Spurs e Nuggets sono storicamente due squadre dall’ opposta concezione di basket, infatti i neroargento prediligono il sistema, la difesa e la rigidità di schemi, mentre Denver è ormai votata al talento, al genio e alla sregolatezza dei propri singoli. Nella partita del AT&T Center è andata in scena un bellissimo mix di queste due concezione che ha sfociato in un match da 138 punti segnati con Gallinari sugli scudi e Green sull’altare della divinità.
Meglio uno uovo oggi o un Gallo domani? Nell’ultima sortita di Danilo a Milano molti hanno comparato il suo gioco pre e durante la sua carriera NBA, notando svariate differenze. Quella principale, rintracciabile anche da questa partita, è il poco utilizzo del palleggio-arresto e tiro in isolamento. Durante il primo tempo, l’uomo da Graffignana ha attaccato il ferro anche con buoni risultati, poi nel secondo quando Karl ha deciso di andare “piccolo” mandandolo sulle piste di Blair ha fatto più fatica. Dopo due brutte penetrazioni, però, ha cominciato a punire DaJuan dal perimetro e, nonappena ha preso con convinzione i suoi jumpers, ha segnato 12 in fila senza che Blair potesse neanche contrastarlo. Questo significa che il suo tiro non si è perso nel nulla, deve solo essere più lucido e intelligente nel mixarlo con le penetrazioni e la capacità di finire al ferro che, comunque, ha sempre.
L’erba del vicino è sempre più Green, parola di Jefferson. E’ difficile capire se a San Antonio si beva l’acqua di Space Jam o ci sia qualcosa a livello di modificazione genetica perchè un giocatore solo fisico e avvicinamento come Jefferson, è diventato un mortifero tiratore da tre punti (prevalentemente dall’angolo, per delucidazione citofonare Bowen Bruce) e un giocatore di enorme sobrietà e sostanza. Forse senza l’albatross contrattuale che si portava dietro anche lui ha liberato tutti i cattivi pensieri convogliandoli nel suo tiro (56,5% da tre in otto partite). Con Ginobili in panchina è uscito di prepotenza anche un altro nome, quello di Danny Green che non solo si diverte con 24 punti, 9-13 dal campo e 3-4 da 3, ma aggiunge 7 rimbalzi e un cruciale sfondamento subito da Afflalo negli ultimi due minuti con il risultato ancora in bilico. Se non è l’acqua, sarà l’aria perchè non è possibile che il Texas lobotomizzi così i giocatori.
Con mutande o no, Karl allena. Sembra incredibile come una squadra che, al momento, gioca senza pedine come Wilson Chandler, Kenyon Martin, JR Smith (che dovevano far parte di un progetto tecnico) e Nenè, possa rimontare venti punti agli Spurs in Texas, giocando fondamentalmente un basket scriteriato a velocità incredibili. George Karl è il più europeo degli allenatori NBA e ha giocato tutto il secondo tempo con Gallinari su Blair (che lo ha leggermente dominato a rimbalzo), pur di mettere la partita su ritmi elevati con Lawson che non conosce vergogna nel presentarsi sempre al ferro con due o tre punti in tasca, Harrington che ha peggiorato ulteriormente il suo decision making (ma segna con continuità incredibile) e Fernandez che scaglia verso il ferro qualsiasi cosa che sia sotto i 10 metri di distanza dal canestro. In questo contesto, posto che il record arride senza dubbio alle visioni Karliane, potrebbe dire la sua anche Von “lettura” Wafer.
Per chiudere: se avete voglia di procurarvi la partita e guardarvela, scordatevi il famoso (e Popovichano) detto “if you don’t play D, they don’t play you”, perchè anche Duncan, a un certo punto, ha mostrato bandiera bianca difensiva. E se anche Timoteo si stufa, vuol dire che questa volta si è davvero oltrepassato il limite.
Foto tratta da Spursnation.com
Simone Mazzola