THUMBS UP
Nel marasma di questa stagione dove non ci sono certezze, siamo arrivati ad avere la sesta diversa numero uno del ranking. Si tratta di Villanova e gli amanti del college basket sanno che vedere i Wildcats in alto nei ranking nazionali non è certo una novità. La squadra di Jay Wright ha una tradizione abbastanza radicata negli ultimi anni di gruppo eccellente in regular season, che però finisce per sciogliersi molto presto in marzo, tanto che in passato è stato diverse volte vittima di upset pesanti al torneo NCAA. Non sorprende, pertanto, che in una stagione come questa, dove non si riesce a trovare una squadra che possa affermarsi stabilmente come superiore alle altre, i Wildcats si stiano imponendo con il loro sistema di gioco che, come sempre, fonda su di una difesa asfissiante: per punti concessi su 100 possessi Villanova ha la quarta difesa della nazione, e solo Louisville, tra le squadre della Top 25, fa meglio con 90.2 punti contro i 90.6 di Arcidiacono e compagni. Che in attacco, dove non brillano particolarmente, possono comunque fare conto su di un roster abbastanza profondo che può proporre diverse minacce offensive. Lo stesso Arcidiacono e Josh Hart (15.2 punti e 7.5 rimbalzi di media) sono i frombolieri sugli esterni, mentre Daniel Ochefu (10.5 punti e 8.2 rimbalzi), Kris Jenkins e Darryl Reynolds fanno sentire il loro peso in area. Il quadro è completato dal playmaker Jalen Brunson (filgio di Rick, visto anche in Italia), freshman che sta crescendo partita dopo partita e mostra sempre più sicurezza nei propri mezzi, tanto da essere il quinto giocatore della squadra ad assestarsi sulla doppia cifra media per punti segnati. I Wildcats sono una squadra solidissima che sta dominando la Big East, avendo perso unicamente contro Providence a cui però hanno restituito il favore nel match di ritorno, imponendo a Dunn e soci uno stop interno abbastanza netto. Soprattutto, Villanova è infallibile contro le avversarie non Top 25, ossia quel genere di partite in cui, più di una volta, sono incappate in passi falsi quasi tutte le altre squadre di vertice. I ragazzi di Wright, invece, sono 19-0 in questo tipo di incontri, segno di una squadra ben conscia della propria forza ma che, al contempo, non sottovaluta mai l’avversario, probabilmente anche memore delle scoppole prese nel passato più o meno recente e che hanno lasciato un segno tangibile nella memoria di tifosi, staff e giocatori.
Sale decisa anche Kansas, che sabato scorso ha vinto una delle partite più attese della stagione, ossia il rematch con quella Oklahoma contro cui giocò l’epica gara di fine anno 2015, terminata con la vittoria dei Jayhawks dopo tre supplementari e Buddy Hield a quota 46 punti. I ragazzi di Bill Self sfoderano una splendida prestazione sul campo dei Sooners, vincendo (76-72) e comandando per 40’ grazie ad una prestazione stellare di Devonte Graham, in versione tuttofare. L’esterno di Kansas, infatti, veste contemporaneamente i panni del leader offensivo dei suoi, segnando 27 punti con 6/9 da tre, e dello stopper difensivo, imbrigliando Buddy Hield per larghi tratti della gara (24 punti, ma con solo 5/15 dal campo per lui) ed ergendosi protagonista di una difesa che ha indirizzato la gara sin da subito (massimo vantaggio sul 32-19 nel primo tempo). Lo spumeggiante attacco di OU è stato tenuto al 33% dal campo e solo una sfuriata nel secondo tempo ha concesso agli uomini di Lon Kruger di provare a giocarsela nel finale quando, però, lo stesso Hield, ha sbagliato un libero cruciale, che avrebbe consentito ai suoi di pareggiare a una ventina di secondi dalla fine. Così, ora, come da tradizione, Kansas siede in testa alla Big 12, che vince consecutivamente da 11 anni. Questo anche grazie al successo ottenuto, giusto prima di andare a dettar legge a casa di Hield e soci, su West Virginia (75-65).
I Mountaneers sono secondi con un record di 9-4 in Big 12 (10-3 per Kansas), conference che sta offrendo un livello di competizione stellare, se si pensa che dietro alla squadra di Bob Huggins c’è un gruppetto formato da Oklahoma (8-4 e numero 3 del ranking), Texas (8-4, numero 24 e battuta), Baylor (8-4, numero 25) e Iowa State (7-6, numero 13). Ma la Big 12 è solo una delle conference che offre alto livello e tanto equilibrio. L’ACC, ad esempio, non è da meno, con North Carolina prima a quota 10-2 e attualmente al numero 5 del ranking, che però vede ad un’incollatura una Miami in ascesa verticale (9-3 e numero 11 del ranking), seguita da Virginia (10-4, numero 7), Notre Dame (9-4 e capace di vincere in una settimana prima contro i Tar Heels e poi contro Louisville), Duke e i Cardinals di Pitino con 8 vittorie e 4 sconfitte. La Big Ten, invece, al momento sembra un discorso a tre tra i sorprendenti Hawkeyes di Iowa (11-2 e numero 4 del ranking), Maryland (10-3 e numero 6) e Indiana (10-3 e numero 22), con gli Hoosiers che, però, danno l’impressione di avere qualcosa in meno e senza dimenticare che dalle retrovie stanno rimontando in maniera furiosa gli Spartans di Michigan State, fermati in trasferta da Purdue sulla sirena per 82-81, ma che poi hanno rifilato un ventello in scioltezza alla stessa Indiana e hanno un Denzel Valentine che sta tornando a folleggiare come faceva a inizio stagione, prima dell’infortunio: nelle ultime cinque gare 23,4 punti, 7 rimbalzi e 8,8 assists.
Discorso a parte per la Pac 12, una conference di cui fin qui abbiamo parlato poco, ma che si sta rivelando estremamente divertente, magari con un livello tecnico più basso, ma che potrebbe portare al torneo NCAA più squadre di quanto si pensasse alla vigilia. Al momento ci sono sette atenei racchiusi in due partite: dal duo di testa Arizona-Oregon (9-4) si staccano Utah e Colorado (8-5), seguite a ruota da USC e California (7-5) e Washington (7-6). I Ducks di Oregon, al momento, sono la maggiore sorpresa. E non solo perché per il primato in classifica, ma perché danno l’impressione di essere una squadra potenzialmente pericolosa anche in ottica marzolina. E non era certo una cosa scontata, considerato il recente passato del programma. Non più tardi di 18 mesi fa, infatti, una scandalo a sfondo sessuale aveva investito tutto il reparto basket maschile e Dana Altman aveva salvato il suo posto sulla panchina per un soffio. Il costo della faccenda, però, era stato pesante: solo quattro scolarship per l’anno successivo, la perdita di Damyean Dotson, Dominic Artis e Brandon Austin, giocatori già reclutati ma che hanno preferito andare altrove dopo quanto accaduto, insieme alla dichiarata ineleggibilità di JaQuan Lyle, il giocatore di più alto profilo fra quelli reclutati per questa stagione, e il diniego di ammissione all’università dell’ala Ray Kasongo. Il tutto in una squadra che perdeva, in direzione NBA, il proprio leader Joe Young. Facile capire, dunque, come le prospettive per la stagione 2015/2016 fossero tutt’altro che rosee. E invece, i ragazzi di Altman hanno trovato la quadratura del cerchio attorno a un Dillon Brooks che sta stupendo in positivo. Esterno non dotato di grande tiro da fuori (30% nel tiro pesante), ma che va dentro a piacimento e sta producendo 17 punti, 6 rimbalzi e 3 assists a partita, di sicuro il motivo maggiore per cui i Ducks a oggi sono nella top 20 della nazione per efficienza offensiva con quasi 1.17 punti per possesso. Attorno a lui ruota una squadra dotata di un front court non altissimo ma efficace, con il senior Elgin Cook a sgomitare sotto canestro, aiutato dal centro sophomore Jordan Bell e da Dwayne Benjamin. Anche se il giocatore di maggiore interesse è, forse, Chris Boucher. Senior di quasi 2.10, transfer da un junior college, con una storia di vita difficilissima alle spalle, ha iniziato a giocare a soli 19 anni, ma con quell’altezza e un fisico asciutto come un grissino gioca da esterno tutto fare: terzo nella nazione per stoppate a quota 3.2 per partita, sa mettere palla per terra e ha un più che accettabile 35% da tre punti. L’orchestra è diretta dalla coppia di playmaker Casey Benson (migliore della nazione per rapporto assists palle perse) e Tyler Dorsey, freshman da 43% al tiro pesante. Oregon è una squadra che non eccelle particolarmente in nessun campo, può soffrire a rimbalzo per la mancanza di centimetri (-21 complessivo sotto le plance nelle ultime due gare perse contro California e Stanford), ma è solida e ha trovato un’unità d’intenti che a marzo potrebbe fare la differenza. Difficile immaginarli molto avanti, ma se trovassero la settimana di grazia sarebbero certamente una squadra da tenere seriamente d’occhio.
THUMBS DOWN
Dietro la lavagna, e non per motivi cestistici, ci va Louisville. I Cardinals, infatti, si sono auto esclusi dalla post season di questo campionato, quindi torneo di conference e NCAA. Punizione auto inflitta in seguito a uno scandalo, anche qui a sfondo sessuale, scoppiato dopo un libro pubblicato da tale Katrina Powell, una escort che ha rivelato come, negli ultimi anni, fosse pratica dello staff di Louisville che si occupava del reclutamento dei giocatori pagare signorine ben disposte a soddisfare le esigenze dei prospetti in visita al campus (se avete visto He Got Game e la scena in cui Rick Fox porta Ray Allen in giro per il campus universitario, avete perfettamente capito di cosa stiamo parlando), al fine, ovviamente, di indirizzarne la decisione finale. Coinvolti, tra gli altri, ci sarebbero Montrezl Harrell, oggi agli Houston Rockets, e Wayne Blackshear, attualmente a Pistoia. Scoppiato il bubbone, l’università, come spesso accade in queste situazioni, ha preferito auto infliggersi una punizione, per evitare la mannaia della NCAA che sarebbe certamente stata più pesante. La situazione è già di per sé grottesca, ma assume contorni ancora peggiori pensando a Damion Lee e Trey Lewis, due giocatori senior che avevano deciso di trasferirsi, rispettivamente da Drexel e Cleveland State, espressamente per riuscire a giocare il torneo NCAA nella propria ultima stagione di eleggibilità universitaria, scegliendo i Cards nonostante avessero sul tavolo diverse offerte. Ora, a causa di questa situazione di cui non hanno alcuna colpa, entrambi vedono svanire questo sogno, e così monta la discussione se sia giusto o meno che le università subiscano punizioni che vanno a colpire anche giocatori che, oggettivamente, non centrano nulla con le malefatte di chi gestisci i programmi cestistici delle varie università. Pitino ha cercato di gettare acqua sul fuoco con diverse dichiarazioni, ma certamente il danno d’immagine che subisce Louisville è parecchio pesante.
Difficile da decifrare, invece, la situazione di Wichita State. Gli Shockers negli ultimi anni hanno creato, in sostanza, una piccola mistica attorno ai propri risultati, passando prima da Cenerentola nel 2012-2013 con l’approdo alle Final Four (dopo aver vinto l’NIT nel 2010/2011 e aver raggiunto il secondo turno del torneo NCAA nel 2011/2012), poi a squadra imbattibile, con la stagione perfetta interrotta al terzo turno del torneo NCAA dopo 35 vittorie filate, e infine confermandosi come forza ben oltre la normale mid-major raggiungendo le Sweet Sixtenn lo scorso campionato. Nella stagione 2015/2016 la squadra di Gregg Marshall arrivava con giustificate ed elevate ambizioni: dal gruppo dello scorso anno rimanevano i due pezzi pregiati, Fred Van Vleet e Ron Baker, e già solo per questo l’obiettivo era di tornare a sognare in grandissimo. Ma l’infortunio dopo le prime partite allo stesso Van Vleet ha fatto perdere riferimenti alla squadra, uscita sconfitta in cinque delle prime dieci gare (compreso un -23 contro Iowa). WSU, però, ha reagito da grande squadra e con l’inizio delle partite di conference è tornata ad essere la forza che tutti conoscevano, infilando dodici vittorie consecutive, la maggior parte delle quali ottenute con scarti larghissimi. Ora, però, il giochino sembra essersi rotto di nuovo. Nelle ultime due settimane sono arrivate due sconfitte in quattro gare: prima gli Shockers sono caduti sul campo di Illinois State (unica squadra che sembra potergli dare dei problemi in ottica titolo di conference) per 58-53, poi hanno perso in casa contro Northern Iowa (ancora loro, sì) fermandosi a miseri 50 punti segnati. Striscia di partite che ha avuto, come fattore comune, una serie di pessime prestazioni di Van Vleet (8 punti di media e 29% al tiro), decisamente ago della bilancia della squadra. Il playmaker di Gregg Marshall, in realtà, ancora non ha pienamente convinto in questo campionato, ma è evidente che i destini della squadra passino per le sue mani. Così come è evidente che il cammino degli Shockers faccia alzare più di un sopracciglio: contro squadre di rango sono arrivate solo sconfitte, con la scusante dell’assenza del proprio miglior giocatore, mentre tutte le vittorie più convincenti sono state ottenute contro avversarie non proprio formidabili, pur in una Missouri Valley Conference dal livello sempre migliore anno dopo anno. La presenza alla Big Dance non dovrebbe essere in discussione, ma per vedere ancora i giallo neri protagonisti servirà che la squadra faccia un deciso passo in avanti.
Primo momento di vera difficoltà per Oklahoma, che fino a qui aveva veleggiato quasi trasportata dall’entusiasmo generato da una prima parte di stagione fenomenale. I Sooners sono reduci da tre sconfitte nelle ultime quattro gare, l’unica vittoria è arrivata in casa grazie a una tripla sulla sirena di Hield contro Texas, mentre le sconfitte, a parte la gara contro Kansas, sono state in trasferta con Kansas State e Texas Tech, non esattamente due corazzate. Similmente a quanto visto per Wichita State, anche questo filotto di partite per Oklahoma ha avuto come comune denominatore le prestazioni opache del leader offensivo della squadra, quel Buddy Hield che ha viaggiato comunque a quasi 23 punti di media, ma tirando col 36% dal campo. Le difese avversarie ormai sanno molto bene che il primo obiettivo quando si incontra la squadra di Lon Kruger è quello di rallentare la marcia offensiva del numero 24. Fatto quello non è che Oklahoma manchi di talento offensivo per poter comunque fare male, ma certamente tutta la squadra risente, anche a livello emozionale, della mancanza del contributo da parte del maggior candidato al premio di giocatore dell’anno. Un momento di difficoltà è certamente fisiologico in una stagione, specialmente in una come questa dove regna l’assoluto equilibrio, ma i Sooners devono cercare di rimettersi in carreggiata al più presto. Mancano cinque gare alla fine della regular season in Big 12, partite che includono le trasferte sui campi di West Virgnia e Texas e la gara casalinga con Baylor. Sbagliare adesso sarebbe davvero un peccato, dopo quanto di bellissimo prodotto fino a questo punto.
LITTLE ITALY
E alla fine St.John’s vinse una partita. Dopo un’interminabile striscia di 16 sconfitte consecutive i Red Storm sono riusciti a trionfare per la prima volta in Big East, sconfiggendo nettamente (80-65) De Paul alla Carnesecca Arena. Grande protagonista Federico Mussini, che dopo una serie di partite molto negative in cui aveva perso il posto in quintetto, ha giocato un’ottima gara uscendo dalla panchina, mettendo 17 punti in 19’ con 10/11 ai tiri liberi. Una vittoria più che altro simbolica per la squadra di Chris Mullin, ma che almeno toglie lo zero dalla colonna vittorie che stava diventando ormai un peso insostenibile.
Prosegue, invece, esattamente all’opposto la stagione degli Hawks di Saint Joseph’s e Pierfrancesco Oliva, arrivati alla ventiduesima vittoria in ventisei gare disputate con lo splendido successo ottenuto stanotte contro la numero 15 del ranking, Dayton. 12 minuti, 1 punto e 4 rimbalzi per Oliva, che mantiene il suo ruolo da starter, giocando attorno ai 16’ a gara e dando un buon contributo di quantità. Gli Hawks ora, con un record di 11-2, hanno agguantato in vetta alla classifica proprio Dayton e VCU e possono puntare a chiudere la regular season senza ulteriori stop, avendo solo la trasferta sul campo di St. Bonaventure come partita particolarmente insidiosa, prima del torneo di conference.
Si è inceppata, invece, Rhode Island, uscita sconfitta in cinque delle ultime otto partite, le ultime due contro Dayton (sconfitta in volata 68-66) e VCU. Nicola Akele ha vissuto un buon momento nei primi dieci giorni di febbraio in cui il suo minutaggio è aumentato sensibilmente (23 minuti di media in campo in quattro partite), riuscendo anche a segnare il proprio career high di punti con 15 e 6/6 dal campo contro La Salle. Poi, rientrati i problemi fisici dei suoi compagni di squadra (in particolare per la guardia Jarvis Garrett, che scende in campo con una maschera particolarissima per via di una frattura al naso), è tornato in fondo alle rotazioni, a cercare di raccattare qualche minuto di gloria qua e là. Record di squadra al momento che dice 6-7 in Atlantic 10 e 14-12 complessivo.
UPCOMING
In nottata spettacolo a Durham per il super derby tra Duke e North Carolina, di cui avremo a breve un recap dettagliato, con i Tar Heels che sabato ospiteranno Miami. Sempre sabato occhi puntati su West Virginia-Oklahoma, con i Mountaneers che lunedì ospiteranno Iowa State, mentre Virginia farà visita agli Hurricanes di Miami. Test probante per Kansas, poi, martedì, sul campo di Baylor.
Nicolò Fiumi