Clanck, clanck, clanck, sempre più velocemente. La pellicola inizia a girare vorticosamente e le immagini scorrono sullo schermo sempre più nitide. Potrebbe essere l’inizio di una storia che va davvero nelle sale cinematografiche ed invece è la pura realtà. Una personalità eclettica, un talento sconfinato, un perfetto mix tra la passione e l’emotività latina, o per meglio dire italiana, che si fondono con la voglia di inseguire i propri sogni e sposarli al talento, tipicamente americani. Forse queste le più probanti parole che descrivono Elena Delle Donne, cestista nata a Wilminton, Delaware, il 5 settembre del 1989, che qualche sera fa ha incantato il parquet di Atlanta con una prestazione a dir poco straordinaria, di quelle puramente immaginifiche che possono essere sognate da qualsiasi appassionato.
Questa gara 3 di primo turno di playoff, però, è solo l’ultimo tassello di un domino infinito per una ragazza che ha tanto da raccontare, che ha già combattuto con le unghie e con i denti contro gli infortuni, ma che quando è su quel parquet con le sue mani orchestra pallacanestro.
Bionda, occhi azzurri, 196 cm di puro estro e proporzione classica, mani fatate e piedi veloci, pronti a correre sui blocchi, uscire, e spingere per un jump. La sua forza non sta solo nell’abilità di sapersi innescare, di insaccare tiri impossibili e di farlo con continuità, ma anzi è nell’avere una visione di gioco pazzesca, quasi fosse una veggente. Legge le difese avversarie come pochi, sa farsi trovare al punto giusto o pesca comunque qualcosa di produttivo per chi le sta intorno.
E il basket forse non sembrava la sua strada. Con la sua propensione e attitudine, nonchè con il suo fisico, avrebbe potuto scegliere qualsiasi college, ma preferisce la famiglia e gli affetti familiari rimanendo a Delaware University e abbandona la pallacanestro per la pallavolo. Come? E’ un anno sabbatico in cui però, magari sottorete, migliora in quella velocità di piedi che ne fanno ora una specialista, nonchè aumenta e non poco in elevazione e quando la chiamata al coach delle cestiste della stessa università arriva, la risposta è devastante. Da un college così piccolo, che fatica a distinguersi nel tabellone principale non ci si aspetta certo il salto nella prima lega americana. Le sue doti, il suo carisma e quella solarità con cui calca il parquet lasciano il segno ben più delle sue statistiche, che vedono tanti punti a referto. Il draft la porta a Chicago, una squadra predestinata, e già dal nome… Sky. Maglia azzurra come i suoi occhi, con bordi dorati come i suoi capelli. Neanche un caso avrebbe potuto essere così pregnante. Il primo anno va già all’All Star Game, vince il premio di Rookie dell’anno e porta una squadra a centrare i playoff per la prima volta nella storia, il tutto combattendo anche con un infortunio.
Arriviamo a questa estate e al campionato 2014. Difficile, perchè costretta ancora a saltare un pezzo di regular season ancora per infortunio, mentre la Griner di Minnesota schiaccia ad ogni partita, Maya Moore domina a piacimento la lega e la Taurasi continua a regalare perle dalla sua faretra. Chicago fatica, ma centra il piazzamento playoff e si scontra contro Atlanta per l’accesso alla finale Est. Sfida tesa, al meglio delle tre, col fattore campo che salta nelle prime due sfide e decisiva in Georgia alla Philips Arena. Ed è qui che la magia e l’emozione, il sogno e la cinemtografia trovano compiuta realizzazione.
La sfida tesa e le percentuali tenute da Atlanta nei primi tre quarti sono incredibili: i punti di una superlativa McCoughtry, gli assist di Schimmel, tra le migliori rookie of the year, la solidità Sancho Little, spingono le Dream anche sul +20. Le Sky sembrano confuse, sulle nuvole, incappate in una di quelle serate in cui tutto va storto. Poi arriva il quarto periodo.
La musica cambia. Elena Delle Donne inizia a segnare a ripetizione. Penetrazione a sinistra, fallo subito, tiro morbido che bacia il vetro, c’è anche il fallo, ce n’è per tre. Pick sul lato destro, jump morbido e bang. A 4′ dalla fine tripla dal mezzo angolo con i piedi non in posizione, come fa a metterla è un mistero. E’ incredibilmente tutto in parità.
Ok il sogno a compimento? Proprio lei viene scippata dalla McCoughtry che segna indisturbata, e poco dopo la Schimmel, che non l’aveva mai messa, si inventa un canestro incredibile sulla sirena dei 24″ che regala il +3 a 30″ dalla fine. Elena riprende la palla in mano, si gioca ancora il suo movimento e segna, ancora una volta col suo amico tabellone, quasi che Dirk Nowitski le abbia passato il movimento. C’è il fallo immediato e la Thomas fa 0/2. Sono 17″ si va fino alla fine: neanche a dirlo. Elena va ancora a sinistra, bacia ancora il tabellone e sorpassa a 11″ dalla fine. Atlanta si gioca le ultime speranze affidandosi a McCoughtry che si libera bene ma vede il suo tiro rimbalzare beffardamente sul ferro tre volte prima di uscire. Chicago in finale di conference e Atlanta eliminata. Elena alza lo sguardo al tabellone: 34 punti, suo record personale, ma non è questo in sè che spaventa quanto il resto. 10/19 dal campo, immacolata dalla linea della carità con 11 realizzazioni con 4 assist e 3 stoppate.
E per lei, che della Wnba è diventato un simbolo dentro e fuori dal campo, questo è un traguardo importante, ma sappiamo che non le basterà, perchè il sogno di una notte di mezza estate può andare bene per una volta, la finale contro Indiana è dietro l’angolo e quindi perchè scendere dalle nuvole a toccare terra?
Forse per lei il motto di Albert Einstein calza a pennello:
“La follia è la ripetizione di una stessa azione più volte sperando di avere un risultato diverso”: Quando alza la mano dopo il suo classico movimento, o fa baciare allo Spalding biancoarancio il tabellone, o esce dai blocchi e aggiusta i piedi, chiunque può prevedere la fine della parabola: ciaff!!!
Domenico Landolfo