L’ineffabile Jay-z cantava così: I’m the new Sinatra, And since I made it here, I can make it anywhere e, siccome Danilo Gallinari di interpretazioni alla Sinatra ne ha mandata in scena qualcuna all’ombra del Madison, non si è fatto timori reverenziali nell’impresonare la scorsa notte niente meno che Beethoven con una sinfonia da 37 punti per la vittoria in doppio overtime, suonando la quarta vittoria in fila per i Nuggets nella trasferta ad Est. Dopo la partita di Milwaukee i ragazzi di coach Karl sono rimasti bloccati sull’aereo fino alle tre di notte ingannando il tempo con partite a Monopoly sull’Ipad (Rudy batte Danilo 1-0), serie tv e musica a tutto volume nelle classiche Skullcandy da brotha come hanno fatto Koufos e Mozgov.
Arrivo all’albergo della Big Apple alle quattro di mattina, poche ora di sonno e partita nel tardo pomeriggio al Madison, dove un vortice di emozioni e sensazioni, ha colpito Danilo prima della palla a due.
“And it was New York, New York And she took his heart away oh my” Già che siamo in tema musicale rievochiamo anche Paloma Faith che, dal suo inno newyorkese, ci dice che il cuore di qualcuno è stato portato via e per Gallinari quella famosa trade è stata sofferta, ma ora il peggio è passato e la sua partita ne è la più scintillante manifestazione. Dopo un primo quarto faticoso Danilo si è sbloccato, ha lasciato che la partita venisse da lui e, nonostante abbia sbagliato l’ennesimo layup mancino in campo aperto, ha dominato il match sui due lati del campo. Offensivamente ha raccolto quello che era nello spartito del match e si è preso iniziative quando era necessario (20 liberi tentati) portando punti e leadership. Mai un atteggiamento fuori posto (cercare Harrington su youtube per informazioni alternative), intensità incredibile per tutti i 51 minuti, nonostante la notte insonne e quella fronte aggrottata nei momenti caldi del match che significano convinzione e cattiveria per vincere.
Alla voce sfondamenti presi… Nessuno nella lega è in grado di procacciarsi sfondamenti in uno contro uno come Danilo. Ha iniziato in Italia con la sua parentesi meneghina portandone a casa un’ottima quantità, ma quando fai due scalpi a Carmelo Anthony vuol dire che siamo davanti a una prova e non a degli indizi. La sua marcatura su Melo (che pur ha fatto cose egrege nel quarto periodo con canestri da campione) è stata esemplare per capacità fisica e tecnica di arginare quello che è uno dei migliori tre giocatori di isolamento dell’intera lega.
Al “Angry”ton E’ partito sparacchiando a salve da ogni posizione, disciplina in cui eccelle ormai da anni, ma ha avuto la faccia tosta (e chi ne dubitava) di proseguire nelle sue iniziative offensive e, quando ha preso ritmo con un paio di canestri, non si è più fermato, tenendo attaccati alla partita i suoi Nuggets. Sulla tripla dall’angolo nel quarto periodo non ha mancato di far notare la cosa a dei tifosi in prima fila andando molto vicino al tecnico. Nel secondo overtime ha replicato dalla stessa posizione, dedicando il canestro della staffa sul +4 agli stessi tifosi newyorchesi. Nell’intervista post partita alla domanda: “Hai dedicato quei canestri importanti ai tuoi tifosi o ai tuoi parenti?”. Risposta: “Nessuno dei due era solo gente che mi insultava.” Amen Big Al.
Questione di feeling In questo momento al Madison Square Garden la percezione è che nessuno abbia feeling con qualcun altro. D’Antoni non ce l’ha coi propri giocatori, Anthony men che meno con Stoudemire, i tifosi pensano al Championship dei Giants e Chandler sta rivalutando la sua scelta estiva dal punto di vista tecnico. D’Antoni potrebbe avere le ore contate, ma non solo per demeriti propri, perchè tutti ricordano il suo volto alla presentazione di Carmelo Anthony, dove era il primo a non essere contento di aver smantellato una squadra che tanto bene stava facendo per portarsi a casa un giocatore agli antipodi con il proprio sistema. In estate si è speso tutto lo spendibile per uno sciamano d’area come Chandler e la risultante è che nessuno dirige l’orchestra, creando così l’improvvisazione sul tema di chiunque se ne senta in grado. Le spaziature offensive sono oscene, Stoudemire non riceve mai una palla giocabile in movimento e Fields (giocatore intelligente e di sostanza) non ha la benchè minima idea di dove posizionarsi o che cosa fare quando la palla è in mano ai compagni. Alla luce di tutto ciò, siamo certi che la colpa sia di coach Mike?
Intanto i Nuggets continuano a gongolare dando qualche piccola anteprima della serie TV organizzata dall’NBA denominata “Association”
Foto tratta da USA Today
Simone Mazzola