Può dirsi ufficialmente conclusa la telenovela Dwight Howard: nel bel mezzo dei Giochi Olimpici di Londra, quando ormai quasi nessuno se l’aspettava più (tant’è che il centro pareva potesse essere convocato per la preseason con Orlando), i Los Angeles Lakers hanno piazzato il colpaccio ottenendo dai Magic l’all-star Dwight Howard in una trade che ha coinvolto anche i Philadelphia 76ers e i Denver Nuggets; d’altronde uno scambio del genere non sarebbe mai riuscito ai gialloviola senza l’aiuto di alcuni “partner”, ovvero le franchigie appena citate. Nel dettaglio la trade è la seguente: Dwight Howard passa dagli Orlando Magic ai Los Angeles Lakers che ricevono anche Crhis Duhon e Earl Clark, Andre Iguodala va dai Philadelphia 76ers ai Denver Nuggets del nostro Danilo Gallinari (con il quale formerà un duo davvero pericolosissimo su entrambi i lati del campo), Andrew Bynum viene ceduto dai Lakers ai Sixers, dove arriva anche Jason Richardson dai Magic (con annesso contrattone da 12 milioni di dollari in due anni), mentre la formazione della Florida riceve Arron Afflalo, Al Harrington (dai Nuggets), Nikola Vucevic e Moe Harkless (dai Sixers) più 3 prime scelte future al Draft, una da ogni squadra coinvolta nell’operazione (più un’ulteriore seconda scelta da Denver).
I veri sconfitti — Tutti contenti quindi, o forse no: la franchigia che esce battuta da questa trade è senz’altro Orlando, costretta ad accontentarsi degli spiccioli dopo quasi un anno di gestione approssimativa del caso Howard e forse un’eccessiva fretta nel cederlo. Nonostante la prima cosa da ricordare sia proprio che Orlando non avesse scelta, e che in un modo o nell’altro in questa sessione di mercato Howard avrebbe dovuto lasciare la “Città di Topolino”, la dirigenza dei Magic avrebbe senz’altro potuto (e dovuto) fare meglio, cercando anche di evitare di cedere elementi utili dalla panchina come Clark e Duhon. L’ex centro dei “Magici” si è comportato in uno dei modi più strambi possibili, prima giurando fedeltà alla squadra e firmando per un’altra stagione lo scorso anno, e poi lasciandola alla prima occasione utile. Questa è una lezione che possiamo trovare anche negli ultimi grandi affari di mercato con free agente e non: mai tenere un giocatore che, seppur uomo-franchigia e beniamino dei tifosi, non corrisponde i tuoi sentimenti. Possiamo citare Carmelo Anthony con Denver, Chris Bosh con Toronto e, col senno di poi, anche LeBron James con Cleveland prima della famosa “Decision”. In questa trade, Orlando si è accontentata veramente degli spiccioli confrontando i giocatori e le scelte conquistate con ciò che avrebbero potuto ottenere scambiando Howard la scorsa sessione di mercato.
Si volta pagina — In casa Magic il destino è ormai quello di ricominciare da capo, con una squadra, escluso qualche veterano come Turkoglu e Nelson, decisamente inesperta e incompleta, con un vuoto nel ruolo di centro dato che il neo-arrivato Harrington non sembra avere il giusto calibro per partire in quintetto e il rookie Nicholson, seppur una buona promessa per il futuro, non può rappresentare una certezza per una squadra che, nell’era Stan Van Gundy, aveva abituato la sua città a dare spettacolo e a conquistare sempre un posto nei Playoffs. L’addio di Howard e dello stesso coach Van Gundy segna la fine di un’era per Orlando, e l’inizio di due-tre stagione transitorie nelle quali sarà necessario rifondare, contando sulle scelte ottenute in questa trade ma non solo, e sui giocatori più promettenti presenti in squadra. D’altronde ora lo spazio salariale non manca e qualche acquisto, almeno per attutire il colpo derivante dalla cessione di DH12, potrebbe anche arrivare, quantomeno per ringiovanire ulteriormente una squadra in una situazione disastrata in vista della prossima stagione. Tornando all’argomento Van Gundy, proprio l’ex coach degli Heat poteva essere l’uomo adatto per guidare questi giovani e inesperti Magic a tornare alle ribalta, ma egli è stato cestinato, non per effettivi demeriti, bensì per convincere Howard a rimanere e per zittire qualche tifoso lamentoso. Ad Orlando, con una squadra che ricorda vagamente i Cavaliers post-LeBron, un coach come Jacque Vaughn che non è giunto nemmeno ai quarant’anni e alla prima esperienza come head coach, e un GM, Rob Henningam, che come si è potuto notare ha ancora molto da imparare, sono tutti sulla stessa barca.
Dall’altro lato? — Dall’affare escono complessivamente bene i Nuggets e i 76ers: Iguodala va a completare un quintetto, quello dei Nuggets, che potrà ulteriormente crescere e che, nonostante la cessione di Afflalo (che volendo potrà essere sostituito nel ruolo di guardia dallo stesso giocatore ex Sixers) sarà ancor più un ostacolo insidioso per tutti con il nostro Danilo Gallinari in rampa di lancio e con un quintetto ottimo in prospettiva futura vista la bassa età media. Sulla sponda Philadelphia l’arrivo di Andrew Bynum, che prima di questa trade sembrava essere la contropartita adatta per Orlando in cambio di Howard, coprirà un buco nel quintetto dei Sixers che la scorsa stagione ha messo a tratti in difficoltà la squadra nonostante la buona postseason del lungo Spencer Hawes. Philly la prossima stagione potrà essere una vera mina vagante nella Eastern Conference, come d’altronde è stata lo scorso anno nei Playoffs eliminando i Bulls e facendo sudare i Celtics per il passaggio del turno.
La squadra da battere — In casa Lakers è senza dubbio da elogiare l’operato del GM Mitch Kupchak, che questa estate ha finora condotto una campagna impeccabile, con l’arrivo oltre di Howard anche di Steve Nash e Antawn Jemison con delle trade che, complessivamente, altro non hanno fatto che rafforzare un roster già ai vertici nella Western Conference. Riuscendo a trattenere Pau Gasol e lasciando partire soltanto Bynum (che ha comunque disputato un’ottima stagione, ma restano dei punti interrogativi sulla sua tendenza a subire infortuni) si è garantita così un quintetto da All-Star Game composto da Nash, Bryant, World Peace, Gasol e Howard che è in grado di vincere immediatamente. D’altronde, se le ultime stagioni ci hanno dimostrato che per vincere occorrono i “Big Three” qui si va quasi vicino a dei “Big Five”. Con l’arrivo di Jamison inoltre, anche la panca dei Lakers, a volte il vero punto debole lo scorso anno, appare decisamente rinforzata e la vera squadra da battere nella Western Conference saranno probabilmente proprio i Lakers, che se la giocheranno con gli oramai più maturi Thunder per un posto nelle Finals.
Federico D’Alessio