La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati.
La nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura. È la nostra luce, non la nostra oscurità che più ci spaventa.
Agire da piccolo uomo non aiuta il mondo, non c’è nulla di illuminante nel rinchiudersi in sè stessi così che le persone intorno a noi si sentiranno insicure. Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria che c’è dentro di noi, non è solo in alcuni di noi è in tutti noi.
Se noi lasciamo la nostra luce splendere inconsciamente diamo alle altre persone il permesso di fare lo stesso.
Appena ci liberiamo dalla nostra paura la nostra presenza automaticamente libera gli altri.“
Tratto dal film “Coach Carter”, un cult per gli amanti della pallacanestro ed è così che vorrei cominciare questa “piccola chiacchierata” con Emanuele, un pensiero che mi ha suggerito lui e che deve essere ricordato nella mente di ognuno di noi ma non solo su un campo di pallacanestro, ogni santo giorno!!Tutti abbiamo avuto un periodo in cui le cose non andavano come volevamo, ma non ci deve essere giorno in cui non manifestiamo la gloria che c’è dentro di noi.
Emanuele “Lele” Montaguti, nato il 21 ottobre 1993 a Cesena, 177 cm per 73 kg inizia a giocare a basket alle elementari seguendo le orme della sorella maggiore Benedetta e del fratellone Francesco che giocava in una squadretta di una scuola media nella palestra “numero 4”. Quando la mamma gli chiese se volesse giocare con suo fratello o contro, Lele rispose contro e perciò iniziò a segnare i primi canestri nella palestra di Ponteabbadesse.
Poi fino all’ Under 19 con la Carisp. Cesena e infine un anno in DNC alla Gaetano Scirea, con un allenatore, Alberto Serra (il Pomo), che ha segnato una prima svolta nella sua vita poichè gli ha permesso di acquistare maggiore autostima e di trasformare la sua timidezza in una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Un’altra tappa fondamentale della sua vita è il Supercamp di Sportilia, dove coach John Saintignon invita i genitori di Lele a prendere in considerazione la possibilità di mandarlo negli USA a giocare e studiare.
Da quel momento in poi, Lele ha cominciato ad informarsi su come realizzare il suo sogno e dopo essersi preparato una lista delle possibili destinazioni e dopo aver affrontato prima il consueto test di lingua Toefl e poi il SAT (test d’ingresso per l’Università Americana diviso in lettura, scrittura, matematica e comprensione del testo), la sua scelta è ricaduta su University of West Florida (dove richiedevano un punteggio al Toefl di 79, raggiunto da Lele la terza volta). Poi l’arrivo negli USA, i primi allenamenti con la squadra dell’Università che era composta da più di 20 elementi. Dovete sapere che lì c’è una legge che obbliga la squadra maschile ad avere lo stesso numero di giocatori della femminile, perciò dovevano rimanere in 15 e Lele non era sicuro di essere in squadra che milita in Division II.
Fortunatamente è andato tutto bene, anche se il primo anno l’ha fatto da “ Medical Redshirt “ (possibilità di giocare solo 4 partite) poiché un problema alla caviglia aveva condizionato fin da subito il suo rendimento. Sono ormai due anni (da agosto 2013) che si trova a Pensacola (no, non è un “fake” della Coca Cola), una città della Florida che si affaccia sul Golfo del Messico per studiare Biologia Marina.
E’ il primo non americano nella storia della UWF ad avere ottenuto la NCAA eligibility.
Riguardo al video:
“Ho dovuto farlo perché era obbligatorio da far vedere agli allenatori americani, poiché ovviamente non avevano altro modo per visionarmi”
Siccome la curiosità è di casa qui ad All-Around.net, la signora in sottofondo è una tua super tifosa?
“La mia fan numero uno, mia mamma”
Non posso non chiederti come mai hai scelto proprio UWF:
“La prima Università che mi aveva accettato era in Wisconsin e poi ero stato accettato anche in un’altra in North Carolina, che mi piaceva molto ma il livello di basket non era molto appetibile, perciò la mia scelta è ricaduta su quella più difficile.”
Come mai hai scelto il basket?
“Sono sempre stato un bambino molto timido, mio fratello e mia sorella erano più grandi e giocavano sempre assieme, avevano il loro giro e io non è che avessi tante compagnie, allora mi mettevo lì a tirare e vedevo che il basket mi divertiva e mi permetteva di distrarmi”
Il primo impatto con il mondo del College?
“Il camp con John (Saintignon) ti dà una sorta di idea poiché per esempio hai l’allenamento alle 6 di mattina ma non è nulla in confronto, negli USA a volte non hai nemmeno tempo di farti la doccia che devi subito presentarti a lezione. Mi ha colpito molto la maniera in cui ti accolgono, gentilissimi, (forse perché siamo in Florida e sono tutti molto “scialli”), ti rendono parte di una famiglia, perfino l’allenatore, con la quale magari si dovrebbe avere un rapporto più “distaccato”, invece si parlava spesso fuori dal campo.”
Come è la vita a Pensacola? Un articolo del 2009 dice che lì c’è la peggiore acqua potabile degli USA, è vero?
“Città molto vasta, 400.000 abitanti, le spiagge sono davvero tanta roba, io disto 25-30 minuti dalla spiaggia e quando posso nei weekend ci vado. L’anno scorso avevo anche proposto di fare la preparazione in spiaggia, poiché con l’allenatore lavoravamo quasi sempre in palestra ma purtroppo non è stata accolta la mia idea, soprattutto per problemi logistici. Siccome la preparazione di solito la facciamo alle 6 di mattina, andare in spiaggia avrebbe voluto dire sveglia alle 5 poi mezz’ora di autobus, allenamento e poi a lezione, non è così semplice. Riguardo all’acqua potabile, io l’ho scoperto quest’anno perché alcuni miei compagni non la bevevano dal rubinetto, comunque dipende da dove vivi, alcune case e all’Università hanno il filtro quindi sono abbastanza sicure”
Hai fatto un anno di Università anche qui in Italia, hai notato differenze?
“Si, avevo iniziato acquacoltura a Cesenatico ma non ero molto preso (ride), ho frequentato di più l’Università della mia ragazza, mi ha colpito molto la lunghezza delle lezioni, incredibilmente lunghe per quanto riguarda la mia facoltà, gli studenti dopo 2-3 ore che cercano di fare attenzione non ce la fanno più, poi fanno una quantità di argomenti vastissima, lezioni molto più teoriche, invece nella University of West Florida le lezioni durano dai 45’ all’ora e mezza. Per esempio, io seguivo il corso di Fisica il cui voto finale era dato per il 15% dalla presenza in classe e se rispondevi alle domande sullo schermo: ogni studente aveva un telecomando (5 numeri), ogni tanto il Professore faceva una domanda e dopo ti faceva vedere la percentuale per ogni alternativa, ad esempio se vi era il 50% su due risposte, il Prof. cercava di far nascere una discussione sulle due alternative, richiamando gli studenti a rispondere per la seconda volta e poi rivelando la soluzione.”
Con chi hai vissuto all’ Università?
“Il primo anno ho vissuto all’interno del campus perché è obbligatorio, quest’anno sono stato con due miei compagni di squadra che il prossimo anno cambiano residenza, per l’anno prossimo ho optato di vivere di fianco al campus ma da solo, perché poi d’inverno di solito viene a trovarmi la mia famiglia o gli amici”
Sbaglio o ti hanno affibbiato un soprannome lì in America? Speedo?
“(Ride) Significa mutande, devi sapere che i giocatori lì non si mettono le mutande ma i boxer, perché c’è la tendenza a pensare che siano un po’ da omosessuale, quindi alla fine del primo allenamento tutti mi hanno guardato in maniera particolare perché indossavo le mutande”
Allora adesso solo boxer?
“ No, devo mantenere la tradizione, non posso cambiare”
È vero che ogni anno ogni giocatore in un giorno preciso deve chiamare una lista di persone (ex giocatori molto spesso) per chiedere se vogliono fare una donazione di qualunque tipo?
“Viene organizzata una serata verso ottobre-novembre con tutta la squadra, ci troviamo nell’ufficio “fund raising” con i telefonini e ognuno ha un foglio con una lista di persone da chiamare, solitamente ex alunni. In 2 ore l’anno scorso abbiamo raccolto 25’000$ e quest’anno 13’000$ che sono andate tutti nelle casse della squadra, usati per attrezzature e spese di trasporto e hotel. “
Cosa ha rappresentato per te Wade Anderson, che è stato il tuo vice-Coach e che hai ringraziato pubblicamente non poco tempo fa?
“Wade mi ha sempre aiutato nel processo di integrazione con la nuova realtà soprattutto al primo anno, mi ha fatto capire cosa voleva l’allenatore da me, cosa non dovevo fare, il mio ruolo all’interno della squadra. Alla fine di quest’anno abbiam fatto un po’ di individuali e io sono stato uno dei pochi ad essere andato perché gli altri avevano impegni vari, si sapeva già che Wade e il Coach erano stati licenziati (in due anni ha ottenuto il record peggiore dell’Università) però Wade ha fatto questi allenamenti extra gratis lo stesso”
Quest’ultima stagione non ti è stata data l’opportunità di giocare moltissimo (circa 10 minuti di media in 9 partite), come vedi l’anno venturo con il nuovo allenatore? Ci hai già parlato?
“Il nuovo allenatore sarà Jeff Burkhamer, ci ho già parlato, abbiamo fatto due meeting e sono molto carico. E’ molto più giovane di quello precedente (50 anni contro i 75 dell’ex) e penso sia quello di cui abbiamo bisogno, perché mentre il Coach precedente due anni fa ci aveva detto: noi faremo questi schemi che utilizzo fin dal primo giorno da allenatore, Jeff la prima cosa che ci ha detto è stata: Ragazzi, io non vi conosco, non vi ho ancora visto giocare perciò non voglio imporvi nulla, cercherò di adattare gli schemi rispetto ai giocatori che avrò a disposizione. Qualche variazione ci sarà anche nella preparazione, smetteremo di lavorare solo in palestra e ci alleneremo anche con la squadra di football americano, sarà interessante”
La tua giornata tipo al College?
“Dipende dal periodo, però il periodo di preparazione, che è quello più tosto, allenamento 6.00-7.00 di mattina, poi per qualcuno lezione alle 8, io per esempio ce l’avevo alle 9.30 nell’ultimo semestre quindi riuscivo a fare colazione, un piccolo riposino e poi lezione, pranzo, poi pomeriggio o studiavo o mi trovavo con i miei compagni a fare 5 vs 5 in palestra”
Stai vivendo un sogno di molti ragazzi italiani, il College, un’istituzione che non è concepita nel nostro Paese. Puoi raccontarci qualche particolarità?
“Questa è una bella cosa, ogni anno di solito facciamo beneficienza: la mattina ci svegliamo presto e andiamo in una specie di casa-famiglia dove i senzatetto si ritrovano per mangiare un pasto, noi gli serviamo il pasto e facciamo due chiacchere. Ti rendi conto che sei molto fortunato, c’è gente che ha poco o niente ed è grata anche solo per un pasto. L’Università ti mette nelle condizioni di iniziare a fare queste cose anche senza che ti venga richiesto. Alla fine delle partite ci veniva data la pizza in spogliatoio e il mio coinquilino aveva quest’abitudine: si faceva la sua mezz’oretta di viaggio in macchina per andare a portare la pizza ai senzatetto.”
Hai altre passioni oltre alla palla a spicchi?
“Ne ho un casino, questo è il problema, perché ho la testa piena di passioni tra creazione e costruzione di laghetti, Carpe Koi, tutto quello che ha a che fare con la natura. Creare microecosistemi è una cosa che mi appassiona. Se avessi le competenze mi piacerebbe moltissimo fare anche il personal trainer, ma per ora non ci penso più di tanto”
Hai avuto la fortuna di giocare in Italia e negli Usa, quali aspetti differenziano i due mondi?
“L’avrai sentito migliaia di volte: la fisicità e l’atletismo. Sono le cose che notano subito negli Usa. Fin da piccolini lì sono allenati tutti i giorni, anche alle superiori si allenano tutti i giorni, hanno una mentalità diversa, vogliono diventare i numeri uno. In America, finito il College non puoi andare a giocare in Serie C2 o B1, o diventi professionista o smetti. Ci sono un sacco di giocatori americani, e ne conosco, che puntano tutto il basket tralasciando la scuola e quando si rendono conto che la pallacanestro non potrà permettergli di mangiare, sono problemi grossi.
Per la seconda stagione consecutiva sei stato nominato nella “GSC (GulfSouthConference) Honor Roll”. Di cosa si tratta?
“Viene data tale nomina ai giocatori con una media sopra il 3.0 GPA (l’anno scorso 3.09, quest’anno 3.14), il massimo è 4.0 che corrisponde a tutte A, comunque viene riconosciuto il fatto di avere un rendimento scolastico molto buono”
Hai seguito l’NCAA quest’anno?
“Si si, fai fatica a non seguirla qui, poi i miei allenatori vanno sempre a vedersi le finali per cui era difficile non parlarne. Io tifavo per Wisconsin perché mi piaceva il loro centro, Kaminsky.
Conosci il “College Basketball Tour”?
“Da qualche mese grazie a te, prima non ero molto informato, sapevo che qualche College ogni anno viene in Europa e in Italia a fare qualche partita ma non ero aggiornato. E’ una gran bella idea, è un mondo pazzesco quello del College Basketball e merita la diffusione non solo negli Usa, poi durante le Finals qui impazziscono letteralmente”
A cosa ti riferivi quando hai scritto “first practice of the year today and then madness midnight”?
“La presentazione della squadra, viene fatta tutti gli anni ed è una sorta di festa per attirare tutta la gente possibile del College per “inizializzare” la nuova squadra di basket. Ovviamente musica, presentazione dei giocatori, lanci di gadget alla folla e poi qualche minuto di “ruota” per dare un po’ di spettacolo con le schiacciate”
Partita più bella quest’anno?
“L’ultima di campionato, nella quale ho giocato qualcosa in più rispetto al solito, 14 minuti e 13 punti, c’erano 5000 persone e mi sono divertito moltissimo, peccato che alla fine abbiamo perso”
Sogno nel cassetto?
“Quello di tutti (ride), non lo scrivere sennò sembra che faccia il fenomeno”
Avevi twittato: “ Gli americani hanno capito tutto: 2 ore di lezione al giorno, sabato libero e per gli esami di matematica la possibilità di usare un formulario”
“(Ride) Questo succedeva nel primo semestre, quando sono arrivato era tutto nuovo, non sapevo cosa aspettarmi e qualunque cosa vedessi o sentissi per me era oro colato, poi nel tempo ti accorgi anche dei difetti”
Vuoi dare qualche suggerimento ai nostri lettori se volessero intraprendere il tuo percorso?
“Non aver paura di farlo, di partire, ci vuole un po’ di coraggio ma poi dopo le prime paure iniziali va tutto bene e ci si diverte un sacco”
Domanda che ti è piaciuta di più?
“Più di una: quella di come ho iniziato a giocare e quella della tipa che grida nel video”
Grazie mille Lele per questa intervista, l’anno prossimo entrerai anche tu nella nostra scuderia di giocatori a cui daremo un’occhiata più da vicino,perciò mi raccomando, fatti valere!!!!!!!!!!!!!!!