Kobe dice che il Madison Square Garden è l’ultimo palazzetto NBA con un fascino particolare e ci ha tenuto a griffarne 62 per immortalare l’evento e diventare il “best ever” per punti realizzati a casa dei Knicks. Lebron due sere dopo ha provato a emulare il “Mamba” fermandosi a quota 52. Noi di all-around ci siamo limitati ad essere presenti nell’arena più mistica degli Stati Uniti per la partita che ha visto di fronte i [b]Knicks ed i Sixers[/b]. E’ difficile spiegare l’atmosfera che si respira nella press room di un palazzetto NBA: il lusso non è kitch, ma semplicemente l’organizzazione e la meticolosità, portati al livello massimo.
I tifosi arrivano tutti per l’inno nazionale cantato da Latichia Smith, la quale nonostante un po’ di emozione, riesce a far venire la pelle d’oca anche ad un italiano che percepisce l’attacamento alla bandiera nel silenzio tombale di sottofondo.
La presentazione dei quintetti recita sul maxi-schermo la voglia dei Knicks di ripartire dopo diversi anni nefasti. Campeggiano i volti di Nate Robinson e Al Harrington che recitano doing it together, oppure the present is now a testimoniare che il progetto per far tornare grandi i Knicks c’è, ed anche se è solo all’inizio, merita sicuramente attenzione e calore da parte del pubblico. Il Madison è gremito in ogni ordine di posto (16628.03 la media di affluenza in stagione sino a quel momento), il campo è perfettamente illuminato, nonostante la suggestiva penombra delle tribune.
I Knicks non rispondono propriamente con l’animus pugnandi che ci si aspetterebbe e i Sixers, pur senza strafare, si trovano in vantaggio in doppia cifra con un sontuoso Miller da 6 punti e 3 assists. New York attacca in maniera abominevole e si espone alla 4×100 in contropiede dei Sixers, che fanno della corsa la loro arma migliore. Qualche sussulto viene da Harrington che, dopo i fragorosi fischi del pubblico sul timeout del -20, trova qualche canestro frutto più della voglia che di altro.
Come ogni squadra d’antoniana che si rispetti, i Knicks tornano in campo trovando un clamoroso 7-12 dalla lunga distanza nel terzo quarto, frutto soprattutto della scarica di 8 punti consecutivi dell’ex Larry Huges. Improvvisamente anche Robinson e Duhon trovano ritmo, il Madison diventa un’autentica Santa Barbara ed il tabellone luminoso annovera grandi del jet set newyorchese come Samuel L. Jackson e Chris Rock, che arringano la folla con un curioso make some noise. Per fare un paragone è come se Totti e Verdone apparissero alle partite della Lottomatica con grida e urla, contro i rivali senesi…only in America…
La rimonta non si completa mai ed i Sixers nei momenti di difficoltà si affidano sempre alle sapienti mani di Andre Miller e Thaddeus Young.
Il quarto periodo è un grande saliscendi di adrenalina, costellato di errori anche banali che testimoniano l’immaturità (a livelli diversi) delle due squadre. New York, pur spinta dal pubblico non riesce mai a mettere il naso avanti e quando raggiunge il -2 sul 99-97, subisce un canestro a 3 dalla fine dei 24 da Iguodala che sa tanto di decisivo. In seguito i Knicks non riusciranno mai a ritornare a meno di due possessi di distanza, regalando così ai Sixers il primo sweep stagionale a rivali di division da 23 anni a questa parte.
Quello che si nota dalle tribune è che le partite NBA riescono sempre a coinvolgere il pubblico in maniera sanguigna e che tutti gli intervalli spettacolari con acrobati e giochi aiutino a portare a palazzo anche bambini ed anziani oltre ai tifosi. Forse quello che manca al basket italiano (o forse allo sport generale che non sia il calcio) è un coinvolgimento e una ribalta sufficiente. A New York City la gente comune tifa per i Knicks, i Rangers, gli Yankeese ed i Giants, mentre a Milano c’è chi tifa o Milan o Inter, ignorando completamente gli altri sports. Avremmo bisogno di una grande infusione di [b]cultura sportiva[/b] per migliorare la nostra passione e, perchè no, allargare i nostri ristretti orizzonti.