La settimana appena trascorsa segna il passaggio del primo quarto di stagione regolare. Tutte le franchigie sono avviate verso il giro di boa previsto in gennaio e già si comincia a speculare sulle contender per l’anello, la squadra più in forma, la squadra più forte, la squadra più … “squadra” … Alle performance collettive sono, ovviamente, accostate quelle dei singoli; non fa strano quindi cominciare a sentir parlare di rendimento da MVP. Probabilmente uno degli aspetti più interessanti e coinvolgenti della lega è che non c’è troppo tempo per poter discutere, discernere e analizzare ossessivamente le prestazioni: il ritmo delle partite è tale che i giudizi devono necessariamente consolidarsi nel tempo, aspettare più prestazioni. Quello che rimane allo spettatore, quindi, è la possibilità di godere di uno spettacolo sportivo che per intensità e bellezza non teme confronti.
Esattamente con questo spirito che ritorna The Battle of Boroughs, il derby di New York, giunto al secondo capitolo, la rivincita, nuovamente al Barclays Center. Questa volta i Knicks si presentano in Atlantic Avenue da primi della classe, consapevoli della loro forza dopo aver battuto Miami pochi giorni prima. Al contrario Brooklyn, dopo aver esaurito l’ebbrezza della vittoria sui cugini di Manhattan, ha inanellato una serie non proprio positiva, causa anche l’assenza forzata di Brook Lopez dal parquet. Scendono infatti sul campo da quinti nella conference, causa prestazioni non proprio positive, qualche vittoria e alcune sconfitte beffarde. Carmelo Anthony torna nella sua Brooklyn col fuoco negli occhi, 45 punti in 44 minuti, una prova maiuscola per ribadire che lui è senza dubbio tra quelli da considerare per l’assegnazione dell’MVP. D’altra parte D-Will segna e fa segnare, 18 punti e 10 assist per il numero 8 dei Nets. Secondo capitolo della sfida, destinata a diventare col tempo una vera e propria rivalry, che tiene assolutamente fede al proprio nome: una battaglia davvero intensa, da una parte la qualità dei tiri dei Knicks che chiudono con uno straordinario 50% dall’arco, dall’altra la solidità sotto canestro dei Nets che nonostante l’assenza di Lopez chiudono con 48 punti in area. La sfida, come nel più fascinoso dei copioni, è decisa da un ex, forse il più grande della storia recente dei Nets: Jason Kidd a 24 secondi dalla sirena finale mette la tripla decisiva che fissa il punteggio sul 100-97 per New York.
Come al solito, non c’è tempo per leccarsi le ferite, appena 24 ore e i Nets volano in Canada in casa di Toronto, imponendosi alla fine 94-88. Complici una line up dei Raptors davvero ridotta all’osso (Lowry, Bargnani e Kleiza out per infortunio) e 23 punti di Joe Johnson con 16 di C.J. Watson dalla panchina; Brooklyn passa facilmente all’Air Canada Centre.
La settimana ha visto l’affacciarsi tra le prime posizioni di quella che di fatto è un’outsider: subito dopo New York e Miami gli Atlanta Hawks, con il 70% di vittorie. A onor del vero la squadra della Georgia ormai da diversi anni è abbonata ai playoffs, ma raramente col fattore campo dalla loro parte. Ad oggi, complici i ritardi e le battute d’arresto più o meno attese e preventivate di Chicago e Boston, i ragazzi di coach Drew hanno legittimato il terzo posto (sarà il 67% di vittorie dopo i quattro scontri degli ultimi sette giorni) nella Eastern Conference con una generosa consistenza delle prestazioni e costanza di rendimento. Una squadra costruita posizione per posizione negli anni; un leader, Josh Smith, che insieme ad Al Horford costituisce una coppia di lunghi di tutto rispetto, combinando in media per oltre 30 punti e quasi 20 rimbalzi. La vivacità di Jeff Teague in fase di impostazione garantisce una manovra fluida e una buona qualità dei tiri in fase di attacco. Di sicuro, inoltre, l’innesto estivo di Kyle Korver (cecchino dalla media e lunga distanza) ha permesso un’arma in più che forse prima mancava: non ci sono molti giocatori che sanno coniugare una elevatissima velocità in uscita dai blocchi e un fulmineo rilascio della palla come l’ex-Bulls.
Atlanta si presenta così a casa dei campioni NBA ma nonostante l’ottima prova di Stevenson, la banda di James, Wade e Co. è ancora troppo distante tecnicamente. 102-92 alla fine per i padroni di casa durante una gara tirata, combattuta ma dal risultato quasi mai in discussione. Certo
Miami ogni tanto dimentica di difendere come sa, ma questa è la regular season e alcune amnesie sono fisiologiche. Dopo un giorno di pausa ecco gli Hawks presentarsi nell’altra arena della Florida, a Orlando. Sorte migliore contro i
Magic, stavolta. I ragazzi di coach Vaughn appaiono stanchi e, chissà, appagati (!) dal positivo tour all’ovest appena conclusosi: fatto sta che Atlanta passa 86-80 gestendo nei minuti finali un discreto vantaggio accumulato nei precedenti periodi. Si fa in tempo a tornare in Georgia per concludere il back to back settimanale, dopo Orlando è turno degli
Charlotte Bobcats, ospiti in casa Hawks. Il calendario, in questa occasione, non poteva essere più clemente per Smith e compagni: se è vero che due partite in due giorni (con gli spostamenti nel mezzo) sono stressanti e faticose al limite dello stress, è pur vero che molti vorrebbero vivere questo stress con i Magic prima e i Bobcats poi! Infatti il match tra le mura amiche appare poco più che un pensiero per Atlanta che batte Charlotte 113-90.
Piccola parentesi per la squadra del North Carolina, doveroso quanto curioso sottolineare come la novità della stagione, la sorpresa più recente della NBA si sia risolta in una bolla, scoppiata non appena il calendario si è fatto più impegnativo. Quattro partite per i Bobcats questa settimana, quattro sconfitte contro Golden State, Clippers, Atlanta e Orlando. Quattro prestazioni in linea con le aspettative di molti a inizio stagione, più di 11 punti di distacco finale, in media, concesso agli avversari, un record sempre più negativo che ricorda inesorabile come la bella favola sia finita. Difficile, onestamente, un ritorno da parte dei Bobcats, un altro cambio di marcia, ora che il calendario ha messo in mostra luci (alcune) e ombre (molte).
Per gli Hawks rimane la sfida del weekend, sempre in casa, contro i Warriors. Punteggio simile a quello precedente, purtroppo per le aquile a parti invertite! 115-93 per gli ospiti venuti dal far west. Stephen Curry corre troppo, cuce e distribuisce gioco per i compagni e non lascia troppo scampo agli uomini di coach Drew. Gli ex compagni di Monta Ellis in tour sulla costa atlantica con intenzioni più che bellicose: oltre le vittorie su Charlotte e Atlanta si tolgono pure lo “sfizio” di battere Miami in quel di South Beach in una sfida all’ultimo respiro conclusasi 97-95.
Chi si vuole riconfermare per la terza volta consecutiva regina della Eastern Conference è senza dubbio Chicago. La strada è ancora molto lunga però, o per fortuna: vorrà dire che D-Rose potrà contribuire per più partite. L’attesa del numero uno è stata a tratti estenuante, di sicuro logorante. Nelle ultime vittorie contro contro Philadelphia (96-89) e Brooklyn (83-82) si è rivista però la terrificante solidità difensiva che ha fatto di Chicago un avversario insuperabile per molti, nelle ultime stagioni. Nell’altra metà del campo, invece, l’assenza del leader indiscusso del gruppo si fa sentire sempre moltissimo. Squadra oltremodo sulle spalle di Deng, in fase offensiva; coach T può comunque gioire perchè nelle ultime uscite si è visto un Belinelli più sicuro, con grande impatto dalla panchina ( fondamentali i suoi 16 contro Phila). Non sempre però tutto ciò è abbastanza, come quando si incontra una squadra in forma come i Los Angeles Clippers, dalla forma fisica a tratti straripante. A nulla è valso il fattore campo nella sconfitta di inizio settimana 94-89. Bilancio comunque positivo nelle tre gare settimanali: 2W-1L.
Come di consueto big match infrasettimanale, questa volta al Madison Square Garden dove vengono ospitati i Los Angeles Lakers. Sfida tra giganti del fatturato, le squadre più alla moda e di impatto mediatico della lega. È vero, i Lakers non stanno attraversando, eufemisticamente, un buon periodo (40% scarso di vittorie) ma Kobe ha tenuto a sottolineare come stesse per tornare sul campo di una delle sue più sconvolgenti prove, quella dei 61 punti, e come al Madison avesse sempre dato il meglio di sè. Oggi come allora non c’è Steve Nash (atteso con trepidazione per la sfida natalizia) ma, purtroppo per i gialloviola i Knicks hanno un Anthony in più e una caratura di squadra tutta nuova. Inizio terribile per gli ospiti, che vanno subito sotto di 9 punti nei primi due minuti di gara. Anthony è scatenato con 8 di quei primi 11 punti dei padroni di casa. Fortunatamente per i losangeleni la permanenza in campo di Melo non va oltre il secondo quarto a causa di una caviglia girata, non è grave, tornerà presto. Gli ospiti limitano così i danni ma non mettono mai in dubbio la sconfitta, pur recuperando anche da -20, non vanno oltre il 116-107. Dall’assenza forzata di Anthony, Jason Kidd prende in mano la squadra; il pick’n’roll Felton to Chandler fa il resto per la vittoria finale. Los Angeles irriconoscibile in fase difensiva, rotazione pressoché inesistente e un attacco esclusivamente sulle spalle di Bryant che scoppia nel dopo gara lasciandosi andare a dichiarazioni inequivocabili riguardo al suo sdegno per la situazione attuale. Giornata quindi da dimenticare per Mike D’Antoni che torna da ospite nell’arena che è stata la sua casa per quattro anni. New York si conferma squadra del momento.
Settimana in conclusione interlocutoria, chi ha convinto ha continuato a convincere, molte vogliono la corona di prima della classe; tutte le pretendenti hanno ottime argomentazioni ma, al solito, solo una potrà fregiarsene alla fine. La stagione è appena all’inizio ma già al livello che tutti gli appassionati desiderano, non si aspettano i playoffs per fare sul serio.