Su, forza, fatevi avanti. Si faccia avanti ed alzi la mano chi ci avrebbe scommesso un singolo Euro. Chi, ad inizio stagione o, più precisamente, al termine della scorsa, quando coach Fabrizio Frates, ancora convalescente, decise di lasciare per la seconda volta con modalità dubbie la guida della squadra, avrebbe scommesso una monetina sulla Trenkwalder prima della classe al giro di boa. Giro di boa di una “bolina” condotta sempre e comunque guardando le avversarie dall’alto al basso, se non altro per la qualità di basket espresso. La risposta la sappiamo già: nessuno. E, permetteteci, se anche il più accanito tifoso c’avesse detto che si, ci credeva, l’avremmo preso per il classico inguaribile romantico. Ma andiamo per ordine e partiamo da lontano, perché è da li che inizia a prendere forma il mezzo capolavoro reggiano.
Era inizio luglio e la guida tecnica della formazione biancorossa, dopo la dipartita dell’architetto milanese, fu affidata a Max Menetti, già “traghettatore” della formazione emiliana nell’ultima e trionfale parte di stagione, culminata con una salvezza raggiunta all’ultimo tiro (nemmeno proprio) ma costellata da un ruolino di marcia sensazionale. Ebbene, la scelta suscitò diversi dubbi tra i tifosi ma ci volle poco tempo per capire che non fu una follia, bensì l’unica opzione disponibile se si voleva portare avanti il gruppo della stagione passata che così bene aveva fatto nel finale. Menetti è coach smaliziato e con tanta gavetta alle spalle, ma la paura che corse lungo la schiena dei fans nell’ultima stagione portò scetticismo. La prima amichevole “ufficiale” contro Pistoia a Castelnovo Monti, fu un’uscita dai blocchi che fece rumore, in senso positivo, s’intende, e proprio da quel momento la piazza capì che la scelta, poi, poteva non rivelarsi così malvagia se quelli dovevano essere i primi risultati. Il gruppo era lo stesso della stagione appena conclusa, con l’aggiunta di un mostro di intelligenza cestistica come Demian Filloy ad alternarsi con il neo-capitano Valenti nello spot di ala forte e Donell Taylor come guardia, dopo che vennero contrattualmente “fermati” USA del calibro di Troy Bell e Terrence Roderick. Donell, ex Casale Monferrato dal rendimento alterno, fece storcere un filo il naso, visti i nomi praticamente firmati e poi lasciati nel giro di due giorni. Ma per gli scettici, l’avrete capito, non era aria. Ed infatti Taylor fece brillare gli occhi già dalle prime amichevoli. Sotto canestro, con Frosini passato dietro la scrivania, si decise di puntare sul giovane Riccardo Cervi, reduce dall’argento Under-20 agli Europei e prospetto di sicuro interesse ma tremendamente acerbo per quanto visto fino al maggio precedente.
Le interviste dei giocatori, in quel periodo, recitavano più o meno tutte lo stesso canovaccio: “non vogliamo ripetere il campionato scorso” ed “è un gran gruppo di uomini prim’ancora che di buoni giocatori”. Ora, tutto bello e tutto sperabile, ma una salvezza all’ultima giornata non si cura con qualche bella parola. E via di scetticismo, ancora una volta. Una cosa era certa: le gare passavano, prima amichevoli, poi Coppa Italia, poi, finalmente campionato, ed i risultati erano pressapoco sempre gli stessi, ovvero “doppievvù” che portavano speranza. La squadra era bella da vedere, divertiva, giocava un buon basket anzi a tratti ottimo. I giocatori lottavano e si sbucciavano le ginocchia, lottavano e giocavano assieme, lottavano e vincevano. Le vittorie arrivavano, anche quattro consecutive, le sconfitte anche, ma senza mai aver dato l’impressione di non potersela giocare per il bottino pieno. E la piazza, finalmente, iniziava a spingere. Improvvisamente i dubbi sul coach, sugli acquisti, sulle scelte di valorizzazione dei giovani, iniziarono a scemare. Reggio continuava a vincere, continuava a giocare il più bel basket della categoria e, improvvisamente, guardando la classifica in un giorno di dicembre, si rese conto che, con le partite sulla carta più ostiche alle spalle, si poteva anche iniziare a pensare ad un obbiettivo totalmente immaginifico fino a qualche mese prima: provare a giocarsi la promozione.
Il resto è storia recente, sia in positivo che in negativo, vedi il grave infortunio a Rudy Valenti che ha posto fine con largo anticipo alla stagione del capitano biancorosso. La classifica, dopo quella famosa prima bolina, recita + 4 sulle avversarie, per certi versi sorprendenti, ma comunque agguerrite. In quei mesi di dubbi, di paure scampate, di voglia di ricominciare per cancellare una pagina nera dalla pallacanestro a Reggio Emilia, si è creato un vero gruppo, alla faccia di chi, a quelle affermazioni dei giocatori, non credeva più di tanto. Loro, i “player”, non volevano più vivere quei momenti; tre mesi di rincorsa affannosa e di critiche feroci erano ampiamente bastate. Si è creata una solida macchina da battaglia, solo successivamente trasformatasi in una gioiosa macchina da guerra anche vincente, che è stata capace di affossare la seconda in classifica sotto un “quarantottello” di divario in un anticipo televisivo, che sta riuscendo a fare a meno di un collante come il suo capitano, ed ha giocato gare importantissime senza un talento come quello di Frassineti, fuori per una noiosa pubalgia. Ok, il duo USA Robinson-Taylor è di livello assoluto e di altra categoria, complice anche il fatto che le pause e l’alternanza di rendimento dell’ex Casale, vero difetto della guardia di Washington nella passata stagione, hanno lasciato spazio ad un cecchino semi infallibile che viaggia a quasi 20 ad allacciata di scarpe, direbbero quelli bravi. Che l’ossessiva e quasi paranoica sete di “esecuzione schemi e l’essere parte di un sistema”, seppur vincente, di coach Crespi lo limitassero nelle prestazioni e nella testa? Forse. Merito di Max Menetti, quindi, l’aver lasciato che il talento facesse la sua parte, con i comprensivi limiti e di un giocatore con un talento si, smisurato, ma a volte troppo accentratore. Ma non passa tutto dalla cruna di quell’ago: l’esplosione di Riccardo Cervi, leader delle stoppate e, per questo, vera contraerea in area biancorossa che ha costretto diverse squadre a tenersi ben a distanza dalla “no-fly zone” eretta da giovane reggiano, ed a cambiare piano d’attacco, è forse l’aspetto che meno era prevedibile. Metteteci che l’unico innesto deciso dalla società per colmare il buco del back-up di Robinson, ovvero Fabio Ruini, si è calato con una umiltà e facilità sconvolgenti all’interno dello spogliatoio, rendendosi più che utile, e capirete che non è facile trovare la vera motivazione della cammino semi-trionfale della Trenkwalder.
Bene, ci sarà qualche aspetto negativo, direte voi; non è possibile che tutto vada a meraviglia. Ovvio, ci mancherebbe, mica parliamo della Siena di anni fa o dei Lakers del “three-peath”; beh, vi vogliamo dire una cosa: questa squadra di difetti ne aveva tanti ad inizio stagione ma li ha curati e by-passati grazie all’umiltà nel lavoro settimanale, nella voglia di sacrificarsi per il compagno in campo, nella voglia di divertirsi e divertire. Ce ne sono di difetti, come la dipendenza da Dawan Robinson ed il brutto vizio di guardarsi allo specchio in certi momenti della partita, che permettono, a volte, alle avversarie di rifarsi sotto e che sono costati, vedi Jesi, sconfitte in partite che potevano essere tranquillamente portate a casa. Ma con un ruolino di 11 vittorie a fronte di sole 3 sconfitte, maturate tutte in viaggio e su campi ostici e contro squadre quotate, non ci sentiamo veramente di star qui a sottolinearli, addentrandoci in immeritate analisi tecniche volte a scoprirli ed analizzarli. Il miglior basket della categoria, stavolta, sta ottenendo quanto merita. Ora, ad inizio “poppa”, la gioiosa barca a vela biancorossa parte con lo spinnaker pieno di vento e con le avversarie ancora in manovra alla boa. Un vantaggio costruito con il lavoro e con la dedizione, di un coach che sta ottenendo le meritate soddisfazioni con un gruppo che, dopo aver vissuto l’incubo retrocessione, sta assaporando il miele dolce della vetta, soprattutto grazie alla voglia che ogni domenica getta in campo. Nulla è ancora deciso, tutto è apertissimo, soprattutto in un campionato equilibrato come quello di quest’anno. I dubbi sulla tenuta del giovane Giovanni Pini, cambio di Valenti, sono ben presenti nelle menti dei tifosi e della dirigenza, che resta vigile sul mercato per non farsi scappare un’eventuale occasione. Presente così come la consapevolezza che le squadre realmente create per vincere questo torneo sapranno battere un colpo al momento giusto. Guardando la classifica, però, ci si accorge che, tra le compagini di testa, la Trenkwalder riceverà in via Guasco tutte le più quotate (Brindisi, Barcellona, Piacenza e Brescia), mentre farà visita a Scafati su un campo semi-inviolabile ed a Pistoia, con la forza però, di un +48 di vantaggio nello scontro diretto. Uscire dal tour-de-force di metà febbraio-inizio marzo contro quattro di queste squadre con un vantaggio di 4-6 lunghezze sulla seconda, potrebbe riservare una discesa estremamente dolce ai colori reggiani. Sognare, senza staccare i piedi da terra e senza voler fare il passo più lungo della gamba. Sognare, è vero, è tremendamente rischioso, ma per una volta, dopo anni di rospi più o meno amari, concedeteci di farlo. E farlo meritatamente, credeteci, ha un sapore dannatamente migliore.
Alessandro Caraffi
Foto “Fotostudio 13”