Insospettabilmente quella che doveva essere una bolgia in gara tre si era rivelata una sonnolenta platea, pronta ad assistere al saccheggio di Miami, che ristabilendo immediatamente il vantaggio del fattore campo, strappava una W importantissima in quel di Indianapolis. Due volte consecutive non poteva accadere, così per gara 4 della serie di finale della Eastern Conference il volume alla Bankers Life Fieldhouse si è alzato notevolmente, e i Pacers hanno potuto mettere in campo tutto quello che hanno e che li ha spinti fin qui: aggressività e intensità.
Una caviglia che si gira e la serie può cambiare. Succede a Chris Bosh, costretto agli spogliatoi ma poi nuovamente in campo. Non basta agli Heat. Gli aggiustamenti di Vogel tengono James lontano dal ferro il più delle volte, con ricezioni in post-basso meno profonde che nel precedente episodio. E’ ancora Lance Stephenson la variabile impazzita per Indiana, capace di mattonate assurde che mettono a repentaglio i tabelloni e i ferri della Fieldhouse, così come di triple impossibili, allo scadere, dall’angolo.
George Hill torna a essere il tuttofare di cui Indiana necessità come l’aria che respira, e sulle così dette “fifty-fifty balls” i Pacers (non)sorprendentemente arrivano sempre per primi. Hibbert poi continua a essere un caso non risolto e non risolvibile, probabilmente, dal Commissario Spoelstra. Il suo gioco anni 60-70 da vero pivot d’area mette in ginocchio la difesa di Miami, che pur ruotando quasi tutti i suoi potenziali difensori in quella posizione sul lungo di Indiana, non riesce a prevenirne le giocate, anche eleganti, in prossimità del ferro.
Quasi tutti, dicevo, perchè la panchina degli Heat, a ogni inquadratura della regia americana, ci ricorda che c’è gente pagata per assistere in prima fila a questi playoffs. Joel Anthony impiegato pochissimo e la cui fisicità e forza mentale – componente necessaria a poter svolgere questo mestiere, a questo livello, altrimenti impensabile se ci si fermasse nelle considerazioni solamente al puro talento, in questo caso completamente assente – potrebbero venir impiegate contro il #55. Al suo fianco fa bella mostra Rashard Lewis, ormai definitivamente dimenticato da Spoeltra nella “sua cuccia”.
Classiche rotazioni da playoffs, quindi, per l’allievo di Pat Riley che a Bosh e Haslem, membri della fronline che inizia le gare, alterna solamente Andersen, efficace, ma non sempre (e chiaramente non può essere lui quello che ti risolve le gare, pur portando specialmente in gara 1 un contributo essenziale alla vittoria) e James da 4. LeBron per la seconda volta in carriera incappa in un’uscita per 6 falli in una gara di playoffs. Questa statistica potrebbe tra l’altro portare a ulteriori considerazioni, magari non sul fatto che evidentemente i grigi fischiano poco contro di lui, con una dietrologia che lasciamo volentieri ad altri, ma magari sul fatto che sì, la difesa vincerebbe anche le partite, ma è alla fase offensiva del gioco che l’MVP della Lega dedica le maggiori attenzioni.
Il resto ormai è noto: Wade ha recuperato dall’infortunio al ginocchio destro, almeno a sufficienza per garantire il solito contributo a tutto campo, e al quale capita anche di vedersi fischiare un’infrazione di doppio-palleggio che solo Tranquillo ha visto (anche dopo i numerosi replay, onestamente, non è chiaro come potesse essere d’accordo con la chiamata arbitrale), ma che non è certo il fattore discriminante e decisivo per la sconfitta che ora riporta gli Heat a casa in perfetta parità, sul 2-2. Abbiamo ancora una serie, visto che si arriverà per lo meno a gara 6 e non scommetteremmo contro l’opportunità di giocare anche una 7^ partita. Sarebbe una sfida ancor più all’arma bianca, con Indiana che non molla un centimetro, per la gioia degli Spurs che – sbarazzatisi più agevolmente del previsto di Memphis – osservano compiaciuti da San Antonio dove si preparano alla 5^ finale dell’era Duncan-Popovich. Le altre quattro le hanno tutte vinte, ed era sempre un anno dispari (1999-2003-2005-2007), cosa che a South Beach sanno molto bene…