Mi ha fatto pensare in questi giorni l’andare a rileggere gli albi d’oro o comunque la storia e i risultati delle grandi squadre del passato, Celtics compresi. Leggi che un anno han vinto, uno sono usciti prima del previsto ai playoffs, un altro sono arrivati alla finale perdendola, magari l’anno successivo hanno vinto un ulteriore anello. Quando vivi tutto questo nel presente le sconfitte e le eliminazioni non sono soltanto una parte comunque dolce di una grande storia. Sanno, al contrario, di amarezza, di disfatta. I Boston Celtics 2008-2009 finiscono contro Orlando la loro stagione da detentori del titolo, e questa è la notizia che conta ora.
Boston ha vissuto una grande stagione, i numeri dicono questo: 62 vittorie a fronte di sole 20 sconfitte, numeri, anche questi, da consegnare alla storia. Sul più bello però s’è rotto qualcosa, nei panni del ginocchio del loro uomo guida, Kevin Garnett. Non solo il suo ginocchio ma anche quello di Leon Powe. Oltre a ciò Ainge e il management dei Celtics non hanno saputo dotare la panchina di Doc Rivers di giocatori esperti e assetati di anello, come nella passata stagione con Sam Cassell e soprattutto PJ Brown. Sfiancati dalla serie contro i Chicago Bulls i Celtics hanno saputo ribattere colpo su colpo contro una squadra più giovane e atletica come gli Orlando Magic, e solo le prestazioni non sempre brillanti (anzi) di Ray Allen nella serie gli hanno probabilmente impedito l’accesso alla finale di conference. Rajon Rondo è stato altalenante rispetto al 1° turno, chiuso con una tripla-doppia di media, e ha perso indubbiamente il duello col pari-ruolo Rafer Alston. I lunghi a disposizione di Boston non hanno saputo contenere Dwight Howard, cosa difficile per chiunque, figuriamoci per Big Baby Davis e Perkins, ma soprattutto non hanno saputo limitare se non addirittura bloccare le ali dei Magic, giocatori dalla doppia-dimensione, dentro e fuori, anche…molto fuori. Qui è mancato quel giocatore alla James Posey del quale probabilmente si sarebbe sentita ancor più la mancanza nell’eventuale successiva sfida ai Cavs. Da dove devono ripartire i Celtics? Sicuramente dai loro Big Three, che hanno – imprevedibili sfortune a parte – di sicuro ancora un paio di stagioni per cercare di riconquistare l’anello, e non pensiamo che uno sia stato abbastanza: le vicessitudini di questa post-season ridaranno benzina al motore di Garnett (a proposito: auguri oggi per il 33° compleanno) che saprà come coinvolgere nuovamente i compagni fin dal training-camp, oltre che al capitano, Paul Pierce, che per un po’ non chiuderà occhio ripensando alla sua orribile gara 7. Boston ha bisogno anche di decidere cosa farsene di giocatori come Scalabrine (idolo del Garden per carità, ma utile a cosa? Finchè si tratta di sventolare l’asciugamano…) e Tony Allen, un investimento che non ha ancora mostrato i giusti dividendi, e vista appunto l’esperienza 2008-2009, rinforzare notevolmente la panchina.
Orlando ha tremato ad inizio primo turno, quando Philadelphia è sembrata in grado di piazzare un up-set ai danni della franchigia della Florida. Riprese le redini della serie e passato il turno i Magic si sono trovati a giocare senza pressione contro Boston: hey sono i campioni NBA! Giustificabile comunque la sconfitta, galvanizzante, al contrario, l’impresa di eliminarli. Howard continua ad essere un giocatore disarmante per atletismo e potenza, ma meccanico, a metà campo il suo gioco è legato a doppio filo alle percentuali dei compagni. Se i tiratori colpiscono rendono virtualmente impossibile raddoppiarlo, se non lo fanno…e questo si è visto nella serie contro Boston, la differenza tra le serate sì e quelle no degli esterni in maglia blu.
Coach Van Gundy spesso criticato per il suo modo di fare e la sua gestione dello spogliatoio ha trovato la via migliore per battere il rivale Rivers, schierando 4 giocatori dietro l’arco dei 3 punti, consapevole che senza Garnett le rotazioni e i close-out più lunghi (come distanza da ricoprire) diventavano per i Celtics impraticabili. Ha trovato il suo vero faro in Hedo Turkoglu, una point-forward in grado di gestire il gioco come di mettersi in proprio. Difficilissimo accoppiarsi con lui, un missmatch vivente per altezza e stazza abbinate a velocità e tecnica sopraffina. Tutto questo ha tolto pressioni dalle spalle di un Alston maturato e ora in grado di guidare una grande squadra in cabina di regia. Lewis e Redick hanno fatto il resto, soprattutto il primo, partendo dalla posizione di ala forte, ha saputo portare gli avversari lontano da canestro dove ha colpito con micidiale precisione. E’ lui la vera sorpresa di questi Orlando Magic, un potenziale grande mai confermatosi tale. Una nota di merito sicuramente va a Pietrus che entrando dalla panchina ha portato energia, atletismo e anche lui tiro da fuori (ma va?!?), dando a Van Gundy quelle alternative che un allenatore obbligatoriamente deve avere quando si affaccia su questi palcoscenici. E ora sotto con LeBron&friends!