Dallas partita a rilento ferma Oklahoma City infrangendone un record fin qui immacolato. L’attacco dei Mavs, quando colpisce con questa costanza, fa seriamente pensare che non si può non includere, nuovamente, i campioni in carica nella stretta cerchia delle favorite al titolo 2012.
Si può parlare ancora di Vinsanity? – Sono più di dieci anni che lo aspettiamo, chissà che Vince Carter non abbia trovato, nella fase sicuramente finale della sua carriera, un ruolo adatto a se. Non alle capacità e al talento, da sempre mostruoso, anche quando ha smesso di planare nei cieli NBA, quanto al carattere, alla forza mentale. Nei Mavs odierni Vince esce dalla panchina portando attacco. Quello che Carter è sempre stato: un attaccante. Non un leader, non un uomo franchigia, nemmeno un secondo violino. Follemente innamoratosi in un giorno lontano del suo incostante tiro da fuori, non ha più voluto saperne di attaccare il canestro in altro modo. Quello che gli riusciva meglio – appunto – volando. 14 punti e ottime giocate nel contesto offensivo di Dallas che fin qui sembra (sottolineare, please) il più adatto di sempre. Non solo triple ma energia e attacchi prolungati al ferro dei Thunder, con la piacevole conseguenza (per il suo staff tecnico) di 9 successivi tiri liberi da tirare, 8 dei quali realizzati. Pronti a un’altra delusione, sia chiaro.
Non è sempre domenica – E nemmeno lunedì notte se è per questo, e se è vero che OKC è riuscita a far passare l’ultima difesa di questo inizio di campionato per percentuale concessa agli avversari come (per lo meno) accettabile. Durant&c. si fermano ad uno scarsissimo 40.3% dal campo, una delle spiegazioni più plausibili alla loro prima sconfitta. Non penso si debba gridare allo scandalo, preoccupandosi eccessivamente o ridimensionando nei pronostici i Thunder, anzi… Il processo di maturazione del gruppo continua, peccato che nello specifico dopo un discreto primo quarto si sia spenta completamente la luce. Non un buon segno, ovviamente. Soprattutto se pensiamo che proprio contro Dallas finì, in finale di Conference, l’autentico sogno di Oklahoma City negli scorsi playoffs. E non escluderei che la serie possa ripetersi, anche quest’anno. Urge sicuramente un intervento, forse psicologico oltre che tecnico/tattico, per far sì che nelle occasioni future i Mavericks non diventino quello spauracchio che fa tremare ginocchia e mani nei momenti decisivi. Per questioni di “lavagnetta” invece sarebbe interessante capire come i lunghi, Perkins su tutti, possano andare così sotto contro gli avversari, orfani tra l’altro di Chandler, sia a rimbalzo che in generale nel gioco d’area. Anche perchè concedere così tanto a Dallas sotto i tabelloni dà ai texani quella doppia dimensione dentro-fuori assolutamente inarrestabile di sti tempi. Insomma la parola d’ordine è: darsi da fare, sempre che si voglia tenere un po’ accesa la battaglia, tra il Mississippi e Hollywood, dove si cercano altre contenders credibili che non siano solo i Lakers.
Ancora celebrazioni per Dirk – Com’è giusto che sia. Durante la gara raggiunge il canestro numero 8000 in carriera, che poi sarebbe anche il n° 8000 con i Mavericks, avendo vestito al di là dell’Oceano solo quella maglia. Lunedì gitarella a Washington, si va dal Presidente Obama per il rituale incontro dedicato alle squadre campioni dei vari sport professionistici americani. Quest’anno nel basket tocca a Dallas, per la prima volta nella loro storia, sicuri che sia anche l’ultima? Io no! Meditate “Tres amigos”, medidate…
Andrea Pontremoli