Se c’è una squadra della quale si notano i maggiori progressi dalla scorsa stagione a quella ora in corso, Indiana Pacers a parte (che non hanno trovato eccessiva concorrenza ad est), bisogna senz’altro citare gli Oklahoma City Thunder. Per una franchigia nata quasi dal nulla nell’ormai lontano 2007, con un solo giocatore deciso a rimanere (Nick Collison, assieme a Derek Fisher il giocatore più esperto della squadra), sarebbe stato impronosticabile, almeno fino a qualche anno fa, vederla come una favorita al titolo in un futuro non troppo lontano. Ed invece, con un eccellente progetto di scelte (Durant, Westbrook e Harden su tutti) e buone operazioni di mercato, la franchigia, nella short season ora in corso, era fino a qualche giorno fa meritatamente in testa ad ovest, ed ora con una vittoria di distanza dalla prima posizione ma con nessuna voglia di mollare.
Ritorno in Arizona — Per tentare di riconquistare questo primo posto che sarebbe molto importante in una ipotetica finale di Conference, i Thunder sbarcavano a Phoenix, alla corte di Steve Nash, per mettere fine al grande momento dei Suns, ora più che mai in corsa Playoffs. Il grande protagonista di questa sfida, non era in questo caso Durant o Westbrook, ma James Harden: il “Barba” (così soprannominato dai suoi tifosi per la sua folta barba, ormai una delle poche che si notano sul parquet) è infatti stato per due anni un “Sun Devil” per il college di Arizona State, e per lui questo confronto poteva apparire quasi come un ritorno al passato. Parecchi anni fa, era quasi un’abitudine che i giocatori NBA piazzassero una grande prestazione dove avevano giocato al college una volta, ed in questo caso la guardia dei Thunder non è certo stato da meno.
Quando “i Due” non impressionano — Si parla probabilmente troppo poco di questo ottimo giocatore, con ampi margini di crescita e favorito per il premio di sesto uomo dell’anno. Molto spesso il duo composto da Kevin Durant e Russell Westbrook, autori non raramente di prestazioni spettacolari, toglie un po’ il palcoscenico e i giusti meriti ad Harden, che magari quando ne mette anche più di 24 viene oscurato dai 30 o più dei “Due”. In questo caso però non va esattamente così: malgrado la prestazione comunque ottima di KD (29 punti), Westbrook non è in grande serata (15 punti con 6/16 al tiro) ed a strabiliare i fans che magari un tempo lo avevano tifato è proprio il “Barba”: la guardia dei Thunder sigla infatti 40 punti, firmando il suo career-high con un grande 12/17 dal campo ed un 11/11 ai liberi.
Superiori — Ai Suns può andare in ogni caso il merito di essere riusciti a limitare Westbrook e di aver giocato gran parte della gara punto a punto senza mollare nulla, ma è stato l’ultimo quarto quello che ha sancito la vera e propria superiorità di OKC. Letali in contropiede ed eccellenti nelle spaziature: queste le parole d’ordine dei Thunder in questo match, che (soprattutto negli ultimi 12 minuti) hanno imposto il loro regime impedendo a Nash e compagni di prendere tiri semplici da insaccare ed allo stesso play canadese di far girare la squadra come abitualmente accade. Vale spendere qualche parola proprio riguardo lo stesso Steve Nash: malgrado ormai l’età si faccia sentire, il regista della squadra allenata da coach Gentry sta mantenendo il suo rendimento pressoché invariato rispetto alle scorse stagioni, privilegiando un gioco molto altruista, nel quale forza pochissimi tiri in favore di ottime spaziature per i compagni. In questo match però, limitato dalla difesa dei Thunder, Nash non eccelle (12 punti e 5 assist), e ciò si avverte moltissimo nelle percentuali al tiro, in particolare da oltre l’arco (bloccata una delle principali armi offensive dei Suns, il tiro da tre, con la squadra che ha tirato con il 29% dal perimetro). Con Nash in serata, anche giocatori che molto raramente si sono visti siglare più di 10 punti possono tirare con ottime percentuali, ed un tempo (ma anche tutt’ora) valeva il detto che con lui in campo “anche il più incapace sarebbe stato in grado di mettere un canestro”, grazie alle sue eccellenti doti di passatore. In questo caso, però, Nash non incide troppo e, complici anche le brutte prestazioni di Gortat e Brown, Phoenix è costretta ad alzare bandiera bianca dinanzi al pubblico amico.
Strada spianata — Come preannunciato, il risultato finale è di 109-97 in favore dei Thunder; entrambe le squadre continueranno ad inseguire i propri obiettivi di questa stagione (seppur ben diversi) in queste ultimissime partite. Non si può affatto dire compromessa la corsa alla off-season dei Suns, che si trovano ad una vittoria di distacco dall’ottava posizione e con una gara in più da disputare, decisi a conquistare questi Playoffs che fino a qualche mese fa apparivano impossibili da raggiungere. Phoenix ha il vantaggio degli scontri diretti nei confronti delle dirette rivali (Jazz e Rockets), ma sarebbe impossibile decretare un favorito. I Thunder sono invece letteralmente “padroni del loro destino”, hanno quasi la strada spianata fino alla finale di Conference, in cui uno scontro con gli Spurs è estremamente quotato. Sarà avvincente, in questi ultimi e fondamentali quattro match, la lotta per il primo posto tra le due franchigie, dato che sia San Antonio che Oklahoma City vorrebbero evitare l’incognita Denver, con il ritrovato Gallinari. I due schieramenti, in ogni caso, attendono probabilmente solo l’incontro diretto.
Federico D’Alessio
@FedeDalessio