Circa un terzo di stagione, quasi trenta partite consegnate agli annali, record infranti, prestazioni eccezionali, dimostrazioni di potenza e continuità: tutto questo è stato la NBA finora. Ma ancora non ci ha detto cosa esattamente siano i Boston Celtics versione 2012/2013. Nulla, questo è certo, può mettere in discussione il fascino della franchigia o la responsabilità che rappresenta, sempre, il giocare per tale maglia. Proprio così: “per ” la maglia, non “indossando” quella maglia. Una citatissima targa all’interno degli spogliatoi di casa del TD Garden recita infatti: Players win games, teams win titles. Non c’è sintesi migliore dell’humus, dello spirito, di una delle squadre più vincenti della lega, diciassette titoli in bacheca, un numero eccezionale di hall of famers annoverati tra le proprie fila. Un fenomeno, quello dei Celtics, che probabilmente va anche oltre uno stretto senso sportivo. Unica squadra, assieme ai Knicks, che non ha mai cambiato né città né nome; probabilmente la realtà sportiva statunitense che vanta maggior numero di supporters e simpatizzanti fuori dai confini: è possibile trovare decide di siti di fans anche in Italia, sarà forse il nome che genera subito empatia, eredità dello storico carattere irlandese di Boston, evoca quasi gesta eroiche nell’immaginario collettivo. Nel corso dei decenni, ovviamente, tale fama è stata alimentata e consolidata da interpreti del gioco immaginifici: dal “dream team” di Red Auerbach con Bob Cousy e il mitico Bill Russell, solo per citarne due, fino all’indimenticabile Larry Bird, non per caso soprannominato “The Legend”.
La storia più recente appartiene di fatto ai big three, Paul Pierce, Kevin Garnett e Ray Allen, che hanno suggellato la loro unione vincendo il titolo 2008. Il primo dei mostri sacri appena citati, The Captain and the Thruth, come lo aveva estrosamente soprannominato Shaq, in una intervista post titolo, affacciandosi alla stagione 2008/2009 disse chiaramente che ora veniva il difficile, ripetersi. Non necessariamente in un back to back, ma comunque poter entrare di diritto nella storia dei Celtics, il cui ingresso poteva essere meglio legittimato, secondo Pierce, con almeno due anelli. Considerando che il numero 34 non è esattamente l’ultimo arrivato ma un veterano che ha infranto una abbondante decina di record di franchigia in una decade di militanza, si può meglio comprendere cosa significhi essere un Celtics. Successivamente però, vuoi i Magic prima, i Lakers poi e successivamente ancora i Miami Heat, i ragazzi di Doc Rivers stanno ancora provando a completare l’ennesimo vincente capitolo di storia dei Celtics. La non verdissima età comincia a remare contro, col tempo poi i dissapori vengono a galla e talvolta possono prendere il sopravvento. Si pensa che proprio una differenza di vedute riguardo alla garanzia di minuti giocati abbia portato Ray Allen a chiedere asilo in Florida ai Miami Heat che, come ci si poteva aspettare, l’hanno accolto a braccia aperte. Negli ultimissimi anni Boston ha pescato un quarto big, Rajon Rondo, playmaker tutto genio e sregolatezza, nonostante la partenza di Allen, quindi, i Big Three rimangono, con l’obiettivo finale che resta immutato. Gli anni però passano per tutti e magari quando già se ne hanno parecchi sulle spalle passano più in fretta, Pierce e Garnett devono forzatamente essere amministrati con sapienza per poterli trovare al meglio in fase di playoffs, difficilmente in regular season arrivano alla mezz’ora giocata. Sicuramente per questo, ma anche per un Rondo ancora incapace di elevarsi al di sopra della propria istintività e infine, per alcune trade che devono mostrare la loro oculatezza; che i Celtics di oggi devono ancora dimostrarsi all’altezza delle altre contender.
Il record attuale è sintomatico e rivelatore di una squadra in cerca di se stessa, ancora incapace totalmente di imporsi: non positivo ma neanche negativo. 13 partite vinte e altrettante perse, 8-10 se si considerano gli scontri con le avversarie di Conference, ancora peggio se si guarda alle gare in trasferta, 4-8. Certo, ad oggi entrerebbero ai playoffs come ottavi, ma per arrivare sin dove? Risultati altalenanti, prestazioni altrettanto poco convincenti, certo è che a tratti la pallacanestro giocata dagli uomini di Rivers è davvero godibile, i talenti di KG e Pierce cristallini e inarrestabili ma 48 minuti sono tanti e spesso prevale la stanchezza e la necessità di amministrarsi. Si parte martedì in casa dei Chicago Bulls, altra squadra che sta cercando di fare necessità virtù aspettando Derrick Rose. Prova maiuscola per i padroni di casa che alla solita rocciosa difesa aggiungono 21 punti sia di Deng che Boozer e la seconda tripla doppia in carriera di Noah. A nulla valgono i 26 punti di Rondo nella terza sconfitta di fila dei Celtics. 100-89 per i padroni di casa. Percentuali migliori da tutti i punti di vista per gli uomini in casacca rossa e un caustico Doc Rivers che commenta freddo “non siamo una buona squadra al momento. Ecco chi siamo, una squadra da 50%.”
Evidentemente le parole del tecnico fanno presa sui giocatori, di sicuro sul Capitano che il giorno dopo esplode, tra le mura amiche, con un massimo stagionale di 40 punti nella vittoria 103-91 sui Cleveland Cavaliers. La squadra della stellina Kyrie Irving (22 punti) rimonta parzialmente un deficit di 20 punti nel terzo quarto chiudendo comunque in svantaggio. I Cavaliers dovranno migliorare le percentuali dal campo (40,9%) e di sicuro quelle da lontano (27,8%) se vorranno migliorare il loro record negativo. Gara maiuscola di Garnett in difesa che chiude con tre stoppate. Un giorno di riposo e si va in scena di nuovo al TD Garden, stavolta ospitando Monta Ellis e compagni. I Bucks stavolta vincono di misura 99-94, a nulla valgono i 35 e 12 rimbalzi di Pierce. Prestazione ridicola dall’arco (20,8%) ma è proprio una tripla allo scadere che regala ai Celtics l’illusoria chance dei supplementari, 88 pari allo scadere. I cinque minuti di extra time passano però con soli 6 punti degli uomini di coach Rivers che perdono di 5. Record nuovamente pareggiato e tanto lavoro da fare per ritrovare il miglior Jason Terry e consolidare la scommessa dell’ultimo mercato, quel Jeff Green che tutti attendono come jolly da utilizzare nei momenti di difficoltà.
Le altre a est corrono: inarrestabili, o quasi, i Knicks di Anthony. Carmelo da Brooklyn è indubbiamente l’uomo da battere di questa prima parte di stagione. New York mette al sicuro il terzo capitolo della sfida dei Boroughs con un 100-86 che lascia pochi spunti positivi per Deron Williams e Co. Anthony ne mette 31, Chandler 12 e Kidd insegna pallacanestro con 5 assist e 3 rubate in un Madison Square Garden che accoglie con sufficienza snob gli avversari al di là dell’East River. Joe Johnson cerca di mettere la più classica delle pezze con i suoi 17 punti, che però non bastano come non bastano i 10 assist di Williams e gli altrettanti rimbalzi di un rientrante Brook Lopez. Sembra qualcosa si sia inceppato nel meccanismo della squadra di coach Johnson. L’entusiasmo iniziale chiaramente non basta più ai Nets per vincere le partite, quella che sembrava la più coinvolgente delle sorprese della stagione deve ora cercare di ritrovare la sicurezza iniziale e un gioco di squadra che appare carente e poco incisivo nelle ultime uscite.
I Knicks, si diceva, sono quasi inarrestabili: si schiantano contro la difesa di Chicago per tre quarti della gara al Madison, finita poi 110-106. I Bulls ne concedono straordinariamente 45 nell’ultimo periodo ma chiudono meritatamente avanti una gara condita da nervosismo ai massimi livelli che ha portato ben 4 espulsioni nel finale. Bella prova del nostrano Belinelli con 22 punti, azzerata la pericolosità da tre punti dei padroni di casa grazie a una difesa fantastica che contraddistingue, da qualche anno ormai, la squadra della Windy City. Ma Carmelo Anthony vuole dimenticare subito la brutta gara (espulso anche lui contro i Bulls) e si fa perdonare con 33 punti e soprattutto un bel 4/4 dai liberi nei secondi finali nella vittoria 94-91 sui Timberwolves nel pomeriggio di ieri. Solita garanzia Chandler sotto canestro sui due lati del campo, 9 rimbalzi e 16 punti.
Nonostante un ruolino di marcia invidiabile, i Knicks si affacciano alla settimana natalizia da secondi nella Conference, i Miami Heat infatti, tornano in auge dopo le grigie prestazioni degli ultimi tempi, vincendo le tre gare settimanali contro Minnesota, Dallas e Utah chiudendo così al primo posto, con il 75% di vittorie. In attesa del Christmas Special della NBA, un augurio di Buon Natale da chi vi scrive.
@BettoRenzi