fatto che all’inizio di Febbraio, nella gara interna contro i Miami Heat di Dwayne Wade, i Pistons non hanno avuto l’ormai classico sold out, evento che non si verificava dal gennaio 2004.
L’arrivo di Iverson infatti, oltre a stravolgere gli equlibri di un gruppo solido, ha sopratutto confermato che Dumars, [i]deus ex machina[/i] di questi Pistons, vuole rinnovare, a brevissimo, il roster, dopo aver abbandonato, nelle parole e nei fatti, l’anima difensiva che aveva fatto dei Pistons una contender. L’arrivo di Iverson infatti oltre a stravolgere completamente la filosofia con cui i Pistons erano stati costruiti in questi anni, poterà i Pistons a scaricare a fine anno, scambi permettendo, quasi 22 milioni di dollari, cui si andranno ad aggiungere i 13.7 di Wallace, per un totale di quasi 36 milioni di dollari: un colpo grosso per il salary cap, che renderà nelle prossime estati i Pistons una delle franchigie con più disponibilità economica da buttare sul mercato dei free agent.
Il problema di questi Pistons è che passare da transizione a crisi il passo è breve. Chiaro a a proposito degli ultimi, deludenti, risultati (Detroit è 4W-6L nelle ultime 10) è Rip Hamilton:[i] ” Tutto questo è difficile per noi. Non siamo abituati a passare attraverso. Per noi è duro accettarlo perchè visto quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque o sei anni e conoscendo quali sono le nostre reali capacità “[/i]
Che ci siano problemi è evidente: non a livello personale tra i giocatori, anzi, ma lo spirito con cui i Pistons scendono in campo, la forza mentale, la voglia di sbucciarsi le ginocchia in difesa, la capacità di eseguire perfettamente in attacco , insomma l’intensità nell’approccio alla gara sembra sparita. Non solo, i giocatori sembrano non divertirsi più, non sentire la causa dei Pistons come propria, e le sconfitte di questo periodo non aiutano un gruppo disabituato a vivacchiare nella mediocrità ad uscire da quest’impasse.
La realtà è che i Pistons sono in mezzo ad un guado: da un lato ci sono i veterani, protagonisti di questi anni di vittorie:Tyshaun Prince, Rasheed Wallace, Richard Hamilton ed Antonio McDyess, che peraltro pare abbiano preso malissimo la cessione di Billups, dall’altro i giovani leoni: Jason Maxiell, Amir Johnson, Rodney Stuckey e Arron Afflalo, il futuro di questa franchigia. Al centro Allen Iverson, il nuovo arrivo, la pietra dello scandalo. La transizione dalla regia, magari poco fantasiosa, ma estremamente solida di Chauncey Billups a quella [i]me first[/i] di Iverson, nonostante i suoi sforzi per integrarsi nel sistema Pistons, è stato più traumatico di quanto chiunque potesse preventivare.
In campo la chimica non solo non è scattata, ma anzi i Pistons sono al centro di un equivoco tattico abbastanza evidente: questo roster si reggeva ad alti livello non solo grazie al talento dei singoli, ma anzi, sfruttava la capacità di giocatori di talento di sacrificare la fantasia sull’altare del gioco, della capacità di eseguire e di rimanere dentro i dettami tecnico/tattici imposti dal gameplan. L’esaltazione del talento asservito all’organizzazione che ha portato un gruppo solidissimo fino al titolo, non casualmente sotto la cura di un allenatore di carisma come Larry Brown, mal si sposa non solo con il talento multiforme ma inevitabilmente in calo di Allen I, ma anche con la regia confusionaria di Rodney Stuckey, giocatore per cui, pare, Dumars straveda, ma che al momento è lontanissimo da poter colmare il vuoto di leadership e capacità di leggere e risolvere le partite che era di Billups, di cui viene progettato come erede.
Il futuro, anche a breve termine, è incerto. Da un lato sembra probabile che Dumars smuova la situazione entro la trading deadline del 19 Febbraio, magari andando a bussare alla porta dei Raptors, che sembrano non essere più in cima alle preferenze di Chirs Bosh, andando a provare a strappare l’ex Georgia Tech, lasciato andare all’epoca del Draft, assieme a Melo Anthony e Wade, per scegliere Darko Milicic, mossa che rischia di pesare in modo abnorme sul futuro di Detroit, a Colangelo e soci, oppure cercando di anticipare il mercato estivo provando a strappare Carlos Boozer ai Jazz. D’altro canto più di un tifoso sogna i Pistons attivi nell’estate 2010, ormai chimera di ogni general manager NBA. Il problema in questo caso è che i Pistons sono un mercato, televisivo e pubblicitario, molto piccolo, e quindi poco attraente per un free agent che oltre al miglior contratto, oltre alle migliori condizioni per vincere cerca anche, se non sopratutto, un mercato che gli consenta di massimizzare gli introiti non direttamente legati alle sue prestazioni in campo (leggi sponsor). Riuscirà Dumars a stupire ancora una volta?