Rubando letteralmente il soprannome a chissà quanti altri francesi dello sport (Platini) e non solo, ho intitolato l’articolo al play franco-belga che per tutta la stagione, vista l’assenza di Ginobili e la “vecchiaia” di Duncan, ha guidato San Antonio al miglior record della lega, a pari merito con i Chicago Bulls. Se Popovich ha ritirato con pieno merito prima di questa gara 2 il suo 2° trofeo di “Coach of the Year”, festeggiato il giusto, come da prassi, tra Duncan e Robinson, anche a Parker andrebbe assegnata una statuetta, probabilmente quella dedicata all’MVP stagionale. Dicono sia già scritto che verrà invece consegnata a LeBron James, decisione scontata quanto ovviamente criticabile, data la natura del premio e le motivazioni che lo supportano. Non così scontata sarebbe al contrario la decisione di dare il premio a Tony Parker, che ha cifre inferiori al #6 degli Heat, ma che ha davvero sorretto sulle sue spalle le sorti della franchigia texana per tutta questa short season.
Young guns – Il primo quarto di gara 2 vede gli Spurs dominare su entrambi i lati del campo gli Utah Jazz, impedendogli qualsiasi tipo di reazione dopo il parziale iniziale, se non a giochi ormai fatti. Popovich mette a riposo le sue stelle e nel secondo periodo i Jazz si rifanno sotto, arrivando fino a -5. E’ lì che la grande squadra fa vedere tutto il proprio valore, tecnico e non. Parker riprende a battere Harris ogni singola volta che ne ha voglia, e dalle sue penetrazioni fioccano tiri aperti, spesso da tre punti e altrettanto spesso dagli angoli (come uso e costume dei “nuovi” Spurs). In particolare continuano a far parlare di se Kawhi Leonard e Danny Green. Il primo porta a casa un 6/7 dal campo che gli vale 18 punti a referto, mentre il secondo, dopo una gara 1 davvero deludente, riprende da dove si era fermato al termine della stagione regolare: 3/5 da dove conta 3, per un totale di 13 punti, ma anche 4 rimbalzi e 3 stoppate. Continua così a funzionare a meraviglia quel gustoso mix che Pop ha creato tra veterani e giovani che sono già qualcosa di più che semplici promesse future. Utah vede calare così di colpo le sue percentuali, sbaglia 12 tiri di fila e incassa un parziale di 22-2 per chiudere la prima metà di gara e mandare con 24 minuti di anticipo i titoli di coda.
One-on-one – A chi ama questo giochino non sarà sfuggito il duello Duncan-Jefferson. In apertura entrambi gli allenatori lasciano i loro lunghi in “single coverage”, concedendo così agli esteti del gioco una serie di azioni 1vs1 in post basso, fatti di tecnica e poco atletismo, con i movimenti di piede perno che nel basket 2.0 non si vogliono più insegnare. Ricordo che Al Jefferson, quando i Celtics lo scambiarono nel 2007 per arrivare a KG, era ritenuto da molti il futuro della franchigia, e questi stessi molti si domandavano:”E se la formazione dei Big Three non portasse risultati immediati? Ainge avrebbe lasciato andar via la sua stella del futuro”. Così come sapete non è stato, alla fine di quella stessa stagione Garnett, Pierce e Allen si sono messi al dito il loro (al momento) primo anello, andando poi ad un infortunio di Perkins di distanza dal bissare il tutto. Ecco siamo giunti nel 2012 e la promessa Jefferson è rimasta tale. Il contratto però recita altro ed è di quelli che si dovrebbero dare solo alle superstars che davvero spostano. Al, che ha movimenti in pivot di un’eleganza davvero notevole, manca di quel qualcosa che gli è sempre mancato dal suo ingresso nella lega, oltre ai compagni chiaramente che lo circondano, non sempre di un livello tale che ti possa far dire: ok, non sarà mai un uomo-franchigia ma secondo-terzo violino di una squadra vincente sì! Ad oggi aiuterà probabilmente i Jazz a prolungare questa serie e a rimandare le vacanze di qualche giorno, nulla più. Soprattutto se lo staff di San Antonio procederà ad ulteriori aggiustamenti, come quelli visti nel corso della gara. Un po’ di Duncan lasciato solo 1vs 1 ci può stare, ma col passare dei minuti e l’affiorare della stanchezza, gli Spurs piazzano sapientemente il caraibico sul lato debole, pronto ad aiutare ogni qual volta che Jefferson (3/11 dal campo) si gira verso la linea di fondo, oscurata appunto dal movimento “big on big” del #21 in neroargento.
Gioco di squadra – Come detto e ridetto gli Spurs aprono benissimo il campo, concedendo così metri e metri di spazio ai propri tiratori. La difesa di Utah deve chiudersi e riaprirsi ogni volta sulle incursioni nel pitturato del francese e non sempre, anzi quasi mai, arriva in tempo per il close-out sul tiratore di turno. In ordine, in gara 2, San Antonio mette a referto 18 punti di Parker, 17 di Leonard, 13 di Green, 12 di Duncan, 11 a testa per Diaw e Neal e 10 di Blair. In totale fanno 7 giocatori in doppia cifra, con Ginobili in campo solo 18 minuti e preservato per le future battaglie. Gli Spurs tirano anche un non sorprendente 45.5% da tre punti e il 57.3% in totale dal campo, grazie anche a 28 assist totali di squadra. Sarebbe troppo per tutti, figuriamoci per questi Utah Jazz.
Andrea Pontremoli
@A_P_Official