Abbiamo la fortuna e l’onore di conoscere la miglior giornalista in gonnella di palla a spicchi. Potrebbe essere paragonabile a Federico Buffa con rossetto e tacchi. Come racconta lei l’NBA non la racconta nessuno e, anche questa volta, ci delizia con un’intervista, divisa in due parti, dove si tratta a 360° di NBA e passione sanguigna per il gioco.
Tenetevi forte e immergetevi nella lettura, vi troverete alla fine senza accorgervene.
Ma davvero questa stagione poteva andare agli archivi come quella mai giocata? Poteva una macchina di marketing come l’NBA fermarsi per “così poco”?
CZ: Proprio quando sembrava arrivato il giorno dell’Armageddon per l’NBA, Stern e giocatori hanno riacciuffato la stagione 2011/12 per i capelli in un sabato mattina newyorkese. Che dire: dal 26 novembre scorso ho un motivo in più per adorare i sabato mattina nella Grande Mela…
In tutta onestà, avevo quasi perso le speranze. Perlomeno per il 2011. Settimana scorsa, quando sono trapelate notizie su presunti “incontri non ufficiali” tra i rappresentanti delle due fazioni, non sapevo cosa pensare. “Cosa vorrebbe dire?” – mi sono domandata. “Che i legali dell’NBA e quelli della defunta Unione dei Giocatori si stanno dando appuntamento segreto allo starbucks per patteggiare 150 giorni di lockout in coda per il mochaccino?”.
Dopo 6 mesi di fughe di notizie contraddittorie e twitter surreali, ogni indiscrezione mi sembrava poco attendibile. L’unico dato a cui mi aggrappavo: la certezza, dopo il lockout del ’99, che ci siano molti più giocatori NBA di quanti pensassimo, abituati a campare letteralmente del proprio assegno mensile, bruciato regolarmente nel giro di 30 giorni o meno; aggiungeteci una congiuntura economica storica in grado di pesare perfino sui bilanci miliardari dei proprietari e sussisteva il ragionevole dubbio che per gennaio ad entrambe le parti fosse “tornata la voglia” di andare d’accordo. Evidentemente la voglia è tornata prima, anche perché a nessuno piace un Natale con pochi regali sotto all’albero.
L’NBA è sì una macchina da marketing formidabile – e di questo credo si debba riconoscere un gran merito a Stern – ma neppure il miglior Commissioner americano ha la bacchetta magica di fronte ad una situazione economica che ha visto ben 22 franchigie chiudere in perdita negli ultimi 4 anni, che ha obbligato la lega a “rilevare” gli Hornets e parecchi proprietari ad invocare una riduzione degli ingaggi. Cosa per altro avvenuta, nel corso degli ultimi 10 anni, in ogni altra lega sportiva al mondo, la nostra Legacalcio inclusa.
Credo anche che la situazione sia sfuggita a Stern perché, “viziato” dalle stelle del passato, ha sopravvalutato il buon senso e l’attaccamento al gioco delle stelle NBA di oggi, giunte a New York per le trattative con il solo spirito competitivo con cui scendono in campo, animate dalla voglia di vincere a tutti i costi senza vagliare seriamente – e in molto casi senza neppure comprendere appieno – le proposte avversarie. Quanto alle sparate di Derek Fisher contro l’avidità dei proprietari, “interessati unicamente al vil denaro”, avanzate da uno che, dopo aver firmato un quadriennale ai Jazz e aver disputato una sola stagione nello Utah (2006/07), ha chiesto e ottenuto da Larry Miller, proprietario dei Jazz, di poter sciogliere immediatamente il contratto e firmare con i Lakers per star vicino a sua figlia sotto cure mediche a Los Angeles, mi sono sembrate quantomeno di cattivo gusto, per non dire idiotiche. Gli è andata di lusso che Miller non fosse più qui a sentirlo pronunciare certe scemenze. O forse è andata di lusso a Miller non aver dovuto assistere a tale scempio.
E’ possibile non dare un seguito alla redenzione di Dirk e a una storia che ha coinvolto tutto il mondo del basket? Lebron e Dwade non dovrebbero essere i primi a voler giocare per vendicarsi? Invece sembrano i più “distaccati”
CZ: Premesso che nessuna stagione con astersico, per quanto mi riguarda, può essere considerata al pari delle altre, il possibile repeat dei Mavs non è l’unica cosa che abbiamo rischiato di perdere….Vogliamo parlare dell’ultima cavalcata del Trio di Boston, della voglia di rivalsa di Kobe, dell’ulteriore crescita di Durant, Westbrook, Harden, Ibaka, magari affiancati a metà stagione da Steve Nash, lasciato libero di chiudere la carriera con una contender? Oppure della Mia possibilità di vedere i Miei Wolves finalmente allenati da uno come si deve, con la strana coppia Love-Rubio in azione e D-Williams ad incarnare i miei sogni (bagnati) di mezza estate?…Vogliamo parlare dei Bulls, a cui manca un solo Rip Hamilton in odore di Amnesty-clause per fare l’ultimo salto di qualità? O dello spasso che su carta sono i Kings disfunzionali di Jimmer e DaCuzz, o della remota possibilità di vedere Phil Jackson sul pino del Madison, dopo la vana supplica di Riley di sedersi su quello di Miami in seguito alla 5° sconfitta di fila dei Big Three, più conseguente panico di Spoelstra? La scorsa stagione si è chiusa con un botto che non si registrava simile forse dal famoso titolo di Jordan nello Utah…Anche per questo il boomerang di una mancata stagione avrebbe potuto generare conseguenze disastrose. Checché se ne dica, i tifosi di basket non assomigliano ai tifosi di hockey, di football o di calcio: a questi ultimi bastano una coppia di partite coi fiocchi e qualche birra ben spillata per dimenticare i torti subiti, i primi, invece, sono di gran lunga più esigenti. E sia chiaro, in caso di stagione saltata e di ritorsioni in termine di immagine, molta parte della colpa, per quanto mi riguarda, andava imputata ai giocatori e soprattutto alle superstelle. Al di là del monito di Bryant sull’ormai stracitato spettro di un “inverno nucleare”, Lebron si è praticamente chiamato fuori dalla discussione, idem dicasi per i Veterani di Boston (se si esclude la proposta di decertificazione lanciata da Pierce ad ottobre e seguita a ruota da altri “venerabili”), Duncan è sparito all’indomani dell’uscita dei suoi Spurs dai playoffs e Wade ha fatto peggio di tutti quanti. Quando in sede di trattativa è stato puntato il dito, tra le varie cause scatenanti, anche sui Big Three di Miami, responsabili del “precedente” che ha fatto correre ai ripari i proprietari delle franchigie minori (Cleveland su tutte), D-Wade ha reagito da rookie strafottente, ingaggiando un braccio di ferro verbale con il Commissioner, abbandonando la sala riunioni anzitempo e dimostrando, più che amore per il gioco, una coda di paglia da guinness dei primati. Per come la vedo io, le sue offese via twitter, indirizzate a Stern e ai proprietari, oltre alle sue urla testimoniate attorno al tavolo delle trattative, sono la palese dimostrazione dell’inadeguatezza delle superstelle di oggi a rivestire i ruoli che sono stati dei Bill Russell, dei Bradley, degli Oscar Robertson, quando la lega aveva bisogno di rifondarsi, e poi dei Jordan, dei Barkley, dei Bird e dei Magic, nell’era in cui l’NBA ha fatto il suo salto di qualità, in ogni possibile senso.
Quando la cosa più intelligente pronunciata da un giocatore NBA negli ultimi 150 giorni va attribuita a Beasley: “Basta con ste manfrine, non diamo retta agli agenti, accettiamo il 50% e iniziamo a giocare!” – è chiaro che Lega versi in serio pericolo. O se preferite: credo che un referendum contro lo strapotere dei giocatori del 2000 sia superfluo.
Come valuti l’avvento di così tanti giocatori NBA in Europa? Serio sentore di un lockout irrisolvibile, oppure semplice professionismo/marketing?
CZ: A parte Deron Williams, voce fuori dal coro se ce n’è una, (e l’Odom imbizzarrito di una settimana fa), nessuna superstella era migrata Oltre Oceano. Gli altri “pendolari” a registro erano o giocatori di medio-basso valore alla ricerca di soldi durante lo standby NBA, o giocatori in parabola discendente che hanno firmato contratti lucrativi perché consapevoli di non poter guadagnare così tanto neppure se la stagione NBA fosse ripresa, oppure giocatori con dei legami di nazionalità o ex-militanza nelle squadre con cui hanno firmato, al fine principale di mantenersi in forma durante il lockout. L’unico Nostradamus è stato D-Will (e in Turchia hanno perfino ritirato la sua maglia), il resto degli immigrati aveva voglia di giocare, allenarsi ad alto livello e – perché no – rimpolpare il conto in banca.
Come paragoneresti il giornalismo sportivo italiano, rispetto a quello statunitense?
Potremo mai avere un John Hollinger in Italia?
CZ: Paragonare i due giornalismi tout court e non solo le due branche sportive è come mettere a confronto la lirica con la musica pop. La prima richiede talento, preparazione, rigore, dedizione quotidiana e performance “live” di alto livello; la musica pop si può fare anche da casa, con due o tre aggeggi tecnologici, qualche buon aggancio e una più che discreta faccia di bronzo. Naturalmente, nella mia metafora la lirica è il giornalismo americano, mentre la musica pop è il nostro inchiostro. Quanto ad un Hollinger italiano, credo che la cosa più vicina a John sia stato il nostro induplicabile Rino Tommasi. E non vedo nessuna penna sportiva italiana che neanche lontanamente si avvicini a tale livello.
Come mai alcuni giornalisti sportivi trovano più riconoscenze e meriti al di fuori dell’Italia?
CZ: Perché il giornalismo italiano è in crisi. Perché in Italia si leggono meno quotidiani che nel resto dell’Europa, esclusa forse l’Albania; perché non ci sono testate che investono su nuovi talenti, ma continuano a mungere gli stessi giornalisti da 30/40 anni, lasciando fare il grosso del lavoro sporco a tornate di stagisti non stipendiati che ricambiano anno dopo anno, senza che dietro a tali tirocini ci sia la ben che minima intenzione di creare una nuova “classe professionale dell’informazione”. Quanto al problema della raccomandazione non voglio neppure entrarci, anche perché riguarda qualsiasi ambito in Italia e non solo il settore del giornalismo.
Simone Mazzola
2 Comments
luca
Salve,volevo sapere dove potevo contattare la scrittrice Chiara zanini per avere informazioni sul suo libro “cinque piedi e un funerale” grazie
Andrea Pontremoli
Ciao Luca, qui a destra tra i Siti Amici trovi l’indirizzo del suo blog, attraverso il quale penso tu possa prendere contatto con Chiara. Saluti