Dopo due anni in cui gli sportivi pesaresi hanno patito le pene dell’inferno, si può dire che la stagione appena conclusa della gloriosa Victoria Libertas sia da annoverare come ampiamente positiva e sostanzialmente tranquilla.
Certo non tranquilla in assoluto, visto che la salvezza (unico obiettivo dichiarato) è stata ufficialmente raggiunta alla penultima di campionato e comunque tutta la stagione è stata passata a remare nei bassifondi della classifica, ma se si pensa alle clamorose ed inaspettate salvezze ottenute all’ultimo respiro negli ultimi anni, non si può che essere soddisfatti.
Ovviamente non sono mancati momenti di scoramento, crisi più o meno passeggere, polemiche e recriminazioni, che peraltro sono all’ordine del giorno in un ambiente passionale come quello pesarese, ma il dato di fatto è che in questa stagione sembra che sia stato gettato finalmente qualche seme per la rinascita dopo due anni di vacche magrissime.
In effetti fin dall’estate scorsa, in sede di mercato, si era notato che qualcosa stava cambiando, con un budget leggermente meno risicato e l’allestimento di un roster che sembrava avere quel briciolo di talento in più per poter pensare ad una salvezza un po’ più tranquilla.
Al di là dei classici americani nuovi di zecca, su cui si tornerà a breve, l’arrivo di giovani italiani dal futuro più o meno promettente era sembrato già un cambio di registro rispetto al pacchetto di coloro che avevano vestito la casacca biancorossa fino all’anno prima; pur con tutto il rispetto nei confronti di ragazzi che hanno dato sempre fino all’ultima goccia di sudore, la differenza tra i Ceron, Gazzotti e Candussi di quest’anno e i Raspino, Crow e Musso dell’anno scorso è stata evidente.
In particolare Ceron ha mostrato enormi passi in avanti nel corso dell’anno, meritandosi sempre più minuti con il passare delle settimane grazie ad una migliore selezione delle sue scelte offensive ed un sensibile miglioramento nella propria metà campo; Gazzotti ha invece confermato di essere un buon lungo di rincalzo mentre Candussi, dopo un avvio promettente, non ha confermato la propria crescita, chiuso un po’ dall’arrivo di Lydeka.
Sul mercato dei giovani americani c’è stato qualche “fuoco d’artificio” in più, con qualche scelta sbagliata a livello di lunghi che però ha portato poi all’arrivo di quell’Austin Daye che ha incendiato la stagione pesarese sotto tanti aspetti.
Va comunque detto che, tralasciando i tristissimi Shelton e Walker poi sostituiti da gente di ben altro spessore come Daye e Lydeka, la scelta degli esterni Christon e Lacey si è rivelata azzeccata, con quest’ultimo in particolare a rivelarsi come uno dei grandi protagonisti della stagione, in costante miglioramento per tutta l’annata, tanto concreto quanto prezioso nell’economia della squadra; era arrivato poi anche il più che discreto McKissic, ala piccola dal buon impatto prima di essere sostituito nel rimescolamento autunnale che aveva portato all’addio ai “tristissimi” di cui sopra ed ai fondamentali arrivi di Daye e Lydeka
Insomma, la voglia di soffrire un po’ meno quest’anno è stata manifestata fin da subito e, con qualche soldino in più in saccoccia, è stato possibile fare qualche scommessa un po’ meno azzardata e poi operare anche un sostanzioso maquillage a stagione iniziata per non lasciare nulla di intentato.
Va detto comunque che ancor prima dei succitati arrivi la Consultinvest aveva dimostrato fin da subito di avere una solidità ed un carattere di ben altra pasta rispetto alle sbiadite versioni degli anni precedenti.
Merito anche, diciamolo, del coach Ricky Paolini, confermato dopo la rocambolesca salvezza dell’anno precedente e capace, pur senza essere un vero e proprio alchimista della panchina, di infondere sicurezza e consapevolezza ai suoi tanti giovani, plasmando un gruppo che almeno dall’esterno ha sempre dimostrato di remare nella stessa direzione.
Certo, due vittorie nelle prime dieci partite di campionato non sono state proprio un ottimo biglietto da visita ma, contrariamente a quanto avvenuto nel recente passato, la squadra non aveva mai “sbragato”, perdendo più di una partita in volata e mostrando, come si diceva, un carattere insospettabile.
Nelle prime partite, in particolare, era stato il play – guardia Semaj Christon a mettersi in evidenza, risultando anche provvisoriamente il miglior marcatore della massima serie; accanto a lui era stato il partente McKissic a risultare particolarmente pimpante, mentre la guardia Trevor Lacey viveva ancora all’ombra dei suoi due più esuberanti compagni di reparto.
La decima giornata di campionato, con la sconfitta in casa di una diretta concorrente per la salvezza come Caserta, ha rappresentato comunque lo spartiacque della stagione, visto che proprio in quell’occasione esordiva in canotta biancorossa il figlio d’arte Austin Daye.
Un evento che per i tifosi meno giovani (ma anche per i più imberbi) andava al di là del fatto sportivo ed andava in realtà a risvegliare entusiasmi ormai sopiti, visto che il buon Austin altri non è che il figlio dell’americano più amato da queste parti, al secolo Darren Daye, protagonista di uno scudetto storico nonché giocatore dotato di una classe immensa.
Queste auguste discendenze, unite al fatto che comunque anche il buon Austin è giocatore dal pedigree importante con trascorsi in NBA, andavano a rinfocolare la fiamma di quella passione che mai si era spenta tra gli appassionati pesaresi ma che, appunto, necessitava di una scintilla per riaccendersi.
Va detto poi che, messo da parte ogni sentimentalismo, l’arrivo di un giocatore di questa caratura ed il cui ingaggio giocoforza richiede l’esborso di cifre un po’ più consistenti rispetto al Laquinton Ross di turno (per dirne uno che l’anno scorso era la punta di diamante della formazione) era anche la conferma che quest’anno il consorzio a capo della “Vuelle” aveva in qualche modo allentato i cordoni della borsa.
Il tempo comunque di ambientarsi (e di esordire a Caserta, praticamente appena sceso dall’aereo, con una prestazione non certo d incorniciare) e nella domenica successiva il figlio del “cerbiatto” faceva deflagrare il suo talento contro Venezia, presentandosi davanti all’estasiato pubblico di casa con 26 punti, 8 rimbalzi ed una sensazione di onnipotenza in questa ridimensionata massima serie italiana.
Sembrava l’inizio di una nuova stagione luminosa ed in effetti anche nella successiva vittoria esterna di Capo d’Orlando Daye sfoderava una prestazione monstre con 28 punti e 16 rimbalzi e, infine, nella partita interna contro l’arcirivale Milano arrivava il tripudio, con una vittoria in rimonta ed in cui ancora una volta Austin si ergeva a protagonista con una doppia doppia (19 punti e 10 rimbalzi).
Nel frattempo già in Sicilia aveva esordito, in arrivo da Varese, l’ala piccola Shepherd, prezioso elemento di raccordo tra settore piccoli e settore lunghi, mentre nella successiva partita di Cantù era la volta del bisonte lituano Lydeka a ripresentarsi dinanzi ai suoi tifosi.
Come si diceva, tutto sembrava apparecchiato per una seconda parte di stagione dalle più rosse aspettative, ma già dalla trasferta brianzola si tornava con la sconfitta più cocente dell’anno e poi, con il nuovo anno, la squadra andava incontro ad una sorta di crisi di rigetto che sfociava in altre tre sconfitte consecutive che la confinavano nuovamente nei bassifondi della classifica.
L’arrivo di Daye non era quindi tutto rose e fiori perché comunque il giocatore ha una personalità ingombrante ed un caratterino mica da ridere, con cui Paolini doveva fare i conti per tarare nuovamente la sua formazione; in particolare era Christon ad apparire il più penalizzato dall’arrivo del nuovo condottiero ma forse la realtà dei fatti era che la Consultinvest avrebbe fatto meglio a dimenticare i voli pindarici di qualche settimana prima ed a raggiungere l’obiettivo salvezza quanto prima.
D’altra parte, una volta esaurita la spinta propulsiva data dal suo arrivo, Daye doveva fare i conti anche con il fatto che tutti gli allenatori gli stavano prendendo le contromisure, approntando sullo stesso difese fisiche e raddoppi in post basso che spesso e volentieri, complice anche una certa sua incapacità a coinvolgere i compagni, lo mandavano fuori giri.
E’ stato in questo frangente che allora Paolini ha trovato in Lacey e Lydeka gli altri due fattori fondamentali su cui costruire la propria salvezza; la striscia negativa veniva interrotta dalla rocambolesca vittoria interna contro Varese, dopodiché la squadra di Paolini andava incontro ad un altro buon periodo di forma, raccogliendo prestigiose vittorie interne contro Reggio Emilia, Trento e Sassari.
In questo periodo il centro lituano si ergeva come vero e proprio totem d’area dalle riconosciute doti di lottatore nonché dalle insospettabili doti di realizzatore, mentre la guardia si faceva notare per la pulizia del suo gioco e per la sua straordinaria concretezza.
Tuttavia che non fosse una stagione da voli pindarici lo si capiva anche dal successivo capitombolo interno contro Caserta, forse una delle peggiori prestazioni interne stagionali, con cui il pubblico di casa tornava nuovamente a vedere le streghe della retrocessione.
Ma se c’è una dote che il gruppo di Paolini ha dimostrato lungo tutto l’anno è stata quella di sapersi rialzare dopo ogni batosta e, in effetti, dopo la rovinosa sconfitta contro Caserta arrivava l’incredibile exploit di Venezia su cui venivano poste le fondamenta della salvezza; è stata forse la migliore prestazione stagionale della Consultinvest, con Daye di nuovo a giganteggiare (23+11), con Lydeka a stupire (21+12) e con tutta la squadra a sciorinare un gran gioco.
Le fondamenta venivano poi puntellate con la successiva vittoria nell’importantissima sfida interna contro la diretta concorrente Capo d’Orlando; a quel punto, con tre giornate ancora da giocare si poteva dire che la salvezza era stata raggiunta perché sarebbe bastata una sola vittoria e, dopo essersi presi il lusso di sfiorare il successo anche a Milano, la vittoria arrivava in carrozza nella penultima di campionato, quando all’Adriatic Arena arrivava una Cantù che nulla aveva più da chiedere al campionato.
La chiusura davanti ai propri tifosi avveniva quindi in un clima da ultimo giorno di scuola assai diverso dai patemi vissuti dai tifosi biancorossi fino agli ultimi minuti dei campionati scorsi; l’obiettivo di una salvezza relativamente tranquilla è stato quindi pienamente raggiunto, così come si può dire raggiunto l’obiettivo societario di essere riusciti a posare le fondamenta di un futuro più sicuro per gli anni immediatamente a venire.
In effetti è notizia freschissima degli ultimi giorni l’arrivo del nuovo allenatore Piero Bucchi, coach ormai navigato ed il cui ingaggio (non ce ne voglia il pur meritevole Paolini) lascia presagire delle rinnovate ambizioni per la prossima stagione; dovrebbero essere confermati anche gli italiani Ceron e Gazzotti, mentre sarebbe importante ri-firmare due veri e propri pilastri della passata stagione come Lacey e Lydeka, cosa non impossibile se effettivamente il budget pare essere lievitato.
Discorso a parte merita l’eponimo di questo campionato pesarese, al secolo Austin Daye.
Il figlio del grande Darren viaggia a richieste economiche ben al di fuori della portata della società pesarese ed il suo obiettivo è chiaramente quello di costruirsi una carriera ad alto livello in Europa; una serie di coincidenze fortunate, tra cui sicuramente ha influito una spinta in tal senso da parte del padre, lo hanno portato in riva all’Adriatico ma fin dalla conferenza stampa post – Cantù si era capito che si era arrivati al triste addio.
Probabilmente però, a distanza di anni, Austin potrà essere ricordato come quello che ha portato la svolta in casa Vuelle dopo anni di lacrime e sangue, nonché lampi di classe e talento che da tempo non si vedevano sui parquet pesaresi; anche per questo, come il padre, si può dire che Austin abbia lasciato un segno indelebile nella storia del basket made in Pesaro.