Come sempre in questi casi, quelli in cui non c’è in palio una W (o i nostri due punti) il superamento di un turno di playoffs o addirittura un anello, l’agonismo e il senso più vero del termine “partita” viene un tantino meno. Lo sappiamo, siamo vaccinati e pronti, ogni anno, per l’All-Star Game e tutto quello che comporta. Parlare di basket risulta improprio, per quanto alcune componenti decisamente determinanti in questo sport vengano comunque alla luce: atletismo e tecnica individuale. Quest’ultima nelle giocate di Chris Paul, autentico regista dei vincitori dell’Ovest, e l’atletismo riscontrato a livelli febbrili in tutti gli altri, o quasi… Il quasi coinvolge i meno performanti in questo senso, come Nowitzki, Pierce, Love, Gasol II, tutti in un certo senso ai margini del grande circo di Orlando. Non meno forti – chiaramente – degli altri, ma nel contesto sbagliato. Alla fine la convocazione, per voto popolare o degli allenatori, alla rassegna annuale delle Stelle è da considerarsi comunque un premio, alla stagione in corso, a volte anche guardando a quelle passate e all’intera carriera, vedi il caso di Steve “Prima o poi beccheremo quel delinquente che continui a chiamare parrucchiere” Nash.
Il punteggio altissimo, fin dai primi minuti di gioco (il finale sarà 152-149 per i rossi capitanati da Bryant) e con l’Ovest sempre avanti rende omaggio al tipo di “competizione”, che tale diventa come sempre, e senza più le virgolette, solo nell’atto finale di questa recita. Il quarto quarto, quello dove l’Est finalmente torna sotto e tocca un minimo giocarsela sta benedetta partita, almeno per non rischiare figuracce che poi – Twitter e social networks clamorosamente alleati – darebbero agli amici notevoli spunti per sfottò assortiti.
Un po’ di pepe all’intera faccenda cerca di mettercelo a dire il vero Dwyane Wade: stanco di scambiarsi passaggi e lob con l’amico LBJ, il 3 degli Heat commette il più clamoroso dei flagrant in un All-Star Game, prendendosela col naso di Kobe, andatogli via “mambescamente” dopo svitamento dal post basso e proiettato a canestro, prima di venir “abbracciato” da dietro, e ben sopra le spalle della guardia degli Heat. Un po’ di sangue, la corsa a farsi visitare nel post partita che salverà Bryant dalle interviste di rito (aveva già saltato quelle della vigilia…) e le conseguenze di un gesto sono certo non premeditato ma altrettanto fuori luogo. Wade non avrà sicuramente temuto per la salute di Kobe, ma sicuramente della sua memoria: un giorno questo gesto potrebbe costare caro, quando magari ci sarà da decidere una gara 7…
And the winner is… Nella notte dedicata, sull’altra costa, agli Oscar del cinema, è Kevin Durant a portarsi a casa la statuetta (vedi foto) dalle mani di David Stern. 36 punti a referto, con quella leggerezza e apparente facilità con le quali fa tutto, su un campo da basket. LeBron ha provato a ostacolarlo, nel finale diventato punto a punto, come detto, dopo la rimonta dell’Est da -21. Un duello che anticipa le prossime Finals? E’ quello che molti prevedono, di certo ci sarebbe da divertirsi e non solo per questo scontro individuale. Un’ulteriore consacrazione per l’ala di Oklahoma City, un giocatore eccezionale per mix di altezza, lunghezza delle braccia, tecnica, coordinazione e velocità, che ha quasi terminato di segnare sui fogli rimanenti del suo personalissimo calendario i pochissimi giorni che gli mancano per dominare la Lega.
Andrea Pontremoli