Il sabato del weekend di un normale All Star Game lo conosciamo bene o male tutti: show, pagliacciate, un macello di pubblicità e ogni tanto qualche perla degna di nota da parte di qualcuno dei protagonisti scelti nelle diverse sfide. Venerdì il tutto viene anticipato come sempre dal Rookie Challenge. I Rookies, già vittoriosi nella passata stagione, si ripetono, guidati dal trio Wall-Griffin-Cousins. In particolare il primo è determinante nei (forse) 5 minuti di gara semi-vera, cioè quelli finali, dove raggiunge i 22 assist (record per la, ehm, manifestazione) che gli valgono il titolo di MVP. In campo viene riformata la coppia già vista in maglia Kentucky Wildcats con Cousins che guida i suoi nelle marcature (33 punti, eguagliato il record di LeBron James del 2004). Ad ogni azione il pubblico dello Staples Center si aspetta la palla alzata per Griffin, in una sorta di anticipo dello Slam Dunk Contest. Il “finto” rookie (saltata la scorsa stagione per infortunio, è stato rinserito nella selezione delle matricole 2010-2011) li accontenta, per poi prendersi notevoli minuti di riposo in vista di tutti gli impegni che lo aspettano nel corso del fine settimana.
Ma torniamo a stanotte: la serata si apriva col classico Haier Shooting Stars, una gara di tiro tra squadre composte da due stars odierne di NBA e di WNBA e una “leggenda” del passato, una gara fatta per una prima rapida parte da una sorta di shootout da diverse posizioni e terminante invece solitamente con una lunga serie di tentativi da metacampo (ne serve uno da tale distanza) per completare il ruolino di 6 canestri complessivi e fermare il cronometro il più in fretta possibile. Dopo l’eliminazione dei padroni casa, i Los Angeles Lakers che pagano un Rick Fox non proprio in gran spolvero e dei Chicago Bulls, in finale si andavano così ad incontrare Atlanta e Texas (già vincente lo scorso anno) : i primi chiudevano con 1’10” grazie al talento di Al Horford e alla simpatia di K.Smith, giornalista NBA, il team guidato da Nowitzki invece, dopo aver velocemente chiuso la pratica dei primi cinque tiri, vedeva spegnersi le speranze di doppietta su un’infinita serie di ferri. Evento a margine vero, ma Gasol in campo ha sempre un suo perchè per un tifoso gialloviola…
Si continuava poi (Dio solo sa quanto caffè abbia ingerito in pause del genere) con lo Skills Challenge, spettacolo già più interessante, animato dalle “piccole” stars della Lega che si sfidano in una sorta di percorso ad ostacoli a caccia anche qui del miglior tempo di completamento: assente il detentore Steve Nash, a contendersi il premio zig-zagando tra sagome metalliche e centrando con accurati passaggi una serie di bersagli si presentavano CP3, Stephen Curry, Derrick Rose, l’MVP del Rookie Challenge J.Wall e Westbrook. Il fenomeno degli Hornets parte malissimo sbagliando il primo easy layup, collezionando una pessima prova ed un tempo troppo alto per poter impensierire gli altri; va male anche a Rose e Wall che litigano con la precisione perdendo preziosi secondi e lasciando di fatto a Curry e Westbrook il round decisivo. La point-guard dei Warriors chiude la prova senza la minima sbavatura, completandola in 28.2” e stravincendo sul povero Russel che supponiamo ne abbia ancora un po’ tutt’ora per infilare un pallone in uno dei tre cesti…alzava dunque il trofeo Curry, che si prendeva così una piccola rivincita sull’opaca performance di venerdì notte dove certo era atteso come uno dei migliori Sophomores in campo.
Terzo appuntamento della serata il 3-Point Shootout, ricco di grandi nomi tra Paul Pierce, campione in carica e l’infermabile Ray Allen, neo recordman NBA nella specialità; dietro di loro James Jones, Daniel Gibson, Dorell Wright e quello che un po’ figurava come l’outsider della sfida, Kevin Durant. Dalla lista dei tre papabili finalisti si toglievano subito Gibson e Durant che con due prove piuttosto imbarazzanti (rispettivamente 7 e 6 punti sui 30 disponibili) andavano immediatamente a scaldare la panchina dello Staples, sul filo di lana passava invece Pierce, che nonostante l’avverso pubblico losangelino sfruttava al meglio gli ultimi due palloni battendo così Wright , aggiungendosi ai già qualificati Allen e Jones e sfornando subito un ottimo 18 per aprire le danze. Ma Jones non tremava, con fermezza ne metteva quattro a carrello chiudendo con 20 e lasciando a He got game l’ultima parola: già vincente nel 2001, il pubblico non può che attendersi una prova simile e invece il #20 Celtics deludeva tutti quanti, sbagliando troppo e finendo addirittura terzo, troppo poco per un affidabile tiratore come Ray. E qui, strano a dirsi vista l’ora, mi sorgeva una riflessione: Miami viaggia come un treno verso i PO, ha Wade e LeBron, Miller, Chalmers, House e ora il campione del tiro da 3 per punire dall’arco con sempre due metri di spazio, poi Haslem e Ilga con i piazzati piedi per terra che mettono a occhi chiusi con l’80% e in più aggiungiamoci Bosh che come terzo violino schifo proprio non fa…beh…tanti auguri.
Chiudeva lo show della TNT la gara più attesa per spettacolarità e fantasia da mezzo mondo, lo Slam Dunk Contest, un po’ in calando a dir la verità come fama negli ultimi anni ma che, visti i partecipanti, dava modo di attendersi finalmente una bella gara. A mente fredda, probabilmente una delle più belle di sempre. Dispiace per DeRozan e Ibaka che non meritavano certo l’esclusione dalla finale viste soprattutto le migliori dunks dei due ragazzi, il primo autore di un between the legs grandioso anche per eleganza e stile, il secondo capace di volare dalla linea del tiro libero come non si vedeva da molto tempo. Superbe. Blake Griffin continuava invece nel costruirsi attorno a sè un’immagine capace di accattivare i tifosi, partendo con un ottimo 360° (spesso sottovalutata), ma anche e soprattutto con la copia della schiacciata di Carter del 2000 con gomito sul ferro, non da finale vista la fantasia ed esplosività di Javale McGee reo però di aver speso i suoi due jolly, doppia e tripla jam, nella fase iniziale, arrivando all’ultimo round con una “povera” affondata post-lancio sul tabellone. Blake ha così modo di chiudere in bellezza di fronte al pubblico amico chiamando in campo un coro gospel ,intonante l’intramontabile “I believe I can fly”, e una berlina della Kia Motors con Baron Davis pronto a servire il compagno dal tettuccio: il risultato è impressionante e nonostante la pagliacciata messa in piedi la vittoria non può che essere sua..il ragazzo sta crescendo e il suo futuro si fa sempre giorno dopo giorno più roseo.
Attendendo i big, si vola a letto. Un giorno imparerò anche io a schiacciare!
Michele Di Terlizzi