Oggi succederà l’irreparabile, l’impensabile.
Però, giuro, non è colpa mia, sono stati loro.
Parlo degli Charlotte Bobcats, squadra che nei buoni (?) propositi di inizio stagione mi ero ripromesso di non trattare più in questa rubrica, perchè palesemente indegni di appartenere a questa lega.
Ma come dicevo settimana scorsa, le previsioni sono fatte per essere rimangiate (possibilmente ricoperti di pece e piume), e quindi eccoci qui a rendere il doveroso omaggio a una prestazione del tutto inattesa.
Record … inatteso
Partiamo dai fatti: il record attuale dei Bobcats, 7 vinte e 7 perse al momento in cui scrivo, li colloca all’ottavo posto a est, a pari dei Chicago Bulls.
Aspettate, lo ridico piano, magari qualcuno si era distratto e non ha colto: se la stagione finisse oggi, i Cats farebbero i Playoffs.
Vi siete ripresi? Ok, andiamo avanti. Con questo record Charlotte è indietro di sola mezza gara rispetto a Celtics e Nuggets, alla pari dei Bulls e davanti a Lakers, Pacers, Wolves e Rockets (quelli con un Barba nel motore, non quelli derelitti ipotizzati a inizio stagione). Solo per citare le squadre attese a performance leggermente migliori di loro.
Oppure, se vogliamo vederla da un’altra angolazione, Charlotte quest’anno per raggiungere le 7 vittorie ha avuto bisogno di 12 partite. L’anno scorso di 66 (peggior percentuale di vittorie nella storia del gioco).
Cos’è cambiato?
Gli ingredienti
Il primo indiziato ovviamente è il roster; i due principali arrivi dell’estate sono stati nel reparto guardie, due giocatori per certi versi simili, entrambi ottenuti a prezzi di saldo grazie al non brillantissimo passato recente. Parliamo di Ben Gordon, Mr Quarto Quarto quando era il giovane panchinaro dei Bulls che cambiava per loro le partite, spentosi poi completamente nel gulag di Detroit. Solito giocatore nato sotto il segno dell’equivoco, troppo basso per fare la guardia tiratrice, troppo poco passatore (in questo caso siamo prossimi allo 0) per essere un play: risultato? Panchinaro di lusso, brillante ai Bulls, un costo insensato (e per niente giustificato) a Motown. Difesa? No, grazie, sto cercando di smettere.
Il secondo è Ramon Sessions, discreto prospetto in quel di Milwaukee, è arrivato a febbraio a LA per sostituire il bollito Derek Fisher dando penetrazione, atleticità, imprevedibilità, capacità di crearsi il tiro da solo. Risultato? Era meglio stare col Venerabile Maestro. Difesa? Qui non sta nemmeno cercando di smettere, non ha mai iniziato.
A loro si aggiunge Brendan Haywood, centrone ex Mavs (e parecchie altre squadre) arrivato a dare fisicità e difesa dopo anni non proprio convincenti.
Gli altri arrivi importanti sono stati dal Draft: Jeff Taylor, ala da Vanderbilt, onesto ma non indimenticabile, e ovviamente Micheal Kidd Gilchrist. Come avevo avuto modo di dire, stiamo parlando di una versione aggiornata di Shane Battier, solido, pronto, maturo, completo, fa bene tante cose per la squadra, e la maggior parte di queste non finiscono nelle statistiche. Quello che però ha aggiunto di veramente fondamentale è il cambio di mentalità. Ma ne parliamo dopo.
Certo, poi si sono liberati Magette, la più plateale delle addizioni per sottrazione. Tutto bello, ma bastava questo per un cambiamento di rotta così radicale?
La ricetta
Ovviamente no, doveva cambiare anche qualcos’altro. E infatti sono cambiate principalmente due cose: l’idea tecnica di come giocare (e qui buona parte del merito va al nuovo coach, Mike Dunlap), e l’atteggiamento della squadra, la mentalità (chi ha detto Kidd Gilchrist?).
Dunlap, assistente allenatore a St John, viene dal mondo universitario, e ha portato questo stile di gioco e questo modo di allenare tra i pro. A ben guardare infatti i Cats sono più simili a una squadra di college che dell’NBA: età media molto bassa, scarso talento a disposizione, mancanza di una stella vera e propria, ma un collettivo in cui il poco talento è distribuito in maniera abbastanza omogenea.
L’atletismo è decoroso, ma non strabordante, e nessuno è in grado di costruirsi un tiro da solo. Scienziati del gioco non se ne vedono, quindi Dunlap ha deciso di attenersi ai fondamentali e ha messo insieme un playbook molto contenuto, con una serie di giochi basati principalmente sul pick and roll. Ecco, chi avesse in mette l’attacco dei Jazz ai tempi di Stockton e Malone, potrebbe essere leggermente fuorviato. Quella era una forma d’arte, una sequenza di gesti eseguiti alla perfezione che ti metteva in condizione di leggere le difese e far partire un meccanismo sincronizzato di tutta la squadra per prendere quello che la difesa lasciava. Qui siamo più sul: dammi una mano che da solo io questo non lo passo nemmeno fra cent’anni, magari con un blocco ce la famo, poi si vede…
La cosa però funziona. Tutti sono coinvolti e hanno “comprato” il sistema, tutti gettano il cuore oltre l’ostacolo e si impegnano ben oltre le proprie capacità. Sessions e Gordon, in cerca di redenzione, sono congeniali a questo sistema, e con 16,5 e 13,5 punti a partita mettono a tabellone quei punticini che valgono oro. L’altra principale bocca di fuoco è Kemba Walker, che dopo una stagione da rookie deludente, in cui forse gli si è chiesto oltre il lecito, sembra aver trovato la sua strada, e oggi pare molto più sicuro. 16 punti di media anche per lui, niente di indimenticabile, ma comunque aiuta. In sostanza sono tre guardie/play con caratteristiche piuttosto simili, che mettono un po’ di punti improvvisando dietro ai blocchi. Da 3 si tira poco e MOLTO male (25° nella lega), e a testimonianza che i tre di cui sopra dopo aver preso il blocco tendono a tirare, più che a passarla, c’è l’entusiasmante trentesimo posto nell’NBA per assist.
Kidd Gilchrist sembra invece essere il portatore della nuova mentalità vincente dei Cats. Certo, è tosto come pochi, forte mentalmente e abituato a sbattersi oltre ogni limite per vincere anche la tombola in famiglia il giorno di Natale. Probabilmente in un altro contesto, con più veterani che giovani, o con più giocatori problematici o con personalità forti, questo suo carattere non avrebbe ottenuto lo stesso effetto trascinante. Qui però parliamo di un gruppo di ragazzini, neanche particolarmente devianti, e che sembrano aver capito il privilegio di potersi giocare una chance a un livello che probabilmente è troppo alto per loro. Sono un po come giocatori NCAA, ma di quelli entrati in squadra senza borsa di studio, che pendono dalle labbra dell’allenatore e del loro leader carismatico perchè sanno che non avranno altre possibilità.
Caveat
Certo, è necessario capire bene di che tipo di fenomeno stiamo parlando. Questa percentuale di vittorie non è destinata a durare. Le 7 sconfitte sono state tutte piuttosto nette (con anche un infausto -45 contro i Thunder), mentre le vittorie sono arrivate non esattamente contro la creme dell’NBA (Washington 2 volte, Toronto, Mavs, Pacers e Wolves piagati da infortuni e Bucks), e comunque sono sembrate abbastanza episodiche: a parte un +20 ai Wizards (provante il giusto), le altre sono state tutte con uno scarto da 1 a 6 punti. Come dire: buon segno che la squadra è concentrata e fredda quando conta, ma anche poco rassicurante, perchè se il record fosse stato ad esempio 3 – 11 non sarebbe stata certo un’ingiustizia…
Insomma, chiaramente niente PO (e ci mancherebbe!), ma se a inizio stagione l’attesa era di 10-15 W, ora sembra urbano aspettarsene da 20 a 25. Forse in ottica Lottery non è il massimo, ma almeno si è cominciato il processo di costruzione di una mentalità vincente, stanno inculcando in questi ragazzi l’idea che vincere o perdere non è uguale (e che tendenzialmente la prima ipotesi è preferibile…), e questo nel medio periodo potrebbe salvare questa franchigia.
Oggi le altre 29 squadre sanno che a Charlotte non si va più per fare un pic nic: probabilmente si vince, ma di certo si fatica, perchè non ti regalano niente, e difficilmente ti fanno divertire.
Anche per il pubblico il divertimento rischia di rimanere limitato: chi cerca il bel gioco, è meglio che continui a rivolgersi altrove. Chi però cercasse impegno, voglia, e subisse il fascino discreto degli underdogs, potrebbe aver trovato una nuova fonte di ispirazione.
PS: uniamoci tutti nei complimenti ai Washington Wizards, che dopo sole 13 partite sono riusciti a strappare la prima W a spese dei Blazers. Oddio, anche questa volta avevano rischiato di non farcela, facendosi recuperare un vantaggio di 15 punti nell’ultimo quarto, ma alla fine tutto è finito bene (?!).
Termina anche la striscia di partite in doppia cifra di assist per Rondo, espulso per rissa nel secondo quarto della partita contro i Nets, avendo avuto tempo per erogare solo 3 assistenze . Sinceramente mi spiace moderatamente: speriamo che sia l’occasione per Magic Rondo di interessarsi meno alle statistiche personali (seppur più legate alla squadra rispetto ad altre statistiche) e torni a fare di più quello che serve alla squadra (che a volte può essere passare divinamente e copiosamente la palla, in altri casi è segnare punti, o difendere…), che al momento sembra averne parecchio bisogno.
Vae Victis
Carlo Torriani