[b]Avviso ai naviganti[/b]
E va beh, questa stagione sono stato abbondantemente inadempiente: causa motivi lavorativi di scarsissimo interesse, siamo al terzo pezzo quest’anno. Come contrappasso, adesso vi beccate questo pistolotto di fine stagione e, vi avviso, sarò lungo. Quindi mettetevi comodi, prendete delle provviste, salutate con affetto i vostri cari, e se avete il coraggio mettetevi a leggere…
[b]Bilancio stagionale[/b]
La regular season 2011(si fa per dire!)/2012 non è partita sotto i migliori auspici. Ad essere sinceri, a dicembre eravamo quasi tutti convinti che non sarebbe partita proprio, causa lockout, un’avvincente guerra tra miliardari per chi si poteva tenere più soldi. Quando finalmente Santa Stern ci fa il regalo di aprire la stagione proprio il giorno di Natale, gli auspici comunque non sono ottimisti: 66 partite in 4 mesi, praticamente alcune partite si giocano nell’intervallo delle altre, il training camp viene riassunto in un “bella raga, come sono andate le vacanze?” e visto che tutti pensavano non si giocasse, il giocatore NBA in forma fisica migliore è Eddy Curry. Con queste premesse si poteva andare decisamente male, e invece la stagione ci ha regalato comunque un buon numero di momenti di pregio.
In questa epoca del web 2.0 farò quindi finta di essere su Facebook e taggerò con un “mi piace” (parlo così giusto per darvi l’impressione di essere un giovane aggiornato sulle tendenze del momento…) quei momenti o temi della RS che sono stati i più interessanti, mentre poi per par condicio evidenzierò quelli che potremmo iscrivere nella categoria “grazie lo stesso, non dovevate disturbarvi”.
[b]MI PIACE
La Linsanity[/b]
Per chi non sapesse di cosa sto parlando:
1) Si vergogni!
2) Può farsi un’idea della storia qui, o comunque ovunque in rete (mi è arrivato un articolo su Lin anche tramite linkedin!)
Semplicemente la miglior storia di sport di cui sia stato testimone. Qual’è il futuro di questo giocatore? L’hype del momento è passato e ora, ragionevolmente, non è più possibile aspettarsi che il taiwanese possa essere continuativamente l’MVP della lega, cosa che per altro è stato insindacabilmente per due settimane. Non si può però nemmeno pensare che torni nell’anonimato. Difficile che i Knicks non lo rinnovino (è free agent quest’estate), più che altro per il clamoroso indotto economico che un giocatore di quella provenienza può portare. Nei Knicks di Melo e del post D’Antoni però credo che il suo ruolo non possa che essere destinato a scemare, come visibilità e minutaggio. Lin infatti nel contesto giusto può essere un giocatore anche da contender (i limiti ci sono e sono evidenti, ma ha anche la testa per lavorarci sopra e limarli), non la stella, ma un onesto starter. Nel contesto sbagliato invece è una specie di Terry o Crawford dei poveri. Qualche idea di squadre che potrebbero apprezzare un play d’ordine, che gioca divinamente il P&R e che non disdegna anche di mettersi in proprio quando serve? Mi vengono in mente Utah, Memphis, Phoenix se mai decidessero di lasciare libero Nash, e in generale qualsiasi squadra sulla cui panchina posi le sapienti terga il Baffo. A me fa impazzire, e sinceramente spero che non debba restare a lungo in quel reality show pacchiano che sono i Knicks.
[b]SanAntonio 2.0[/b]
Gli Spurs stanno ricostruendo. Non te lo dicono (e quando mai dicono qualcosa questi!) ma da almeno 3 anni stanno silenziosamente aspettando che il caraibico cortesemente esca dal suo ascetico silenzio e annunci la buona novella: “mi ritiro”, per velocizzare il processo di ricostruzione che a parte i big three ha già portato a rinnovare quasi tutta la squadra dell’ultimo titolo. Quando fai una cosa del genere, di solito i tuoi risultati non sono particolarmente rimarchevoli. Chiedere ai Celtics, che hanno ricostruito per quasi un ventennio, o agli Hawks, che ricostruiscono da quando esistono. Ininterrottamente. A San Antonio invece mentre ricostruiscono prendono la prima moneta a ovest. E per 2 anni di fila. L’anno scorso onestamente era stato più il fattore sorpresa. Siamo passati di botto dal classico Spurs style fatto di difesa/difesa/difesa ad un gioco effervescente, sostanzialmente un liberi tutti concesso a Belgio e Argentina, che ha stupito quasi tutti, pur rivelandosi poi troppo sbilanciato e evanescente per i PO. Quest’anno però le cose sono diverse, e il processo iniziato come esperimento semi clandestino lo scorso anno, quest’anno è diventato un progetto ufficiale. Onore al Pop (che personalmente amo il giusto) per aver accettato di stravolgere ogni suo credo tecnico. Gli Spurs dei titoli (soprattutto dei primi tre) erano una squadra inguardabile, nel senso di non divertente da guardare. L’attacco, volendo essere gentili, si poteva definire asfittico: palla sempre e solo dentro a Duncan, che o segnava o riapriva per la tripla (con qualche rara variazione sul tema concessa alle penetrazioni di Parker e Ginobili). E anche Duncan, pur essendo il miracolo dell’incarnazione in un uomo del manuale dei movimenti di post basso, difficilmente ti faceva saltare sulla sedia con una giocata spettacolare. Aggiungici una difesa enciclopedica, che di fatto eliminava dal gioco anche l’attacco avversario, e ottieni delle partite non proprio indimenticabili dal punto di vista dell’entertainment (come per altro i risultati degli ascolti indicavano chiaramente). Quest’anno siamo all’esatto opposto. La difesa tiene, è ben organizzata, tutti sanno cosa fare e eseguono bene il compitino, ma non è più la difesa a vincere le loro partite. L’attacco degli Spurs oggi è uno spettacolo da vedere. Duncan (forse come ultimo sforzo prima di ritirarsi?) sta giocando la miglior stagione degli ultimi 4 anni. Il calo fisico è evidente, ma ha messo su un ottimo tiro dai 5 metri che gli permette di allargare il campo, e anche di battere l’avversario con la finta e andare dentro a schiacciare. Anche Parker ha finalmente perfezionato l’arresto e tiro, e per lunghi tratti di stagione è stato un rompicapo insolubile per gli avversari. Ginobili ha giocato poco per infortuni, e se chiedete a Popovich, questo è il miglior regalo che potessero fargli per la stagione. E comunque quando ha giocato ha fatto capire di essere un giocatore unico, ormai nel pieno della sua maturità. Il passaggio fatto nell’ultima partita contro i Lakers è semplicemente il miglior passaggio che ho visto in vita mia. E ve lo dice uno che ha visto giocare Magic e il cui giocatore preferito è John Stockton.
L’attacco degli Spurs è incredibilmente vario, parte creando un vantaggio con una penetrazione di Parker o Ginobili, un P&R o un post basso di Duncan, poi però la palla inizia a girare per uno, due extra pass, cambia lato, fino ad arrivare al tiro ad alta percentuale, che può essere una tripla, ma anche un taglio servito. Nessuno nell’NBA di oggi attacca la difesa (qualsiasi tipo di difesa) in modo più efficace, con 5 giocatori in movimento e sempre perfettamente spaziati sul campo. Siccome poi gli Spurs sono sempre gli Spurs, a tutto questo ben di dio va aggiunta la pesca (come sempre) miracolosa dai draft, ovvero Danny Green e Kawaih Leonard, ovvero duo ominidi con le braccia così lunghe che possono cambiare canale in TV dal divano senza bisogno del telecomando, e che quindi in difesa sugli esterni riescono a mettere nei guai chiunque alla posizione 2 e 3. Non male in un momento in cui i giocatori più forti delle contender sono tutti in quelle posizioni (LeBron, Durant, Wade, Melo, Pierce, Allen, Gay, e io ci metto pure Gallinari…). Sinceramente non si può gestire una franchigia meglio di così. E se a San Antonio si vince…
[b]…è possibile clonare una franchigia vincente?[/b]
Gli Spurs da quando è arrivato Duncan sono la franchigia più vincente di ogni epoca e di ogni sport professionistico americano. Da qui l’idea di provare a replicare altrove il modello. Ci hanno provato a Cleveland, con un GM di formazione Spurs (Ferry) e un allenatore Popovichiano (Mike Brown). I risultati sono stati buoni, ma alla fine è mancato qualcosa. E così ci si è riprovato ai Thunder, questa volta avendo cura di fare una COPIA ESATTA dell’originale. E in effetti i punti di somiglianza fra le due franchigie vanno ben oltre il reato di plagio.
Una città piccola, senza altre franchigie professionistiche, che potesse stringersi intorno alla squadra. Con dei media non troppo pressanti, e non attraente per i giocatori “balzani”: si accettano solo bravi ragazzi, disposti ad accettare IL Sistema. Un GM di rigida provenienza e osservanza neroargento, come Sam Presti. Una stella della squadra, Durant, schiva, riservata, allenabile, fortissima mentalmente. Non dice una parola ma guida i compagni in campo con l’esempio. E’ ovviamente diverso il ruolo in campo, ma il modo di interpretarlo è lo stesso. Tecnico, umile, efficace, senza fronzoli, dominante. Qualche settimana fa sono rimasto impressionato da un tiro allo scadere di Durant per pareggiare una partita. Ha messo una tripla da 8 metri, ma quello che mi ha lasciato basito è stato l’atteggiamento. Quando Kobe o Wade tirano per vincere (ops, devo essermi dimenticato LeBron, in questo elenco…) si vede dal loro linguaggio del corpo che l’adrenalina scorre, hanno la faccia che dice: “guarda che figata che sto per fare!”. Durant invece ha preso quel tiro con la naturalezza di uno che sta leggendo un libro e con la mano scaccia una mosca che gli sta dando noia, senza nemmeno interrompere la lettura. Io lo trovo incredibile!
Dopo la stella, gli altri due Big. Abbiamo Parker/Westbrook, il play genio e sregolatezza (più sregolattezza), che gioca più per sè che per gli altri, molto forte in penetrazione e scarso da tre, bizzoso e supponente, che non ha paura di niente e si ritiene più forte di tutti. E poi Ginobili/Harden, guardia/play che parte ovviamente dalla panchina. Anche qui una componente deviante, ma la parte di genio è decisamente predominante. Non un tiratore puro, ma capace di segnare da fuori quando serve, penetra, è più atletico di quanto non penseresti, capace di farti la giocata decisiva in attacco ma anche in difesa, sa segnare ma anche far segnare, e ti cambia la partita quando entra. A completamento, in una rincorsa quasi ossessiva alla copia, abbiamo:
Bowen/Ibaka: il giocatore di complemento (è diverso il ruolo perchè sono in perfetta simmetria con lo scambio di ruoli fra Duncan e Durant), fortissimo in difesa, non chiede troppi palloni, e in attacco sa punire sui raddoppi con il tiro da fuori;
Kerr/Fisher: ci mancava in effetti il piccolo di esperienza, difensore imbarazzante, ma capace di segnare sullo scarico quando conta: pronti via! Arrivato dai Lakers il venerabile maestro;
Horry/Collison: il lungo veterano, scienziato della difesa, maniacale nei piccoli aggiustamenti di esperienza, e con mano ferma in attacco quando conta.
Signori, 4 anni fa di tutto questo c’era una squadra di Seattle che aveva appena cambiato proprietà, e in procinto di trasferirsi, a roster degli attuali solo Collison e un rookie di 12 chili arrivato come premio di consolazione nella lotteria per Oden. Oggi sono la squadra che TUTTI indicano come finalista ad Ovest. Qualcuno segnala ANCHE i Lakers, i Mavs, gli Spurs, ma tutti concordano nel dire che questi sono da titolo. Non so come finirà, ma direi che il progetto di clonazione degli Spurs è andato a buon fine.
[b]Celebriamo il primo buon risultato del nuovo contratto collettivo![/b]
Già che abbiamo citato Fisher, diamo atto del primo risultato tangibile del nuovo contratto: l’anno scorso se i Lakers avessero scambiato Fisher, lui avrebbe aspettato il taglio di Houston, avrebbe temporeggiato 2 o 3 settimane approfondendo con indiscutibile interesse le offerte pervenute da altre franchigie, e poi sarebbe inaspettatamente tornato bel bello a LA per 1/10 del suo stipendio precedente. Finalmente questa bufala non è più possibile, e per ironia della sorte Fisher non solo non può tornare in California, ma è addirittura andato a rimpolpare le fila della loro maggior concorrente.
[b]Sono tornati i playmakers?[/b]
Diciamolo piano, ma forsa la maledizione delle combo guard sta finendo. O almeno sta rallentando. Alla fine degli anni 90 ha iniziato ad affermarsi quella che è stata definita evoluzione (?!) del ruolo di playmaker. Sostanzialmente dei giocatori sotto l’1,90, con grandi capacità realizzative e scarsa propensione al passaggio, che hanno un po’ alla volta soppiantanto i registi “tradizionali”. Iverson, Francis, Marbury, per citare i più noti. Poi il ruolo di playmaker ha continuato su questa strada, passando un po’ in secondo piano in una lega in cui dominavano le ali forti (Garnett, Nowitzki, Wallace, Duncan), e l’unico play degno di (parecchia!) nota era Nash, un po’ un’eccezione rispetto allo stile dei colleghi.
Oggi, dopo oltre 15 anni di quest’andazzo, ci sono segnali incoraggianti per il ritorno dei play classici. Affianco all’immarcescibile Canadese, pronosticato da anni come ex giocatore, e che in realtà dalla sua sedia a rotelle continua a dispensare caramelle che è un piacere, sono arrivati Chris Paul e Deron Williams. Il primo, rigenerato dal trasferimento agli sfavillanti (!?) Clips sta facendo la stagione della vita, mentre Deron si è un po’ appannato nel contesto non proprio eccitante dei Nets (ma comunque tra NBA e Turchia qualche partita indimenticabile l’ha regalata anche quest’anno). Poi il clamoroso Jeremy Lin, che ha rivitalizzato i Knicks, e Rubio, vero motivo dell’esplosione di Minnesota, che infatti dopo il suo infortunio è andata a picco come il Titanic in 3D. Drajic ha avuto la possibilità di fare molto bene a Houston dopo l’infortunio a Lowry, Kidd sta vivendo una seconda volta (o terza? Chi le conta più?) a Dallas, essendo stato comunque un fattore decisivo nel titolo vinto lo scorso anno. E infine uno dei giocatori più indecifrabili ed eccitanti del panorama NBA: Rajon Rondo. Definirlo playmaker “classico” stona un po’, ma è decisimante uno che cerca di migliorare i compagni prima che di segnare lui.
Si è invertita la tendenza? Non lo so, ma per la mia concezione del gioco del basket è un piacere vedere che ci siano ancora dei play che cercano di far giocare gli altri.
Se continuiamo così, c’è il rischio che tra qualche anno ricompaiano anche dei lunghi che siano in grado di ricevere spalle a canestro e tentare un passo di incrocio…
Troppo ottimista?
Tranquilli, bilanciamo subito aprendo la rubrica del…
[b] GRAZIE LO STESSO, NON DOVEVATE DISTURBARVI[/b]
Non troverete nessuna persona dotata di buon senso e un minimo di oggettività che sia disposta a sostenere che i playoffs NBA non siano uno spettacolo grandioso.
Quando però parliamo di Regular Season, il giudizio diventa molto meno unanime. Come ho già avuto modo di dire, la RS va capita, inserita nel suo contesto. Vincere è importante, ma non è tutto. E’ più un mondo di colori, maglie, squadre, mascotte, personaggi, anedotti, intervallati comunque da almeno una decina di giocate mozzafiato anche nelle sere più cupe, e ogni tanto qualche partita di buon livello competitivo. Chiarito quindi che è un “prodotto” completamente diverso da quello dei playoffs (e incomparabile con il basket FIBA), può piacere o meno, ma resta un prodotto con una sua dignità. Questo fino a quando la qualità non viene sacrificata troppo per la quantità, fino a quando non si superano le regole del buon gusto. E quest’anno purtroppo è successo da diversi punti di vista.
[b]Infortuni[/b]
Se giochi 5 volte alla settimana, per altro senza preparazione atletica, è probabile che ti infortuni. E così la massacrante stagione ridotta ha portato con sè questo bollettino di guerra, parlando solo di stelle (tra parentesi le partite saltate): Eric Gordon (50), Chancey Billups (46), Zach Randolph (MVP romantico degli ultimi PO, per altro: 40), Andrea Bargnani (35), Manu Ginobili (30), Kevin Martin (26), Derrick Rose (MVP vero dell’ultima stagione: 26), Ricky Rubio (25), Danilo Gallinari (22), Ray Allen (20), Kyle Lowry (20), Amare Stoudamire (20), Dwyane Wade (15), Dwight Howard (12), Lamarcus Aldridge (11), e 10 partite per Bosh, Love, Deron Williams e Melo. Considerando che questi numeri vanno rapportati al totale di sole 66 partite disponibili, è chiaro che stiamo parlando di una strage. E una lega di stelle che non riesce a far giocare le stelle, rischia di perdere un po’ di appeal.
[b]A fondo col tanking[/b]
Ovvero il perdere apposta, perchè più perdi, più palline col tuo nome hai nella lottery per il draft. Capiamoci, il tanking c’è da sempre, e sempre ci sarà, grazie anche all’assenza del concetto di retrocessione. E’ ancora una volta un problema di forma, di quantità: vedere 1 partita in cui entrambe le squadre giocano a perdere è qualcosa di insolito e interessante, quasi un esperimento sociologico.
Se però ci sono 10 squadre che vanno in tanking dichiarato dopo 2 mesi di stagione, è qualcosa che fa male a tutta la lega. E oltre che un problema di cattivo spettacolo offerto, c’è anche un problema di risultato falsato del campionato. Vi faccio un esempio: 2 settimane fa NY e Boston erano molto vicine come risultati, e quindi entrambe in corsa per il primo posto della Atlantic division, titolo non prestigiosissimo, ma che per motivi a me incomprensibili dà diritto ad avere alla peggio la quarta moneta ad est. Peccato solo che Boston avesse a calendario quasi solo partite con squadre da playoffs (e quindi presumibilmente partite “vere”), e NY quasi solo con franchigie dedite al tanking più disinibito. NY essendo NY alla fine è riuscita a arrivare seconda lo stesso, ma se avesse superato Boston i miei amati biancoverdi avrebbero avuto ragione a lamentarsi. E non mi si dica che Boston quelle stesse squadre le aveva affrontate prima: un conto è incontrare la Cleveland di inizio stagione, che vuole far vedere che può rinascere e che vuole sostenere la candidatura a ROY di Irving. Un’altra è la Cleveland di Aprile, in cui Irving è messo in Injured list perchè si è tagliato facendo la barba e Tristan Thompson è stato nominato Go to Guy. Soluzioni: la prima che mi viene in mente è escludere dalla lotteria per i primi 3 posti le squadre che non raggiungono una soglia minima di vittorie. Non so se è l’ottimale, ma occore che l’NBA dia un segnale forte per mettere un freno a un malcostume che sta sconfinando nel ridicolo.
[b]L’universo ha molti misteri…[/b]
… e tra questi il più insondabile di tutti è il motivo dell’esistenza dei Charlotte Bobcats. Il problema non è che perdano. Nemmeno che perdano tanto. Hawks e Nets perdono praticamente da sempre. I Clips hanno addirittura elevato ad arte il perdere, fino a diventare oggetto di culto. Il problema è che Charlotte è impresentabile, è evidentemente, dichiaratamente e VOLONTARIAMENTE un corpo estraneo nella lega. Il suo roster è fatto da qualche giocatore che potrebbe aspirare al ruolo di panchinaro in una squadra mediocre, e da onesti mestieranti da serie minore europea. E’ chiaro che se devi schierare ogni sera Kemba Walker e Corey Maggette contro LeBron e Kobe non puoi aspettarti molto di più. Io personalmente trovo l’esistenza di questa franchigia inaccettabile, un insulto agli spettatori. Che Jordan sia il peggior GM di ogni epoca non è nemmeno più argomento di discussione, ma anche il proprietario che ha voluto una squadra NBA per poi cercare di superare a destra Sterling dei Clippers sulla via del risparmio non si capisce cosa stia lì a fare. Ho già avuto modo di dire che una NBA a 22 squadre sarebbe un bene per tutti, ma se proprio questo non è possibile, torniamo almeno a 29, perchè i Bobcats NON APPARTENGONO a questa lega.
[b]D Wade, il mago del capriccio[/b]
Non ho mai nascosto di avere un debole per questo giocare, e quindi potete immaginare quanto sia per me doloroso comunicarvi che il giocatore da Marquette ha preso la … Kobite.
Trattasi di quella malattia originaria della California che riporta il soggetto allo stato intellettivo del primo anno di asilo, costringendolo ad un imbarazzante spreco di talento.
Dopo un primo anno di convivenza senza scossoni, il buon Dwyane infatti ha evidentemente cominciato a essere geloso della stagione da MVP del suo compagno stempiato (no, non sto parlando di Joel Anthony!). E così, per far capire a tutti quanto lui sia importante per la squadra, nel miglior Kobe Style, Wade da oltre 2 mesi ha smesso di giocare: sta in campo svogliato, quando ha la palla in mano se ne libera immediatamente, e non tira mai se non è proprio costretto. Se poi per caso la squadra va sotto, allora tira fuori il costumino in spandex e il mantello, e comincia a tirare tutto quello che tocca. A volte aiuta anche i suoi a vincere, ma in generale è chiaro che questo atteggiamento nuoce gravemente agli Heat.
Come tutti sanno quest’anno LeBron deve vincere il suo primo anello, per lui, per gli Heat, ma in generale per tutta l’NBA il problema diventa decisamente grave. Miami ha onestamente tutte le carte, compreso il livello non eccelso degli avversari (e le precarie condizioni di salute di Rose), per arrivare finalmente all’agognato traguardo. Speriamo che dopo il sabotaggio in finale dello scorso anno del Prescelto, quest’anno non sia proprio Flash il principale ostacolo verso l’anello di Miami.
Ok, vi vedo affaticati.
Come sapete nei prossimi giorni su All-Around troverete i nostri pronostici sui playoffs che iniziano sabato, quindi non mi dilungo (!?) oltre.
Mi limito a dire: finale Miami-Oklahoma e vittoria Heat.
Alternativa romantica (sognare è gratis): Boston-Memphis. E non sto a dirvi chi vincerebbe.
Vae Victis
Carlo Torriani