Per una volta sento di avere qualcosa in comune con LeBron James: siamo entrambi seduti e nessuno di noi due (complice nel mio caso la nevicata d’ordinanza che si sta abbattendo sulla Valdichiana) indossa pantaloncini e canotta. Qualche problema per i 20.562 della Quicken Loans? Non direi. Palazzo gremito anche per il “derby” con gli Spurs.
Il LeBron in realtà seduto ci sta pochino, nonostante l’infortunio che lo terrà un po’ a riposo – provvidenzialmente se vogliamo – in vista del finale di stagione. Passa parecchio tempo in piedi in fondo alla panchina e le inquadrature sono tutte per lui. Ride e scherza con chi versando regolarmente fior di dollaroni nelle casse dei Cavs indirettamente paga parte del suo stipendio. Ovvia la disponibilità, direi.
Ad un James in giacca, ma non con cravatta, fa eco Coach Brown, meno elegante del solito, ma sempre con abito griffato e…hey, niente cravatta!!! Possibile? Pare una scelta dell’ultimo momento, se è vero che il primo bottone della camicia, di conseguenza slacciato, lascia in bella vista la maglietta bianca che sporge da sotto. Voto 4 al buon Mike, solitamente impeccabile. Non è difficile pensare ad un gemellaggio, ad un abbinamento di look col suo (e dei compagni, e della franchigia, e della città, e della NBA, ecc. ecc.) giocatore di riferimento…Sbagliato!!!
Butto l’occhio dall’altra parte, panca degli Spurs, ed ecco Coach Pop, anch’egli scravattato! Allora è un’ossessione?!? “Derby”, dicevamo…
Le squadre in campo sembra abbiano voglia di giocarsi contro, fin da subito. Quando ci si vede solo due volte in una stagione, finali NBA permettendo, succede spesso così. Succede ancora di più quando l’allenatore di quelli in casa è un’ex di quelli con la valigia in trasferta, primo “assistant coach” in questo caso. E la dirigenza sempre di quelli sostenuti dai 20mila e passa? Lascio stare o sarei ripetitivo. Si gioca, dicevo, e nessuno pensi che l’assenza di James pesi in un modo talmente determinante da far scendere la qualità del gioco, anzi. Sulla sponda opposta si può dire lo stesso per l’assenza di Tony Parker. Il francesino ha un infortunio alla mano, frattura esattamente, e rischia dalle 4 alle 6 settimane. Auguri.
Se Mo Williams prova a prendersi qualche libertà in più, sprecando però diversi palloni che ne certificano ancor più lo status di “combo-guard” e non di classico regista, ben coadiuvato dall’ottimo inizio del nuovo arrivato Jamison, sul fronte Spurs è Ginobili a partire in quintetto come vero playmaker della squadra. C’è Hill al suo fianco nel backcourt, ma l’argentino non vuole saperne: la palla la gestisce lui!
Soliti Spurs in attacco: esecuzione perfetta con un paio di situazioni interessanti. Si va da Duncan ma non solo, o non sempre, per isolarlo contro gli Hickson o Varejao di turno. Spesso Tim gioca da centroboa, anche se spostato sul post-medio, indifferentemente a destra o a sinistra del canestro. Sul taglio intorno a lui (o a centro area) classico di Parker e qui interpretato da Hill, il caraibico sa leggere il raddoppio e scaricare al compagno smarcato. L’NBA è una lega fatta di cliché, per questo i raddoppi difensivi di ogni squadra sono sempre e solo due: big-on-big o double-down. Nel primo caso, ma Brown non lo utilizza mai, Duncan è bravo a pescare l’altro lungo lasciato solo sul lato debole, e in questa situazione non puoi avere giocatore migliore di McDyess per punire il raddoppio col jump dal mezzo-angolo. Nel secondo caso, quello visto e rivisto, è una guardia a mettere pressione sul post, soprattutto se questi – Duncan – mette la palla per terra. Nemmeno arriva il raddoppio: palla fuori a Ginobili e serie di triple da far desistere il più incallito sostenitore di questa tattica difensiva.
Nell’altra metà campo – la propria – gli Spurs latitano, ed essendo “in gessato” quello che più di tutti tiene la palla ferma, l’attacco dei Cavs sviluppa un buon gioco e movimento, soprattutto con l’inserimento recente di significative variazioni all’attacco a due post-alti. Una partenza 1-4 che dà diverse alternative a Cleveland, partendo come concetto dalla abusata “partenza UCLA” ed evitando quasi sempre uno schieramento per favorire le doppie uscite.
Cambia qualcosa nella difesa texana quando in campo mette piede l’altro francese, quel Mahinmi che, se per qualità delle mani deve ancora sgrezzarsi, dal lato atletico può già dire la sua “in the League”. Purtroppo non la pensa così Mr. Joe Crawford, capo-arbitro (nonchè degno erede di Leslie Nielsen nell’interpretazione dell’ “official” del baseball nella famosa scena della “Pallottola spuntata”) se ce n’è uno e avverso alle rotazioni – buone, a volte buonissime! – del giocatore da Rouen, Francia. Quando il nostro ci aggiunge anche 3 palle perse però diventa troppo anche per Popovich e sarà Bonner, da lì in poi, la spalla fissa di Duncan.
Gara in equilibrio, anche divertente a tratti e su buon ritmo, per essere a Marzo. Riconosco per una volta anche ai telecronisti Sky di non essere pedanti: conosciamo a memoria le citazioni sulle frequentazioni con gli “amici” degli Spurs (R.C. Buford in primis) e sull’infatuazione, questa comprensiva e condivisa, per l’argentino, ma se non esagerano tornano i Tranquillo&Buffa di una volta. Chapeau! Restando in tema: Manu è davvero il protagonista della gara (chiuderà con 38 punti, 7 rimbalzi, 5 assist in 37 minuti di tecnica e furbizia latina), un giocatore che al pari di Duncan non è certamente nella fase crescente della propria carriera. Ma l’abilità di un Ginobili che non può più andare al ferro, e spesso per terra, come da giovincello, è quella di aver imparato a fare altro, su un campo da basket. L’ex-Virtus Bologna legge alla perfezione ogni pick’n’roll, ora più come passatore che come incursore a centroarea, e trova sempre l’uomo libero, anche lontano dal suo raggio visivo. In questo spesso supera chi la “cattedra” ce l’ha di ruolo, a San Antonio, ovvero quel Parker che come accade ad esempio a Rondo in quel di Boston, troppo spesso “rovina” le spaziature e si preclude determinati angoli di passaggio per l’eccessiva vicinanza al canestro dalla quale comincia l’azione d’attacco.
Con questa situazione, fattasi ricorrente negli ultimi minuti di gioco, gli Spurs possono vincere la gara, e invece proprio così la perdono. Perchè?
Perchè Bowen non c’è più. Perchè Horry lucida gli anelli a casa. Perchè Finley è diventato un Celtic. Quel tipo di giocatore che è sempre stato la chiave (o una di esse) delle passate vittorie neroargento ora manca nella rotazione di Pop. Si pensava a Jefferson. Risposta sbagliata. L’acquisto più importante di San Antonio sembra ora un corpo estraneo all’interno della squadra. Non è il difensore che piace a Popovich – che punta molto invece su Bogans – e non è quello che ha capito che per vincere bisogna anche mettersi, letteralmente, in un angolo, e aspettare lo scarico. Peccato…
Si arriva al finale con Cleveland che rispolvera dalla panchina un Delonte West in formato cambio extra-lusso: nell’ultimo quarto diverse sue giocate offensive, tra cui un tap-in e un paio di arresto-e-tiro (uno a destra, uno a sinistra), e un clamoroso recupero in difesa per intercettare un passaggio destinato a Ginobili, dal quale poi subisce anche fallo, consegnano la W ai Cavaliers. Manu non ci sta e sul -3 infila dalla distanza, ma pestando la linea dei tre punti, come ravviserà ottimamente la terna arbitrale grazie all’instant-replay (niente manette, niente moviole, niente processi del giorno dopo: benedetti americani!!!). Non è finita: Williams mette i liberi e sulla successiva, clamorosa rimessa disegnata da Pop, Mason manda sul ferro la palla del possibile overtime.
Si chiude qui un divertente dopo-pranzo con l’NBA, con la sensazione che se c’è del buono nella prestazione di quello che normalmente è “solo” il supporting cast di King James, resti proprio questo difficilissimo (da ottenere) amalgama tra le parti l’ostacolo più grande tra l’ex “errore sul lago” e la consacrazione tra i grandi. Lato Spurs: sarà una lunga, calda estate quando dovranno sedersi ad un tavolo e decidere se 12 è il numero giusto da scrivere sulla casellina targata “milioni di dollari” che sarà presente nel rinnovo contrattuale di Manu Ginobili. Ma questa è un’altra storia…
Andrea Pontremoli