Si dice che la NBA sia il campionato più bello del mondo perchè ci sono i giocatori migliori del mondo, e per quanto odiati i Miami Heat dispongono di almeno 2 dei migliori interpreti del giochino in questione… ma proprio quando i due in questione mancano per infortunio (piede sinistro per Wade, caviglia per LeBron) gli Heat ci fanno vedere che il basket (e la NBA) non è solo individualità, facendo giocare larghi minuti a gente che raramente gioca fasi importanti e dando le chiavi dell’attacco in mano a Chris Bosh e Mario Chalmers, e se per il primo non c’era nulla di nuovo nel vederlo prima punta, il secondo si è dovuto improvvisare attaccante, ruolo che gli è riuscito con risultati incerti, perlomeno a livello di scelte di tiro e gestione dei ritmi, ma queste non sono senz’altro una novità…
A volte ritornano… Franchise players! O perlomeno questo era il ruolo di cui si credeva di fare il buon Chris Bosh ai tempi di Toronto, quando ogni pallone transitava rigorosamente per le sue mani prima che un qualsiasi italiano o europeo potesse scagliarlo (anche con buoni risultati, recentemente….) verso il canestro. Visto ad un anno e mezzo di distanza, l’ex raptor presenta ancora tutti gli stessi limiti: passatore sotto la norma, indecente a livello di letture, tende ad accontentarsi troppo spesso del tiro da fuori, al netto di miglioramenti visibili dalla lunga distanza, e molto accentratore anche se in questa situazione, con le seconde linee degli Heat che a parte Chalmers e il sorprendente Norris Cole di questo inizio stagione sono formate perlopiù da tiratori puri, è stato probabilmente un bonus. Quello che perplime è che, sebbene privato di molti possessi, il suo atteggiamento in un attacco con James e Dwayne non cambi più di tanto, e che sebbene gli Heat abbiano fatto progressi enormi sotto il lato del gioco corale temo che quello del numero uno sia un ego troppo grande da soffocare sotto dei risultati che ancora devono arrivare. Si sono viste squadre più amalgamate, ecco…
Kill Da Man Credo che una buona metà dei giocatori NBA ammazzerebbe per avere un terzo del talento di Josh Smith, numero 5 degli Atlanta Hawks e titolare della combinazione fisico-coordinazione-atletismo più incredibile di tutta la NBA, forse… talento gestito in maniera che definire pessima è fargli un complimento: capace di fare qualsiasi cosa e il suo contrario il subito dopo, la maniera in cui ha giocato i due overtime a seguito del panchinamento sono qualcosa da reato penale: indisponente, svogliato oltre ogni limite e troppo impegnato a guardare il pubblico per difendere costantemente sull’avversario, lo stesso che è stato il miglior marcatore degli avversari con la bellezza di 33 punti. Resta il fatto che in questi Hawks dal basso ritmo il buon Josh sia pedina abbastanza a disagio e penalizzata dal fatto che abbia sì caratteristiche offensive buone in molti fondamentali, ma nessuna che eccelle e che possa fare di lui qualcosa di affidabile e di coeso con Al Horford e Not Your Average Joe Johnson, pedine su cui pare che a meno di improbabili attacchi a Dwight Howard non si muoveranno dalla Georgia per un po’… ed è qui che diventa inspiegabile la scelta di far camminare una squadra nata per correre, che schiera come play titolare Jeff Teague (mancanza di alternative?) che pare decisamente troppo giovane e impulsivo per dirigere un gioco controllato, ma anche troppo veloce e atletico per non trovarsi bene in campo aperto. Oddio, per ora Atlanta ha la terza difesa NBA e un record sopra il par, e su questo niente da dire… ma a lungo termine sarà redditizio fare camminare chi è nato per correre? Dalle mie parti si dice che chi nasce tondo non può morire quadrato.
Gabriele Masulli