“Prima giocavo per zittire i detrattori, ora gioco per divertirmi” queste le parole che spiegano più di tutto il resto, la vittoria dei Miami Heat e la consacrazione definitiva di Lebron James.
Questo atteggiamento estremamente corretto nel rispetto del gioco e degli avversari, la concentrazione e l’intelligenza messa in campo dall’MVP delle finali, spiega molto di quanto il processo di maturazione sia arrivato a compimento. Nessuna scimmiottata come l’anno scorso (vedi cough cough), nessun atteggiamento fuori dalle righe, anzi, nel quarto periodo quando Chalmers aizzava la folla con ancora 8 minuti dal giocare sul cronometro, è stato proprio LBJ a catechizzarlo raccomandandosi che non lo facesse più.
Gesto di maturità e controllo, poi giustamente sfogati prima della premiazione e nella festa per un titolo tanto atteso e che lo issa definitivamente nell’olimpo dei grandi del gioco. “Non m’ importa sapere se sono il miglior giocatore dell’NBA” – ha proseguito- “mi importa sapere che sono il campione. E’ l’unica cosa che conta”.
C’è da dire che il basket è passione, dedizione, ma anche sentimento e qui le parole vanno spese anche per chi è uscito sconfitto e ferito da questa finale. Il pianto di Kevin Durant nell’abbraccio di mamma e papà appena suonata la sirena, è un momento ricco di emozioni che fa capire quanto grande sia questo giocatore, anche se questa volta è uscito sconfitto. Ha lottato per tutta la stagione, non ha abbandonato i suoi neanche quando era evidentemente finita e, addirittura, nel momento di maggior scoramento durante la conferenza stampa, è stato in grado di ringraziare tutti i giornalisti per il lavoro svolto e per il suo rapporto con loro. “Grazie per il lavoro che avete fatto in questa stagione con noi.” –ha chiuso KD- “Buono o cattivo che sia, lo abbiamo apprezzato”.
Passargli spalla a spalla pochi secondi dopo la fine della conferenza mi ha fatto correre un brivido sulla schiena, perché mi sono reso conto di quanto grande è come giocatore e come persona.
La partita si può riassumere nelle mere statistiche al tiro, dove i Miami Heat hanno trovato un irreale 7-8 da tre punti di Mike Miller che ha evidentemente fatto saltare il banco “Questa stagione è stata una montagna russa per tutti quanti” –ha detto- “e se questo dovesse essere il momento del saluto, lo capirò con i medici, è bello averlo fatto all’apice del successo”.
Per chi lo ha visto da vicino, è incredibile come possa aver fatto tutto ciò in una gara di finale, perché durante gli allenamenti si trascinava per il campo, vittima di svariati dolori. Lui e Shane Battier sono il simbolo puro della vittoria di questi Heat. I classici veterani in grado di andare oltre i propri limiti in nome di un titolo, senza guardare a cosa comporti personalmente. Simile discorso vale per Bosh che ha giocato la miglior serie di playoff della sua carriera, adottando lo stesso credo e inserendosi nelle pieghe lasciate libere da chi questa squadra era deputato a condurla. Sono arrivate anche giocate d’intensità, abnegazione difensiva e momenti di agonismo che sono stati fondamentali per la vittoria finale.
Fa male leggere sui vari social network, anche da columnist importanti, frasi pesanti su giocatori come James Harden che, sicuramente, ha trovato la serie più dispari al tiro della sua breve carriera NBA, ma è passato in quattro partite dall’essere il prossimo massimo salariale dei Thunder, ad essere uno che merita il minimo salariale per un veterano (testuali parole). Anche negli States alcune grandi penne peccano di imperdonabile tracotanza.
“Non abbiamo nessun pentimento per aver mancato in approccio o dedizione, forse abbiamo sbagliato qualcosa a livello mentale, ma nonostante tutto siamo stati sempre lì.” -ha detto Harden, concludendo poi con un pensier comune a tutti i componenti dei Thunder-
“Amo il modo con cui siamo stati insieme. Siamo una famiglia qui e dal mio anno da rookie siamo migliorati tutti insieme.”
Probabilmente è difficile ricordare, eccezion fatta per questo ultimo atto, una serie così equilibrata, conclusa con un risultato numerico così netto. Miami, dopo essere andata sotto 1-0 ha fatto percorso netto e, molto probabilmente, quando questa serie verrà rivista tra vent’anni, si penserà che Miami abbia faticato più ad arrivarci che a vincere queste finali.
Troppo facile e troppo semplicistico, perché la sfida tra queste due squadre è stata combattuta, sentita e lottata come altre finite a gara 7. Ora parte la offseason NBA, che sarà sicuramente più tranquilla e liscia della scorsa, pronti a vedere se Thunder e Heat potranno ritrovarsi anche il prossimo giugno.
Da Oklahoma City e Miami, terminano ufficialmente le nostre prime finali NBA live dagli Stati Uniti. E’ stata un’esperienza unica, forse irripetibile per la serie di emozioni che ci ha regalato e che speriamo di aver trasmesso attraverso le righe di questa rubrica durata quasi due settimane.
Come per KD, siamo felici per chi ha apprezzato o no il nostro lavoro, sperando di aver mosso in voi delle emozioni.
Appreciate.
Da Miami, un sentito ringraziamento da Simone Mazzola e a rileggerci presto su www.all-around.net