A L.A. è ormai notte. E i festeggiamenti sono appena iniziati. Vanessa Bryant (e figlie) fanno la loro apparizione sul parquet. Le stelle di Hollywood applaudono i loro beniamini in maglia gialloviola, che sommersi dallo champagne alzano l’ennesimo trofeo. Il tripudio di bollicine prosegue negli spogliatoi, con Ron Artest grande protagonista, dopo esserlo stato sul campo. Scene di gioia già viste diverse volte in questo spicchio di paradiso che è la California del sud, per la precisione 16 volte. I Lakers sono ormai ad un passo dal raggiungere i Boston Celtics, proprio loro, al 1° posto per maggior numero di stendardi appesi al soffitto. Kobe Bryant alza il suo personalissimo trofeo, quello di MVP delle Finals, per il secondo anno consecutivo, così come per la seconda volta di fila Phil Jackson guida i suoi alla vittoria finale. E per il Coach venuto dal Montana sono 11 anelli, il 5° da allenatore dei Lakers, dopo i 6 degli anni 90 a Chicago. Ma quest’ultimo, probabilmente, è stato il più agognato, il più difficile da raggiungere. E tutto per “colpa” degli acerrimi rivali, sportivamente parlando, dei Boston Celtics.
Ancora lacrime, ma di ben altra entità. E’ la locker room degli ospiti, questa volta, ad ascoltare in silenzio, tra i singhiozzi, i festeggiamenti di un’intera città. Una città che Paul Pierce conosce bene – essendoci nato e cresciuto – ma che il capitano biancoverde non è riuscito a rendere infelice, come gli accadde nel 2008. C’è Ray Allen che qui ci vive, e che forse proprio nella “città degli angeli” ha giocato la sua ultima gara in maglia Celtics. In un angolo Garnett, solito condensato di forti emozioni: i suoi 17 punti non sono bastati, così come i 14 con 10 assist di Rajon Rondo, per riportare il titolo nel Massachusetts.
Eppure sembrava fatta, o quasi. Boston con un cuore grande come l’intera California guida le danze fin dall’inizio, pur priva del fondamentale Perkins che si deve accontentare di fare il capo-ultras in panchina. Ad ogni assalto di L.A., i Celtics rispondono mantenendo sempre quel vantaggio che sembrano poter portare fino alla sirena finale. Invece… a 6’13” dall’invertire tutto quanto descritto all’inizio, il solito, encomiabile, Derek Fisher infila la tripla – storica specialità della casa, ma non in queste Finals – del 64-64. E’ l’inizio di un parziale devastante, un 11-0 pro-Lakers che segnerà indelebilmente la partita, la serie, la stagione. Sotto di 6 a 1’30” dal termine i Celtics sono ancora vivi: Rasheed colpisce da 3, dopo aver giocato (ottimamente) gran parte della gara in post-basso. Di questo passo non sembrano improbabili i supplementari, un epilogo di certo degno per l’intera sfida tra le Sparta e Atene del basket a stelle e striscie. Invece Ron Artest, vero MVP almeno di questa gara 7, risponde sempre da oltre l’arco. Ancora +6 L.A. Nel momento della verità torna protagonista Ray Allen (13 punti con 14 tiri) che dall’angolo porta il punteggio sul 79-76. Non è ancora detta l’ultima parola, Boston ci crede. Bryant sbaglia la tripla. Con palla in mano i Celtics potrebbero addirittura pareggiare, ma la carambola (o il mancato tagliafuori?) favorisce Gasol: è il suo 9° rimbalzo offensivo, categoria statistica stradominata per tutti i 48 minuti dai padroni di casa. Dall’azione vengono fuori 2 liberi che Kobe mette a segno. Ancora +5. Allen ci riprova ma la sua conclusione, deflettata, finisce in mano a Rondo, il quale con un’incredibile azione del tutto istintiva, palleggia fino all’angolo e in un solo movimento si gira e segna da 3. 81-79, incredibili Celtics! I Lakers tornano in attacco cercando di superare il pressing di Boston. Vujacic, appena entrato, subisce fallo e dalla linea della carità, con freddezza glaciale, insacca entrambi i liberi, sigillando l’83-79 finale. Infatti negli ultimi 11 secondi e spiccioli, Boston non riesce a trovare la via del canestro, e la gara si chiude con Bryant che sprinta in campo aperto, braccia al cielo, inseguendo la palla che conserverà nel personale museo dei cimeli.
Del dopo-partita s’è già detto. Che faranno i due allenatori, entrambi in odore di partenza, non lo sappiamo ancora. Come si muoverà Ainge sul mercato rimane un giochino attualmente legato solo ad ipotesi. Sicuramente i Lakers torneranno con questa squadra, pressochè intatta, per cercare il three-peat del quale loro stessi sono stati gli ultimi autori nella storia NBA. Altrettanto certa appare la conclusione, dopo questi 3 anni, del “ciclo Big Three”, strada facendo diventati “Four” con la crescita esponenziale di Rajon Rondo. Due finali, una vinta, quanti fans dei Celtics avrebbero messo l’autografo per vivere queste 3 stagioni, dopo il ventennio abbondante di carestia? Tantissimi. Ma ci sarà tempo per celebrare – doverosamente – gli sconfitti e parlare di futuro. Al momento gioisce L.A. (sponda Lakers ovviamente, non scherziamo), il titolo 2009-2010 è tutto suo!
Andrea Pontremoli