Oggi abbiamo la possibilità di scambiare due chiacchiere con un allenatore e una persona davvero unica come Marco Andreazza. Quest’anno ricopre la carica di allenatore delle squadre under 19 e under 13 della Benetton Treviso, ma ha militato a Omegna sino allo scorso anno ed è stato al fianco di Pillastrini nella Montegranaro della scalata alla serie A.
Lo ringraziamo della disponibilità e partiamo subito con le domande
– Quanta differenza c’è tra allenare le giovanili della Benetton e una squadra professionistica come Omegna?
MA: Allenando una squadra senior l’impegno era tutto il giorno comprese le mattine, quest’anno allenando ragazzi che vanno a scuola, ho le mattine praticamente libere e le sto sfruttando per lavorare su me stesso, aggiornandomi, vedendo partite di vari campionati.
– C’è sufficiente investimento sia economico che di forze per il basket giovanile?
MA: Secondo me no perché il ritorno non è sufficientemente adeguato. Ormai le realtà giovanili di una certa qualità sono sempre meno, così come il numero di ragazzi giovanissimi che incidono ad altissimo livello.
– I Gallinari, Gentile ecc. esplodono comunque perchè hanno troppo talento, ma come mai l’Italia fatica a creare una buona fucina di giovani per il proprio campionato?
MA: Sicuramente c’è una serie di cause collegate, ma senza ad andare a scomodare esempi che ci porterebbero su strade di vario tipo, dico che sicuramente i regolamenti non avvantaggiano molto l’esplodere dei giovani nei campionati senior. Ci sono sempre meno società che investono su allenatori e istruttori di settore giovanile seri e competenti e,ultimo ma non ultimo per importanza, il fatto che spesso il lavoro degli allenatori senior è giudicato solo in base ai risultati e per questo non è spesso facile lanciare giovani in prima squadra col rischio di perdere all’inizio qualche partita in più…rischio che i nostri dirigenti mal digeriscono.
– Qual è la caratteristica più importante per un allenatore di basket giovanile? E’ vero che deve essere anche un pò maestro di vita?
MA: Si cerca sempre di essere sia tecnici che maestri di vita, il bravo insegnante di settore giovanile sa che magari non tutti i suoi atleti riusciranno ad eccellere nel mondo dello sport, ma magari grazie ai suoi insegnamenti saranno delle persone affidabili nel mondo del lavoro e saranno dei buoni padri di famiglia. Non è una generazione facile quella di questi ragazzi, ma noi istruttori abbiamo l’obbligo, il piacere, di provare a lasciare il nostro marchio di fabbrica.
– Fronisci tre aggettivi per definire la tua carriera da allenatore e il perchè.
MA: ESPLOSIVA perché in questi anni di professionismo me ne sono capitate veramente di tutti i colori.
RAPIDA perché a 37 anni ho già avuto diverse esperienze professionali.
INTEMPESTIVA perchè alcune volte mi sono trovato nel posto giusto al momento sbagliato, ma anche questa è una dote degli allenatori più bravi.
– Qual è stata la tua più grande soddisfazione di carriera?
MA: L’essere stato chiamato alla Benetton da Paolo Sfriso nel 98 e la vittoria della B1 a Montegranaro nel 2004
– Qual è il coach di oggi più preparato tecnicamente? E quello innovativo?
MA: Sicuramente Ettore Messina è un punto di riferimento per tutti gli allenatori italiani della mia generazione, Renato Pasquali una vera enciclopedia e una miniera di insegnamenti quotidiani, Andrea Zanchi il vero cultore della Princeton offense in Italia. Ho citato tre allenatori che ho conosciuto da vicino, ma in Italia ci sono decine di bravi allenatori, spesso non sappiamo venderci o spesso i nostri dirigenti ci sottovalutano.
– Chi invece gestisce meglio la partita dall’interno con aggiustamenti e accorgimenti?
MA: Per rispondere a questa domanda bisognerebbe conoscere da vicino tutti gli altri bravi allenatori che ci sono da noi e che non ho nominato. Mi piace molto l’escalation che ha avuto Andrea Trinchieri e per come (sempre vista dal di fuori) dimostra di gestire il gruppo.
– Quanto conta conquistare la stima e la fiducia incondizionata dei propri giocatori?
MA: Questa è la cosa fondamentale, i giocatori devono credere in quello che stanno facendo e lottare per conquistarlo magari obbedendo a chi è preposto a farli giocare insieme.
– Ma non ci sono solo i giocatori. La sintonia di vedute con la dirigenza è importante, ti è capitato di conseguire risultati anche con una dirigenza non proprio in linea con le tue idee?
MA: No, credo che questa sia la prima cosa da valutare : la forza di un allenatore è data molto dalla forza della società e gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Le società più brave a proteggere i loro allenatori, non per nulla, sono quelle che programmano e magari vincono.
– Com’è il mondo degli allenatori che quando vincono fanno rendere i propri giocatori, ma quando perdono sono i principali indiziati della disfatta?
MA: Questo è il bello e il brutto del nostro lavoro. Lo sappiamo che spesso è così,ma credo che alla fine se si fa un’esame attento della situazione, tutti dobbiamo concordare che il successo dipende sempre dal grado di coesione di tutte le componenti: società, staff e giocatori.
Simone Mazzola