Bene, le righe che seguono, oltre che pleonastiche per chiunque volesse leggere un grande pezzo di basket di un grande nome di basket, saranno anche un’apoteosi di autolesionismo. Chissenefrega. Con l’ultimo posto della Benetton nelle Final Four il fondo è già stato toccato…
Guardo ora il mio pass. C’è scritto il mio nome e di seguito “journalist – www.all-around.net – sector E – row 3 – seat 9”. Me lo sono accaparrato sabato pomeriggio. Dopo il paio di birre di rito al chiosco con gli amici, mi presento all’entrata: sembra un check-in in un aeroporto statunitense dopo l’11 settembre. Devo esibire l’invito e la carta d’identità, poi mi è scattata una foto (vengo malissimo) ed infine mi è stampato il pass in tempo reale. Entro. La sala stampa è spaziosa e noto con piacere che c’è anche da mangiare. Riempio la borsa di scartoffie che ovviamente si riveleranno inutili e mi avvio verso la tribuna. Mi illudo che trovare il mio posto sia semplice e vago a casaccio per l’area riservata alla stampa, senza fortuna. Una hostess, vedendomi clamorosamente spaesato, mi si avvicina e parlandomi in inglese, mi conduce al mio posto. Per vergogna, evito di dirle che sono un italianissimo trevigiano. Ma sono finalmente in postazione.
Inizia la partita tra Unics e Cedevita. I tifosi croati sono forti (hanno perfino una banda!), i loro beniamini molto meno. Vedo giocare Lyday come mai aveva fatto a Treviso. L’Unics vince facile. Scrivo le ultime righe di commento e prendo la via della sala stampa. Immediatamente sotto la sud mi imbatto nelle battute finali di un’intervista a Lampe. E capisco come funziona. Troppo tardi. Nell’immediato post-gara alcuni giocatori si piazzano in una piccola area transennata, per scambiare due (rapidissime) parole con la stampa. Lì sistemati, ognuno nel suo piccolo spazio, i giocatori sembrano puttane (molto alte) nel classico viale delle puttane. Vorrei allungare il registratore per carpire le ultime battute in inglese del polacco, ma… non ce l’ho il registratore. Vedo che invece molti intervistatori utilizzano il cellulare come “recorder”. Li fisso con lo stesso sguardo incantato di Michel J Fox in Ritorno al futuro parte II, quando vede la pizza istantanea. Forse, mi impongo di pensare, non è proprio un comune cellulare. Comunque sia, mi sento indietro…
Guadagno posto in sala stampa e mi viene messo in mano un apparecchio con le cuffie per la traduzione simultanea. Avevo visto cose del genere solo nelle immagini del parlamento europeo, o dell’ONU. Vivo un momento di assoluta onnipotenza. Dopo di che provo a capire come l’aggeggio funzioni. È vero, Petrovic parla un inglese “accessibile”, ma vedere alcuni giornalisti (quelli avanti!) tradurre simultaneamente, senza alcuno sforzo apparente, ogni parola sul proprio pc alla velocità con cui io penso è qualcosa di veramente tosto. Mi sento molto indietro.
Il buffet mi fa riguadagnare autostima e serenità. Soprattutto perché c’è un frigo pieno di birra. L’hanno fatto per i russi e i croati, ho pensato! Fosse per gli italiani… Avendo bazzicato qualche summer league in Ghirada, so che in queste occasioni i frigoriferi sono di prassi riempiti di acqua e di quelle brodaglie che tanto piacciono agli atleti; quelle che fanno venire i calcoli ai reni. Mi guardo bene perciò dal polemizzare sul fatto che si poteva pescare una marca migliore di birra. La birra… è sempre birra. Gli affettati sono buoni, ma purtroppo non ho tempo di assaggiare i tortellini. Devo tornare in tribuna stampa. Tra pochi minuti sarà in campo la Benetton.
Alle mie spalle ci sono i tifosi della mia squadra. Non riesco a vedere la totalità della curva, ma li sento caldi e cattivi, pronti per tornare a lottare per un trofeo. Il clima è frizzante. Come ai bei tempi. Di fronte a me ci sono tanti scout NBA. Sono qui in particolare per Motiejunas. Né io né loro possiamo prevedere la partitaccia che il giovane lituano giocherà. Inizia il match. Il Siviglia difende aggressivo e la Benetton non ci capisce nulla, forzando praticamente ogni conclusione. Sarà così per tutta la partita. La partecipazione del pubblico è quella propria dei grandi eventi, quelli in campo sembrano intimoriti dai grandi eventi. A conti fatti, solo il Bullo sembra fatto per queste partite. Nel secondo tempo Treviso va sotto di 15, poi ha una reazione. Ma io, sinceramente, non ci credo. Il Cajasol non è veramente in difficoltà e la nostra situazione falli è drammatica. Ed infatti gli ospiti allungano di nuovo ed il finale di partita è tranquillo. La Benetton è sconfitta. Il pubblico mostra di avere apprezzato l’arbitraggio con un lancio di bottigliette di plastica ed altri oggetti. In questo momento sono felice di non essere un professionista, costretto a dire o scrivere “sono cose non si vorrebbero vedere su un campo di basket”. Forte del mio status di “dilettante”, vorrei invece anch’io avere la mia bottiglietta da tirare: contro gli arbitri, contro i miei giocatori, contro la cocente delusione, contro le macerie di un sogno infranto.
Torno a fingermi uno serio e completo il pezzo, affranto dalla tristezza. Giusto il tempo per perdermi le dichiarazioni a caldo dei giocatori. Chissenefrega, mi dico. La scarsa esperienza che ho è comunque sufficiente per sapere che in inglese tutti dicono le stesse cose. Ogni partita è “tough”. Chi vince è “happy”, chi perde è “disappointed”. E sarebbe troppo “tough” per me sorbirmi questa sequela di banalità… Very disappointed, tiro dritto verso la sala stampa.
Repesa fa i complimenti al Siviglia. Hanno meritato. La Benetton fa fatica a difesa schierata, quando non riesce a correre ha dei problemi. Il Cajasol è più lungo ed esperto. Ma i ragazzi sono stati bravi a centrare le final four. Gli arbitri? Non gli va di parlarne, ma ne parla. Senza polemiche. Tutto all’insegna del politically correct. Vorrei intervenire: “Coach, di solito quando perde lei è imbronciato come un bimbo in castigo e laconico quanto Zeman in un eccesso di ermetismo. Ora parla. E non la vedo sufficientemente incazzato! Lo dica che abbiamo giocato di merda! Questa poteva essere l’ultima chance per la mia squadra di vincere qualcosa! Tra un anno forse non esisteremo più…” Mah… qualcosa non quadra.
Il frigo della birra è vuoto. Mi avvio verso il chiosco, ma ormai non c’è nessuna spalla amica su cui piangere.
Il giorno seguente. Il copione è più o meno lo stesso. A cambiare è il livello delle partite: pessima la finalina (ma non poteva essere altrimenti), tosta la finale (l’Unics è uno squadrone). Anche il clima sugli spalti non è caldo come ieri, ma… non poteva essere altrimenti. La Benetton confeziona un’altra pessima partita. In fondo non è grave, però… Avviandomi in sala stampa dopo la finalina, incrocio Pero Skansi, il coach del primo scudetto. Non ho il coraggio di chiedergli dove siano finiti i “nostri” giocatori con le palle. Vinny il Siviglia se lo sarebbe mangiato col cren…
Il buffet offre gustosi tranci di pizza. E c’è ancora birra. Devo accontentarmi. L’Unics alza infine la coppa e la rapida conferenza stampa di Pashutin (ha la faccia da simpaticone) sembra una canzone di Caparezza. In sintesi: “Sono molto contento. Veramente contento. Amo il basket, amo i miei giocatori. E sono molto contento”. Non sembra ubriaco, non parla da ubriaco. Ma di sicuro è contento come un ubriaco. Mi bevo volentieri una birra alla sua salute e saluto tutti.