Il primo passo verso una completa maturità: potrebbe essere questo il titolo per i prossimi playoff che vedranno protagonisti i Portland Trail Blazers, che tornano alla post season dopo troppe stagioni di oblio. Un primo passo verso un futuro da contender, ma anche un presente che potrebbe riservare piacevoli sorprese per i tifosi della squadre dellOregon, perché Roy e compagni potrebbero essere la mina vagante ad ovest, specialmente se dovessero avere il fattore campo al primo turno, cosa che al momento non hanno. Sarà dunque importante cercare di far bottino pieno nelle ultime sei partite di stagione, cosa fattibile se si guarda al calendario, dove lunica partita veramente difficile sembrerebbe la trasferta di San Antonio non ancora sicura del suo terzo posto, tuttaltro. Ma come arrivano i Blazers a questo importante appuntamento, e con quali prospettive?
Dalla pausa per lAll Star Game fino ad oggi il record di Portland è di 16 vinte e 8 perse, 6 delle quali arrivate in trasferta contro squadre di primissima fascia (tranne Atlanta e San Antonio che era priva di Duncan e Ginobili). Un bel ruolino di marcia per una squadra che in casa difficilmente si lascia sorprendere, ma che in trasferta paga ancora la poca esperienza e la scarsa propensione ad andare in lunetta.
I due cardini sui quali ruota la squadra sono Brandon Roy e LaMarcus Aldridge: i due terzo anno devono ancora completare la loro maturazione tecnica e caratteriale (specialmente il secondo), ma già adesso sono dei punti di riferimento per compagni e staff tecnico. Roy, che è stato selezionato per il suo secondo All Star Game consecutivo, sembra giocare come un veterano: sempre in controllo, gioca zone del campo che ormai in pochi frequentano, è bravo a coinvolgere i compagni ma senza dimenticare di essere lattaccante più pericoloso della sua squadra, ed ha un atletismo nascosto ma del quale si sono visti bagliori con un paio di schiacciate tonanti. Se gli si può muovere una critica è quella di non voler spingere troppo sullacceleratore, certe volte tiene troppo la palla ferma agevolando il compito della difesa e ai playoff, dove ogni pallone pesa, trovare canestri facili e attaccare una difesa non ancora schierata potrebbe essere la differenza tra una serie vinta o la fine della stagione. Aldridge è il tipico giocatore al quale si è appiccicata unetichetta che difficilmente verrà mai tolta, ovvero quella di giocatore soft. Non è solo un problema di LaMarcus, ma in generale quando un giocatore (specialmente se interno), è molto elegante, dotato di tiro e magari non incline allurlo belluino per ogni giocata, limpressione della massa è che questo giocatore sia si tecnicamente di livello ma non altrettanto dal punto di vista mentale. Tanto per non saper ne leggere ne scrivere Aldridge ha aumentato le sue cifre per il secondo anno consecutivo, ampliando il suo bagaglio offensivo per convivere con Oden: adesso il suo tiro dai 6 metri è quasi automatico, ed anche nel tiro da tre punti si sono visti progressi. Latletismo e il dinamismo sono di primissimo ordine, come anche la tecnica in post basso, dove i movimenti sono si spesso in allontanamento, ma per questo non meno belli ed efficaci. Certo, per essere efficace deve aver vicino un giocatore darea che occupi spazio, faccia il lavoro sporco e metta a disposizione della sua tecnica tanti muscoli.
Questo giocatore doveva essere Greg Oden, prima scelta del draft del 2007, fermo per tutta la stagione desordio per linfortunio al ginocchio, e colpito dalla sfortuna anche questanno. Il problema di Oden è soprattutto quello di stare in campo per tanti minuti: lo scotto dellanno da rookie, un fisico che durante la riabilitazione è cambiato, diventando più massiccio, linevitabile adattamento ad una fisicità diversa sono i motivi per cui Oden resta in campo pochi minuti, afflitto prematuramente da problemi di falli. Quando però rimane in campo, Greg è una presenza importante, per i suoi rimbalzi, per le sue stoppate e per la presenza nellarea dei tre secondi. Nonostante le tante critiche che gli sono piovute addosso, Oden sarà, assieme a Bynum e Howard una delle presenze più dominanti dei prossimi anni. Per ora ci pensa Joel Psyco Przybilla a dare sostanza sotto canestro, rimbalzi e stoppate, ma è indubbio che più aumentano i minuti nei quali Joel è in campo, più il suo impatto sulla gara è meno significativo ed inoltre Portland in attacco gioca in quattro.
Interessante sarà vedere come affronteranno i playoff le cosiddette seconde linee: Rudy Fernandez ha già giocato i playoff in Spagna, è stato MVP delle Final Four di Uleb Cup, ha giocato una finale olimpica e il suo approccio alla gara non dovrebbe cambiare più di tanto, anche se sarebbe bello rivedere il Fernandez che attacca il canestro alla Ginobili e non un tiratore solo ed esclusivamente da tre punti. Stesso discorso per Outlaw, che ha potenzialità fisiche devastanti, ma che spesso vengono dimenticate a favore di tiri stilisticamente belli e magari anche efficaci, ma che fanno il gioco della difesa e il male di Portland.
Rodriguez ha tanto talento, un fiuto per il passaggio con pochi eguali, ma non è pericoloso in attacco, e in difesa è più un danno che altro. Certo Jarryd Bayless è un rookie, ma per chi vi scrive sarebbe più utile dare minuti a lui che allo spagnolo, perché Bayless ha faccia tosta, sa spezzare le difese e può dare a Portland qualche punto dalla lunetta, merce piuttosto rara quando in campo non cè Roy.
Dove possono arrivare i Blazers?
Molto dipende dagli accoppiamenti: per il momento con ogni probabilità la sua avversaria sarà Houston, ma giocare la serie col fattore campo o meno potrebbe essere la vera discriminante. Ad ogni modo non è questa la stagione in cui Portland ha previsto di fare strada in post season, per i ragazzi di coach McMillian sarà già molto utile annusare laria primaverile di quando si fa sul serio, in attesa della completa maturazione dei tanti talenti presenti nel roster. Ricordiamoci però: Brandon Roy può già fare la differenza in una serie, almeno una di primo turno, gli avversari sono avvisati.