Nella settimana appena conclusa la prima metà di Regular Season è stata consegnata definitivamente alle statistiche. Ad Est, se si prendono in considerazione micro periodi, strisce consecutive, singole partite o prestazioni; di sicuro si intravedono possibili protagonisti della primavera inoltrata, attori di un lungo viaggio ai playoffs. Impossibile tener fuori i Miami Heat da questo ideale quanto faceto scenario: miglior record a Est, 28 vinte e 13 perse (68% abbondante di vittorie), forse non la più bella squadra da vedere, prestazioni collettive poco godibili per gli amanti della pallacanestro e paradossalmente le migliori partite da godersi per gli amanti della pallacanestro, considerando gli straordinari solisti che vestono la casacca dei defenders. Calendario benevolo con i campioni in carica riguardo gli ultimi dieci giorni: “soltanto” cinque partite che hanno visto quattro vittorie consecutive e un’ultima sconfitta contro dei rocciosissimi Celtics. Una godibile e approfondita analisi sul momento degli uomini da South Beach la potete trovare qui. Appena citati, anche Boston meriterebbe un lungo discorso a parte: l’ultimissima news che li riguarda è sicuramente la peggiore che poteva mai capitare, da poco risaliti all’ottava posizione, l’ultima utile per i playoffs, perdono Rajon Rondo per una lacerazione al legamento crociato anteriore, stagione finita.
L’assenza di Rondo è cruciale per le (flebili) speranze di Finals degli uomini di coach Rivers, non solo dovranno fare a meno del metronomo della squadra, dispensatore ineguagliabile di assist, con gli oltre 17 punti a partita, ma di fatto perdono quella freschezza indispensabile in un roster decisamente … stagionato. Nessuno può mettere in discussione il valore degli uomini in verde, è lecito però chiedersi fin dove essi possano arrivare: ciò che tutti sembrano pensare ma nessuno, per una sorta di tacito rispetto, vuole ammettere è che i Boston Celtics non sono da titolo. Possono battere chiunque, non temono nessuno; basti pensare alla vittoria di questa notte contro Miami, doppio overtime, 24 punti di Garnett, sontuosa tripla doppia di Paul Pierce, 100-98 il risultato finale. Senza Rondo. Una squadra che sa come si vince, sa tirare fuori gli artigli, nella singola partita. Purtroppo o per fortuna, nel basket i titoli non si vincono grazie a singole partite: da un certo punto di vista si, ovvio, ma la strada per arrivare a quella singola partita è lunga e costellata di serie al meglio delle 7, in cui avversari più giovani e più freschi ti prendono presto le misure. Un vero peccato, dispiace quasi dirlo, perchè tutto sommato, già a pronunciare il nome dei Boston Celtics non si può fare a meno di pensare alle Finals.
Primi nella Central Division, terzi nella Conference, 60% di vittorie, gli insospettabili “Chicago Bulls” continuano a convincere e risalire posizioni. Di certo non sorprende vederli al vertice visto che per due stagioni di fila hanno avuto il miglior record della lega: ingredienti preziosi di questa ricetta vincente una difesa probabilmente senza eguali, un Luol Deng da All Star Game (secondo in due anni), un Noah anche lui All Star, una super star a mezzo servizio come Boozer ma soprattutto il figlio prediletto di Chicago, il numero 1, l’uomo simbolo, Derrik Rose. Se togliete D-Rose dalla rotazione, però, non è come togliere un mero componente: il numero 1 è la vera anima, il vero motore almeno dell’attacco dei Bulls. La stella della windy City sta per tornare, è dato ormai certo che si sta allenando in regime di “full contact” che sarebbe a dire, contrasti di gioco reali, come se fosse in partita. The Return (come dice la nota pubblicità) è imminente; il capolavoro di coach T e di tutto lo staff (almeno finora, poi può darsi che si concluda in un nulla di fatto) è avergli dato tempo per riprendersi al top, mascherando il serio problema di non averlo per più di mezza stagione con una difesa degna di una squadra di Thibodeau che, dopo l’empasse delle prime partite, è tornata ai massimi livelli. I Bulls bisogna considerarli nel complesso, nel lungo periodo: nella singola partita infatti possono non entusiasmare, appaiono claudicanti in attacco, senza mai far girare appieno gli schemi degli altri quando difendono. Tre vittorie di fila e una sconfitta per Chicago questa settimana, ogni volta affidandosi alla squadra, in attacco ogni volta ha brillato un uomo diverso, Hinrich o Butler contro i Lakers (W 95-83) o contro Detroit (W 85-82); un Noah galvanizzato dalla nomina all’All Star Game nel 103-87 su Golden State. Mettiamoci pure che Deng è fuori per un piccolo infortunio, ecco che la situazione assume contorni davvero confortanti. Il successo di metà stagione è stato quello di farsi trovare pronti al rientro di Rose, per il definitivo (chissà) allungo.
Da guardare nel lungo periodo, senza farsi trarre in inganno dalle singole partite, sono sicuramente le due newyorkesi, pardon: New York e Brooklyn. Rispettivamente seconda e quarta della Eastern Conference completano il quartetto delle papabili finaliste. Più Knicks che Nets a dire la verità: gli isolani di Manhattan impressionano per solidità difensiva (quando c’è Chandler) e per verve in attacco, certo forse troppi gli isolamenti per Anthony in assoluto, quando si riposa lui più o meno stessa situazione con J.R. Smith, ma finchè si segna va bene così, vero Miami? Se riescono a trovare la quadratura del cerchio conciliando i minuti dovuti a Stoudemire e la conseguente minore solidità in difesa, saranno guai per le altre. Da non sottovalutare il potere di una piazza affezionatissima anche se un po’ troppo naif, che da troppo tempo sente la mancanza delle partite che davvero contano, al Madison. Dall’altra parte del fiume i cugini, molti milioni di dollari, panchina lunghissima, ottimi interpreti. Si è già parlato dell’ebbrezza di avere un’altra franchigia di livello a New York, per quella che a tutti gli effetti può già essere considerata una Rivalità. I Nets alternano, di mese in mese, record super positivi, con altri decisamente negativi, forse avrà pesato l’esonero di coach Johnson che, lasciano trapelare i rumors, ha pesato non poco nella decisione di escludere possibili rappresentanti di Brooklyn dalla kermesse delle stelle il prossimo Febbraio. I Nets sono una squadra molto solida, con un quintetto di “giocatoroni” attorno ai due metri, che impone pian piano il proprio gioco nella metà campo e quando Williams e Lopez sono in serata, è davvero difficile che non portino a casa il bottino. In settimana ultimo appassionante capito di questa nuova rivalry proprio al Madison Square Garden, la mini serie si conclude in parità dopo la vittoria Nets 88-85. Nonostante i 29 punti di Carmelo, Brooklyn riesce a imporre la propria cadenza, il proprio passo alla gara. Un ispirato Williams distribuisce 12 assist totali e Johnson si carica a momenti la squadra sulle spalle mettendone 25. Altra convincente vittoria due giorni dopo sul campo dei T-Wolves prima di capitolare malamente (101-77) a Memphis e Houston (119-106). I Nets sono meritatamente quarti ma quanto possano arrivare in fondo è difficile dirlo; dipende da quanto, quegli interpreti cui si accennava poco sopra, faranno venir fuori un reale spirito di squadra.
@BettoRenzi